Se sei ebreo non hai diritto di comprare una casa a Gerusalemme 29/07/2009
Gerusalemme, la Torre di David
Cari amici, oggi parliamo di vacanze, dato che siamo nel periodo giusto, anzi di turismo. Il turismo ha molte forme, c'è quello di gruppo e quello individuale, quello delle crociere e quello dei villaggi turistici, quello "sportivo" dei tifosi, quello balneare, quello culturale, quello religioso e perfino quello sessuale. Non staremo qui a giudicarli, anche se è chiaro che alcuni sono meno raccomandabili degli altri. Di recente però, almeno riguardo a Israele, si è affermato un altro tipo di turismo, quello di protesta. C'è parecchia gente che viene apposta dall'Italia, dalla Germania o dall'Inghilterra, per "aiutare" i palestinesi a lottare. Per esempio la polizia ha notato che nelle manifestazioni che si svolgono tutti i venerdì a Bil'in contro la costruzione della barriera di sicurezza, gli abitanti del paese presumibilmente interessato sono praticamente scomparsi. C'è qualche arabo proveniente dalle città della Cisgiordania, ma soprattutto non mancano mai (anzi sono regolarmente in maggioranza) i "pacifisti" provenienti dal resto del mondo con una gran voglia di menar le mani (strana idea quella di essere pacifisti che fanno a botte... mah?). Comunque Bil'in è una specie di must del turismo di protesta in Israele, come andare alla basilica della natività per i turisti religiosi cristiani, ci sono passati un po' tutti, dalla Morgantini in su. Ma ora si è diffusa la moda di contestare le ristrutturazioni edilizie a Gerusalemme. Lo sapete tutti quanti, se sei ebreo non hai diritto di comprare una casa a Gerusalemme, almeno non nei quartieri che piacciono ai nostri turisti di protesta. (Provate a immaginare cosa accadrebbe se qualcuno dicesse che gli ebrei non sono graditi diciamo alla Crocetta di Torino, a San Siro di Milano o a Kreuzberg a Berlino... tutti protesterebbero indignati; ma per i palestinesi, per i turisti di protesta e anche per Sant'Obama e i suoi sacerdoti Gerusalemme est deve restare judenrein, mentre se un palestinese decide di trasferirsi in un quartiere ebraico, come accade abbastanza spesso, va tutto bene... chissà forse c'entra col deicidio, o con la santa memoria di quel bel nazistone di Amin Al Husseini, che abitò da queste parti... e nessuno protesta) Fatto sta che i turisti di protesta adorano gridare ladri e colonizzatori alla gente che ha comprato casa nel quartiere (secondo loro) sbagliato di Gerusalemme. E dire che sono tutti favorevoli a qualunque tipo di immigrazione, clandestina o meno. Se un marocchino viene in Italia è un povero sfruttato; se un israeliano va a vivere a Gerusalemme è un colonizzatore. Ma se per caso fra Israele e territori si costruisce un muro, quello è apartheid e va combattuto con la forza. E dunque, tumulti, proteste e scontri con la polizia, a Gerusalemme, a Bil'in e altrove. D'altro canto probabilmente questi giochi fanno parte del pacchetto turistico, devono essere scritti anche nei depliant delle Ong organizzatrici e non si possono proprio impedire, per contratto. Val la pena di pensare però alle conseguenze di queste simpatiche coreografie belliche in cui si esercitano i pacifisti da viaggio. Si parla spesso di colonizzazione della Cisgiordania; ma non sarà che, come ha scritto di recente Seth Franzman, qui siamo in presenza di una "colonizzazione del conflitto"? I palestinesi magari su certe cose potrebbero voler venire a patti nel loro interesse, anche perché hanno a disposizione un accesso senza limiti alla giustizia israeliana, che non è mai tenera col governo. Ma i turisti di protesta non possono certo ammettere un simile compromesso con l'entità sionista e ci pensano loro ad attizzare il fuoco e sostenere le sacre ragioni dell'ideologia. Mi chiedete perché? Vi darò un'opinione, ma proprio in confidenza: ci sono gli sciocchi che ci credono, senza dubbio, e in mancanza del libretto di Mao e della faccia di Lenin esprimono la propria commovente nostalgia per il mondo che fu avvolgendosi nella kefià a mo' di coperta di Linus. Ma poi ci sono gli altri, i dirigenti delle Ong che dalla gestione del conflitto ricavano lo stipendio loro e dei loro dipendenti, oltre che il biglietto aereo per le loro vacanze di protesta. Li finanzierebbe Eurabia se invece di "assistere" i poveri contadini di Bil'in si occupassero dei pastori eritrei che hanno bisogno d'acqua e di tecnologie agricole? O delle donne del Kazakistan? Molto meno, questo è chiaro. Ancora una volta, follow the money, per il turismo di protesta e la colonizzazione del conflitto come per tutto il resto in fondo quel che conta è un piccolo business.