Fareed Zakaria, quel brutto vizio di sottovalutare L'analisi di Alessandro Litta Modignani
Testata: Informazione Corretta Data: 29 luglio 2009 Pagina: 1 Autore: Alessandro Litta Modignani Titolo: «Fareed Zakaria, quel brutto vizio di sottovalutare»
Fareed Zakaria
Sul Corriere della Sera del 27 luglio, Fareed Zakaria sostiene che “la palla adesso è nel campo di Teheran, tocca a Khamenei e ad Ahmadinejad rispondere”. Secondo questa analisi, “il tempo non sta dalla parte dell’attuale regime iraniano”, ragion per cui “la strategia migliore è di non fare nulla”. Il direttore di Newsweek non è nuovo a questo tipo di sottovalutazioni. Già nel 2002, nel suo libro “Democrazia senza libertà”- peraltro assai interessante - egli prevedeva ottimisticamente che il regime degli Ayatollah, sottoposto nuovamente alla prova della elezioni, sarebbe entrato in crisi e si sarebbe rapidamente evoluto verso forme di democrazia più laica e moderna. La volta dopo, era la tesi di Zakaria, i militanti islamici si sarebbero sentiti rispondere: “Conosco già questa storia !” dagli elettori, delusi dalla propaganda del regime dei mullah. Sappiamo invece come è andata a finire. Nel 2005 non solo non c’è stata svolta moderata, ma addirittura ha vinto Ahmadinejad. E poiché, come è noto, al peggio non c’è limite, quest’anno abbiamo avuto la conferma, fra brogli e violenze, del presidente-dittatore che vuole la bomba atomica e minaccia di cancellare Israele dalla carta geografica. Qualcuno ha chiesto conto a Fareed Zakaria della sua clamorosa svista di allora ? Prima di avventurarsi in nuove, disinvolte previsioni, egli avrebbe il dovere morale di riconoscere di avere completamente sbagliato analisi e chiedere scusa del suo irresponsabile ottimismo ai lettori. Dove trova invece oggi il coraggio di sostenere che “i mullah non aspirano affatto alla catastrofe universale” e che “la repubblica islamica sta perdendo la caratteristica base religiosa, per trasformarsi in una delle tante dittature mediorientali” ? Questa lettura dimostra fra l’altro un completo travisamento della natura intrinseca, qualitativamente diversa, del regime di Teheran. La domanda ripropone una questione decisiva per le società democratiche: quella della responsabilità degli intellettuali, sulla quale da sempre si interrogano le migliori coscienze del mondo contemporaneo. Chi svolge il ruolo di opinion-leader e dirige un settimanale del prestigio internazionale di Newsweek, dopo essersi avventurato in valutazioni a tal punto superficiali e improbabili, dovrebbe almeno ritrovarsi al centro di una salutare e incalzante polemica, tale da consentire all’opinione pubblica di valutare appieno le possibili conseguenze del suo pericoloso minimizzare.