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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.07.2009 Uno scrittore israeliano scrive un libro antisionista e vince il premio più importante
ma il presidente dela giuria, Yossi Sarid, è suo zio. Scoperto, si dimette.

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 luglio 2009
Pagina: 15
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Messo all’indice il libro sulla memoria araba»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/07/2009, a pag. 15, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Messo all’indice il libro sulla memoria araba  ".

 Alon Hilu

Contrariamente a quanto sostiene Alon Hilu, Tel Aviv è stata fondata nel 1909 e non nel 1895.
Definirsi un buon sionista e parlare di nabka sono due cose inconciliabili. Nabka (catastrofe) è il termine usato dagli arabi per riferirsi alla nascita dello Stato di Israele.
Hilu dichiara : "
I sionisti hanno vinto, sono stati i conquistatori, non li accuso ". Gli ebrei non hanno conquistato nulla, hanno comprato la terra pezzo per pezzo, spesso a prezzi maggiorati, per fondare il loro Stato. Ma il vero scandalo è l'attribuzione a Hilu del Premio Sapir (il più importante in Israele) da una giuria il cui presidente è Yossi Sarid, uno dei fondatori di Shalom Achshav, firma autorevole di Haaretz, nume della sinistra che fustiga da sempre i governi dei quali non fa parte, che ha dovuto dimettersi dal premio del quale era presidente, in quanto... zio del premiato. per un fustigatore di professione, non male. Che poi lo Stato d'Israele decida di non finanziare i viaggi all'estero del signor Hilu, ci pare veramente scandaloso. Ma come, se ne andrebbe in giro a delegittimare Israele e lo Stato non paga le spese ? vergogna ! in quanto alle copie stampate con la fascetta in copertina " Premio Sapir" non sono state date alle fiamme (rogo dei libri ? israeliani come i nazisti, ci par di sentire in lontananza..) ma più semplicemente mandate al macero, come capita anche da noi quando un libro viene stampato con qualche errore. capiterà anche al libro di Hilu, che uscirà senza fascetta perchè il premio gli è stato ritirato, non per via del contenuto, ma per  lo zio presidente del premio. Yossi, Yossi, non si fa ....
Ecco l'articolo:

HERZLIYA — L’idea per il romanzo è venuta ad Alon Hilu seduto in un caffè su piazza Masarik, quando ha cominciato — macchina del tempo e occhi a raggi X — a spogliare la Tel Aviv che aveva davanti, a scavare sotto l’asfalto e i marciapiedi. «Non ho trovato la sabbia, come ancora ci insegnano a scuola. Ma aranceti, con cammelli e muli che avanzano su strade di pietra ». La città dissotterrata, più che immaginata, è disegnata sull’ultima pagina di «La maison Dajani». 1895, la rocca di Jaffa e i campi tutt’intorno, il cimitero musulmano sulla collina dove oggi sorge l’hotel Hilton, i fiumi con i loro appellativi arabi: Wadi Musrara per l’Ayalon (lo stesso nome del­l’autostrada che corre adesso lungo il tor­rente), Nahal al-Uja per lo Yarkon.
E’ la terra che trova Haim Margaliot Kal­varisky, agronomo e sionista, incaricato di comprarla dai contadini locali. E’ la terra dov’è nato e abita Salah, un ragazzino ara­bo con il dono e il danno di poter presagi­re il futuro, come la metropoli a venire e le sue tre torri («una tonda, una quadrata, una triangolare»), che sono i grattacieli Azrieli, costruiti di fronte al Pentagono israeliano. «E’ il tipico incontro tra i colo­nialisti e i nativi. I primi immigrati dall’Eu­ropa avevano una certa predisposizione e pregiudizi, non si può negarlo». I pregiudi­zi che Hilu, 37 anni, ebreo di origini siria­ne, ha sentito su di sé e gli altri mizrahim (le comunità arrivate dai Paesi arabi), an­che se lui è cresciuto nei sobborghi elegan­ti di nord Tel Aviv e oggi vive in un appar­tamento della periferia ricca, ad Herzliya, la città dedicata a Theodor Herzl, il fonda­tore del sionismo.
Kalvarisky è tra i membri di Brit Sha­lom, un gruppo che aveva cercato fin dal­l’inizio di trovare soluzioni alla conviven­za con gli arabi. Altri padri della patria subi­scono nel libro un trattamento meno bene­volo: personaggi che ricordano David Ben-Gurion e Moshe Dayan vengono de­scritti, attraverso lo sguardo visionario di Salah, come «guerrafondai che danzano sul sangue».
«La maison Dajani» (verrà pubblicato in Italia da Einaudi) è in testa alle classifi­che dei libri più venduti e ha vinto — e perso nel giro di qualche giorno — uno dei premi letterari più ricchi del Paese. Il
Forum legale per la terra d’Israele, un gruppo ultranazionalista nato per opporsi al ritiro da Gaza, ha accusato Yossi Sarid, presidente della giuria, di conflitto di inte­ressi perché la editor di Hilu è sua nipote. Mifal Hapayis, il lotto nazionale e sponsor del concorso, ha deciso di fermare la vinci­ta, il caso è diventato politico (o forse lo è sempre stato), è finito su tutti i giornali e ieri pure in parlamento. «I critici hanno so­stenuto — spiega lo scrittore — che il con­tenuto non c’entra. Eppure sono sicuro che la guerra è stata aperta dal mio discor­so di accettazione, quando ho detto: 'Que­sto libro parla della nakba , una parola che sembra vietato pronunciare'». Il premier Benyamin Netanyahu considera il termine «catastrofe», usato dai palestinesi per defi­nire la nascita dello Stato ebraico, propa­ganda contro Israele e il suo governo ha deciso di cancellarlo dai testi scolastici, do­v’era stato inserito due anni fa da Yuli Ta­mir, ministro dell’Educazione laburista.
Il ministero degli Esteri ha comunicato a Hilu — in via non uffi­ciale — di non esser più disposto a pagare, come succede con gli al­tri scrittori, i suoi viag­gi all’estero per rappre­sentare il Paese. Il quoti­diano
Maariv ha con­dotto una campagna contro il romanzo. «L’autocritica è ammes­sa — dice l’editorialista Ben-Dror Yemini al Washington Post — ma esistono linee ros­se da non superare. Quando gli ebrei o i sio­nisti vengono ritratti in quel modo, diven­ta delegittimazione e demonizzazione del­l’intera idea di Stato ebraico».
Il quotidiano ha esortato la casa editrice a mandare al macero le prime cinquemila copie, quelle che in copertina riportano il marchio «Vincitore del premio Sapir 2009». «Se qualcuno chiede di bruciare i li­bri, la democrazia è a rischio», reagisce Hi­lu. Che spiega di considerarsi «un buon sionista»: «Ho scritto questo romanzo pro­prio perché voglio che lo Stato israeliano continui a esistere. I sionisti hanno vinto, sono stati i conquistatori, non li accuso. Ma la società israeliana deve conoscere il passato per salvare se stessa».

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