Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/08/2009, a pag. 10, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Le confessioni estorte con torture medievali ".
Mohammad Atrianfar, giornalista e politico moderato, «confessa» al maxiprocesso di sabato a Teheran
Processo «truccato» e «incostituzionale ». I leader dell’opposizione in Iran non si fanno intimidire dal procedimento iniziato sabato contro un centinaio di politici, intellettuali e gente comune che ha protestato per le presidenziali del 12 giugno definendole una truffa. L’ex presidente riformista Mohammad Khatami e il candidato moderato Mir Hussein Mousavi (che si dichiara il legittimo vincitore del voto) accusano le autorità di aver violato i diritti degli imputati e di aver estorto le confessioni con la tortura. E al coro delle critiche si uniscono conservatori come Mohsen Rezai, un altro ex sfidante di Ahmadinejad alle elezioni.
La seconda seduta del processo è prevista giovedì. Nella prima, alcuni imputati hanno «confessato» che le elezioni sono state regolari e che i riformisti hanno usato i brogli come scusa per attuare una rivoluzione contro il governo con l’aiuto dei «nemici occidentali». «Le confessioni fanno pensare a torture medievali», ha denunciato Mousavi. «Quello che ho sentito sono i gemiti che fanno capire ciò che hanno subito in questi cinquanta giorni». Diversi imputati sono in isolamento da settimane, senza accesso ai legali e alle famiglie. Già a giugno Amnesty International aveva pubblicato testimonianze sulle torture inflitte in carcere a tre ex membri del governo Khatami — Mostafa Tajzadeh, Abdollah Ramezanzadeh, Mohsen Aminzadeh — che erano sabato tra gli imputati. «Le confessioni non sono valide — ha detto ieri Khatami - . Quello che viene chiamato processo è una violazione della Costituzione... Danneggia il sistema e la fiducia del popolo». Khatami ha criticato l’assenza di avvocati difensori (solo uno in aula, non è chiaro chi rappresentasse; negato l’accesso agli altri). E il principale partito riformista, Moshrekat, ha affermato che «anche un pollo arrosto riderebbe » di quelle «confessioni », che coinvolgerebbero nel complotto gli stessi Khatami e Rafsanjani (anche quest’ultimo ha condannato il processo). Il quotidiano ultraconservatore Kayhan ha infatti chiesto ieri alle autorità di arrestare Khatami e Mousavi per aver agito contro Dio (accusa di «mohareb», che implica la pena di morte), mentre l’agenzia di Stato Isna dava notizia di un nuovo processo a porte chiuse contro altri 10 dimostranti.
Organizzazioni come l’ International Human Rights Campaign in Iran hanno documentato casi di torture su detenuti (appesi a testa in giù, bruciati con sbarre incandescenti). Il direttore Hadi Ghaemi è citato del documento letto in aula sabato. Più che una vera incriminazione, che forse verrà formulata giovedì, spiega Ghaemi al Corriere , è «un quadro teorico » che individua tre «attori» nel «complotto»: gli intellettuali, i media e l’esecutivo. Oltre ai politici riformisti, ne farebbero parte attivisti per i diritti umani come Shirin Ebadi e Ghaemi, che non sono in carcere, e l’avvocato Mohammad Ali Dadkha che lo è.
Khatami ha sostenuto che il popolo non vuole processi farsa, ma che il governo «affronti le tragedie avvenute in alcuni centri di detenzione, che apparentemente hanno portato ad omicidi». Lo appoggia il conservatore Rezai: ha chiesto alla magistratura di incriminare chi ha «attaccato e ucciso» i manifestanti nei dormitori universitari e «chi ha picchiato prigionieri come Mohsen Ruholamini», il figlio di un suo consulente, arrestato in una protesta il 9 luglio. Due settimane dopo tornò a casa il cadavere, con la mascella rotta. Critiche e conflitti interni al fronte ultraconservatore crescono alla vigilia dell’insediamento di Ahmadinejad (oggi è prevista l’approvazione formale della Guida Suprema, mercoledì l’incarico). Ieri il suo consigliere per i media Ali Akbar Javanfekr si è dimesso.
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