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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.07.2009 Romano mischia le carte in tavola
Sostiene che le organizzazioni ebraiche guidano l'economia degli Usa

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 luglio 2009
Pagina: 31
Autore: Sergio Romano
Titolo: «L'enigma Rafsanjani, l'ideologia e gli affari»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/07/2009, a pag. 31, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " L'enigma Rafsanjani, l'ideologia e gli affari ".

Sergio Romano, perseguitato dall'incubo del complotto ebraico, mischia le carte in tavola. Che le varie organizzazioni ebraiche americane tengano gli occhi aperti sulla politica iraniana è un fatto, ma che abbiano il potere di guidare l'economia americana, come subdolamente afferma Romano, è una verità che può mettere radici solo in una mente soffocata dal pregiudizio anti israeliano come quella di Romano. Che poi l'abbia letto in un libro scritto da un illustre sconosciuto che si chiama Trita Parsi non conta un bel nulla.
Anche "I protocolli dei savi di Sion" è un libro al quale sovente Romano sembra richiamarsi. Vero il richiamo di Romano, ma non il contenuto del libro.
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:

 Ayatollah Rafsanjani

Ho avuto occasione di incontrare l’ayatollah Rafsanjani quando ero ambasciatore a Teheran.
Riceveva nel lussuoso palazzo del senato imperiale e non come Khomeini in un capannone con pavimento di terra battuta. Porta il copricapo bianco dei «sayed» e non quello nero dell’alto clero sciita che si richiama alla discendenza da Maometto.
Rafsanjani difendeva a spada tratta il regime khomeinista.
La sua folgorante carriera ai vertici del potere induce a qualche cautela nel farne ora la ipotetica punta del riformismo e il burattinaio di Moussavi. Il suo recente sermone è un capolavoro di astuzia e ambiguità. Avergli consentito di parlare dal
pulpito più ascoltato del venerdì solleva qualche dubbio sullo scopo di una sceneggiata forse anche finalizzata a strumento di propaganda esterna a prova di apparente apertura alla democrazia.

Francesco Mezzalama , Roma

Caro Mezzalama,

R
icordo ai lettori che Hashemi Rafsanjani è stato presidente della Repubblica per due mandati (dal 1989 al 1997) e che è oggi presidente dell’Assemblea de­gli esperti, vale a dire dell’orga­no istituzionale che designa il leader supremo e può addirittu­ra, in alcune circostanze, desti­tuirlo. Fu battuto da Ahmadi­nejad nelle elezioni presiden­ziali di quattro anni fa, ma ri­mane pur sempre una delle per­sonalità
più autorevoli in un delicato ingranaggio di pesi e contrappesi. Non basta. Grazie alla coltivazione e al commer­cio dei pistacchi (una posta im­portante dell’intercambio ira­niano) è uno dei più ricchi uo­mini d’affari del Paese: una qua­lità che i suoi avversari gli han­no frequentemente rimprovera­to.
Nella sua recente «preghiera del venerdì» Rafsanjani ha mosso critiche molto severe al­la gestione politica delle grandi manifestazioni di protesta del­le scorse settimane ed è parso mettere in discussione, implici­tamente,
l’autorità del leader supremo. Ma lei, caro Mezzala­ma, pensa che questa omelia appartenga al gioco delle parti e sia quindi strumentale. È cer­tamente possibile. La politica iraniana può essere molto scal­tra e sottile. Ma non sarebbe giusto dimenticare che Raf­sanjani ha sempre incarnato l’anima economica della rivolu­zione iraniana. In un bel libro sui contatti segreti fra Iran, Usa e Israele, apparso presso la Yale University Press, uno studioso, Trita Parsi, ricorda che il suo programma, quando divenne presidente della Repubblica, fu quello di «rompere l’isolamen­to internazionale» dell’Iran e di fare della ricostruzione econo­mica (il Paese era appena usci­to dalla guerra con l’Iraq) «una cruciale priorità». Più tardi re­spinse la tesi secondo cui la po­litica estera dell’Iran avrebbe dovuto basarsi su motivazioni ideologiche, indipendentemen­te da qualsiasi pratica conse­guenza. Fu questa la ragione per cui, verso la metà degli an­ni Novanta, lanciò un interes­sante segnale agli Stati Uniti of­frendo un proficuo contratto al­la società petrolifera america­na Conoco. L’affare, per un mi­liardo di dollari, stava per con­cludersi con l’approvazione del­la Casa Bianca quando la lobby filoisraeliana (Aipac, American Israel Public Affairs Commit­tee) lanciò una campagna poli­tica contro l’Iran e riuscì a im­pedirne la conclusione. Forse converrebbe riservare alle paro­le di Rafsanjani, in questa fase della politica iraniana, almeno il beneficio del dubbio.

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