Obama, l'indurimento della linea di Al Fatah non è male, no? 02/08/2009
I giornali italiani praticamente non ne hanno parlato, ma molte cose dipendono dalla conferenza nazionale di Al Fatah che è convocata nei prossimi giorni a Betlemme, la prima dopo vent'anni. Alcune centinaia di delegati dovranno decidere sul rinnovo della leadership dell'organizzazione, che è decisamente vecchia, sulla sua nuova linea politica, sui rapporti con Israele, con l'America e con Hamas. Da quel che si capisce, i risultati non saranno allegri, in particolare per chi crede che la pace sia possibile subito. Il giornale saudita "Wattan" ha ottenuto in anteprima la bozza di documento finale. Non vi è traccia di riconoscimento dello Stato ebraico. In cambio Fatah si propone di intensificare la lotta contro gli insediamenti, la barriera di sicurezza e la "giudeizzazione di Gerusalemme", usando l' "opposizione civile" e "limited violent means" [mezzi violenti limitati]. Chi sa che vuol dire violenza "limitata"? Bombe senza suicidio? Fra gli obiettivi ritorna il rientro dei "rifugiati" del '48 e la proclamazione di uno stato palestinese nei confini del '67. Per ricominciare le trattative con Israele Fatah chiede il congelamento dell'attività edilizia (che è l'idea di Obama, ma è anche una condizione nuova, dato che da vent'anni le due parti hanno trattato senza questa clausola). Nel frattempo Fatah chiede a tutto il mondo arabo di "evitare la normalizzazione con Israele finché dura l'occupazione". La ciliegina sulla torta è la decisione di stabilire un "canale strategico con l'Iran". Per essere la piattaforma di una pace con Israele entro un anno e mezzo, come vuole Obama, questo "indurimento" della linea della maggiore organizzazione palestinese non è male, no? Se volete aggiungere un pizzico di amaro al cocktail dovete sapere che il leader di Fatah e presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen, che in realtà non è mai stato eletto dalla sua organizzazione, intende far confermare o nominare se stesso, ma vuol anche indicare un successore, che in via del tutto eccezionale per i paesi arabi non è suo figlio. Si tratta di Maher Abu Ghneim, un signore non solo giovanissimo (ha 72 anni) e molto amante della pace. Non è rientrato nei territori dopo gli accordi di Oslo perché non era d'accordo a rinunciare alla lotta armata e, appena arrivato dalla Giordania per la conferenza, ha confermato la sua ferma intenzione di "continuare la lotta, finché ogni granello di sabbia del territorio palestinese sarà libero sotto la bandiera della Palestina". Incluse naturalmente Gerusalemme, Tel Aviv e Haifa. Questi sono i palestinesi "buoni" e "moderati", da distinguere attentamente da quelli "cattivi" ed "estremisti" che comandano a Gaza. Non posso che augurare buona fortuna a chi crede nella pace.