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Il Foglio Rassegna Stampa
31.07.2009 Hillary Clinton un po' ai margini
La politica ambigua di Obama

Testata: Il Foglio
Data: 31 luglio 2009
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Israele dialoga col terzetto di Obama, ma Hillary non si vede»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 31/07/2009, a pag. 3, l'articolo dal titolo "  Israele dialoga col terzetto di Obama, ma Hillary non si vede".

 Il sistema obamiano degli inviati speciali mette la segreteria di Stato (Hillary Clinton) in una posizione decentrata

Gerusalemme. La settimana di attività diplomatica fra Stati Uniti e Israele ha dato i primi esiti. Mercoledì sera il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ordinato che fosse fermata la costruzione di novecento appartamenti a Gerusalemme est, come da insistente richiesta dei diplomatici americani. L’Amministrazione Obama sta facendo quella che il quotidiano di sinistra Haaretz definisce una “tremendous pressure” su Israele perché fermi gli insediamenti dei coloni a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Questa è la richiesta che l’inviato speciale per il medio oriente, George Mitchell, ha ribadito ancora una volta al premier Netanyahu come condizione per poter avviare il processo di pace sulla base del principio “due popoli due stati”. Durante la settimana Mitchell ha lavorato anche sul fronte palestinese. Da Netanyahu è riuscito a ottenere la dichiarazione comune che “l’accordo sugli insediamenti è vicino”, posizione di apertura che Mitchell ha fatto valere nell’incontro con il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. Secondo il giornale dell’Anp, al Ayyam, c’è ancora un gap da colmare fra le richieste dell’America, che chiede un congelamento totale delle opere di insediamento, e le concessioni che il governo di coalizione del conservatore di Netanyahu è disposto a concedere. Il quotidiano di lingua araba al Hayyat dice che gli uomini di Mitchell hanno parlato di un negoziato fra Israele e Palestina nell’orizzonte di un anno e mezzo. Il lavoro diplomatico sugli insediamenti è particolarmente delicato. Gli uomini di Obama sperano che Israele inizi a fermare gli insediamenti e contemporaneamente chiedono ai palestinesi di accontentarsi di un’apertura per sedersi attorno a un tavolo. Nella lunga strada verso un “full agreement” Netanyahu ha fatto un primo passo, e lo ha fatto in uno dei luoghi simbolo del conflitto: Gerusalemme est. Barack Obama ha usato il fuoco incrociato della diplomazia per appianare le divergenze con Israele. Il segretario alla Difesa, Bob Gates, ha incontrato l’omologo israeliano, Ehud Barak, e il premier per discutere della minaccia iraniana. L’articolata missione di George Mitchell aveva come scopo principale la trattativa sugli insediamenti, ma come riferimento diplomatico per il medio oriente ha incontrato il presidente della Siria, Bashar al Assad, e ha detto che un accordo di pace con Damasco è un obiettivo nel “breve termine”. Infine, il consigliere per la sicurezza nazionale, Jim Jones, ha incontrato le autorità israeliane e il leader dell’opposizione, Tzipi Livni. Obiettivo: sondare la disponibilità israeliana ad aprire l’accesso a Gaza. Su questo Israele ha fatto un passo avanti e uno indietro. Barak ha concesso il passaggio di centinaia di tonnellate di cemento a Gaza, e Netanyahu ha ricordato la condizione fondamentale: la restituzione di Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito nel 2006. Nel fermento diplomatico si nota la mancanza dei due attori principali, almeno sulla carta. Il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, e il segretario di Stato, Hillary Clinton. Ufficialmente Lieberman era in viaggio diplomatico in sud America, ma diversi analisti dicono che il poco malleabile ministro sia stato estromesso dal circuito diplomatico per non compromettere una trattatativa già di per sé tesa. Clinton convive invece con un apparato che sembra disegnato apposta per tagliarla fuori dagli scenari che contano. Il sistema obamiano degli inviati speciali mette la segreteria di Stato in una posizione decentrata, con il risultato che Hillary arriva sempre il giorno prima o il giorno dopo, quasi mai il giorno giusto. E in un editoriale Newsweek lancia l’idea di nominare un inviato di pace in medio oriente, uno che “sostiene schiettamente la nascita di uno stato palestinese e che ha un’implicita ammirazione verso Israele”. Il suo nome? George W. Bush.

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