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La Stampa Rassegna Stampa
29.07.2009 Afghanistan: Londra vuole trattare con i talebani
Cronaca di Francesca Paci, intervista a Charlie Kupchan di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 29 luglio 2009
Pagina: 2
Autore: Francesca Paci - Maurizio Molinari
Titolo: «Londra apre ai taleban più moderati - I vostri dubbi preoccupano la Casa Bianca»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 29/07/2009, a pag. 4-5, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Londra apre ai taleban più moderati ", articolo indicativo dell'atteggiamento cala brache della Gran Bretagna, e l'intervista di Maurizio Molinari a Charlie Kupchan, ex consigliere della Casa Bianca negli anni di Bill Clinton, dal titolo " I vostri dubbi preoccupano la Casa Bianca ". Ecco gli articoli:

Francesca Paci : "Londra apre ai taleban più moderati "

 David Miliband

A che punto della battaglia vale la pena ridurre il fuoco per provare a parlare con il nemico della fine della guerra? Nell'arduo dilemma occidentale sul recupero dei cattivi, da Hamas a Hezbollah passando per l'Ira, è il turno del mullah Omar: invitarlo al tavolo delle trattative, a costo di riconoscerne l'autorità, oppure no? Secondo il ministro degli Esteri britannico David Miliband l'ora è propizia: dopo otto anni di conflitto l'Afghanistan è a una svolta e il dialogo con i taleban, un tempo impensabile, non va più considerato un tabù. Mentre l'Union Jack listata a lutto saluta il ritorno in patria del ventiduesimo militare ucciso nella provincia di Helmand dall'inizio di luglio, Londra cambia tattica e immagina un'ipotesi alternativa alle armi.
Lunedì, al quartier generale della Nato a Bruxelles, Miliband ha tastato il terreno: «I taleban sono stati fiaccati, ormai solo l'8 per cento della popolazione li rivorrebbe al potere. Dobbiamo aiutare il governo di Kabul ad approfittarne lavorando sulle divisioni dei ribelli e recuperando quelli più disponibili a convivere con la costituzione afgana». Dagli alleati, per ora, nessuna risposta. Ma è probabile che l'interlocutore reale del ministro fosse il proprio elettorato, sempre più disilluso dalla guerra lontana che è già costata al Regno Unito 191 vittime. Un sondaggio dell'Independent rivela che il 52% dei britannici vorrebbe il ritiro immediato del contingente e il 58% è convinto che quella afghana sia una causa persa.
Downing Street gioca la carta del negoziato. Il presupposto è che la fase A dell'operazione Panchai Palang (artiglio di pantera), 5 settimane di scontri durissimi per estendere il controllo della Coalizione nella valle di Helmand, una regione grande 380 chilometri quadrati dove vivono circa 80 mila persone, sia stata un successo e il Department for International Development si accinge a investire 500 mila sterline in 4 anni nella zona «liberata».
«Quando parla di dialogo, David Miliban pensa a qualcosa di grosso», ci spiega Antonio Giustozzi, esperto di Afghanistan del Crisis Research Centre, il centro studi della London School of Economics. Se negoziato sarà, riguarderà i duri: «L'allusione ai taleban cosiddetti moderati serve per attenuare l'impatto della svolta. Quelli che erano tali sono stati cooptati nel 2003, quando elementi del vecchio regime come l'ex ministro degli Esteri Muttawakil furono riassorbiti dal governo di Karzai. Oggi, sebbene nessuno lo ammetta, si tratta con i taleban veri escludendo solo i combattenti stranieri e quelli troppo compromessi con Al Qaeda che dopo la morte del mullah Dadullah si sono riorganizzati». Nonostante l'ostilità di Kabul, l'intelligence britannica sarebbe in contatto con i ribelli da oltre un anno: «La guerra sta andando male. Militarmente si potrebbe ancora vincere ma ci vorrebbero dieci, vent'anni. Il problema è uscirne e i generali britannici hanno capito che la tattica dei colloqui con i comandanti locali, testata dal 2006, non funziona. I taleban "addomesticabili" contano poco, come i mercenari pagati 10 dollari al giorno e facilmente rimpiazzabili. La pace si fa con il nemico».
«Perfino nel 1981, mentre i prigionieri dell'Ira si lasciavano morire di fame in carcere, il governo britannico manteneva un canale segreto con gli elementi più radicali del movimento repubblicano», osserva Henry McDonald, autore del saggio sui Troubles «Gunsmoke and Mirrors». Margaret Thatcher sapeva che i suoi agenti dialogavano con avversari irriducibili come Martin McGuinness, oggi vicepremier nordirlandese. Gli accordi del venerdì santo faranno scuola? Secondo il professor Giustozzi la direzione è quella ma il terreno appare più impervio: «In Irlanda la Gran Bretagna aveva forze preponderanti ed era in posizione di forza. In Afghanistan, per ora, l'iniziativa resta ai taleban».

Maurizio Molinari : "I vostri dubbi preoccupano la Casa Bianca "

 Charlie Kupchan

Le parole di Umberto Bossi sul ritiro dall’Afghanistan preoccupano l’amministrazione Obama»: parola di Charlie Kupchan, titolare degli studi europei al «Council on Foreign Relations» di Washington nonché ex consigliere della Casa Bianca negli anni di Bill Clinton.
Quali sono i motivi della preoccupazione americana?
«Riguardano due aspetti. Il primo ha a che vedere con il fatto che finora l’opposizione alla guerra afghana in Europa è venuta soprattutto dalla sinistra, penso all’estrema sinistra in Italia e alla Spd in Germania. Il fatto che la Lega Nord, componente-chiave di una maggioranza di centrodestra in Italia, faccia proprie le obiezioni all’intervento della Nato suggerisce che lo scontento in Europa sta diventando più vasto. E se questo suscita forte preoccupazione lo si deve al secondo aspetto della vicenda: l’amministrazione Obama ha appena iniziato nell’Helmand un’offensiva militare anti-taleban di vasta portata, destinata a richiedere più impegno agli alleati, in termini economici e di vite umane. I dubbi italiani dunque indeboliscono la coalizione e fanno sembrare più vulnerabile la missione della Nato».
Le garanzie date dal premier Silvio Berlusconi sulla permanenza delle truppe italiane rassicurano la Casa Bianca?
«Certo, ma quanto avvenuto resta comunque un serio segnale di allarme per Washington. La Casa Bianca ha sempre considerato l’Italia un alleato stabile, sicuro, in Afghanistan. Ora invece le parole di Umberto Bossi fanno sorgere dubbi su che cosa potrà avvenire. L’Italia entra nell’insieme di quei Paesi della Nato, come il Canada e i Paesi Bassi, dove è in atto un duro dibattito interno sul mantenimento o meno delle truppe in Afghanistan».
Come spiega la decisione del governo britannico di dirsi a favore di un dialogo con i taleban?
«E’ un passo in sintonia con gli orientamenti dell'amministrazione Obama, intenzionata a cercare di ottenere maggiore stabilità in Afghanistan offrendosi come interlocutore a quei capi taleban disposti ad abbandonare Al Qaeda e il mullah Omar, a rinunciare alla guerriglia perché convinti di poter ottenere di più dallo scenario della pacificazione».
Ma come è possibile decidere con quali taleban trattare?
«Spetta all’intelligence farlo, sulla base delle informazioni raccolte in loco, per poter distinguere fra capi terroristi e possibili interlocutori locali».
Sul modello di quanto riuscito all’amministrazione Bush nel Triangolo Sunnita in Iraq?
«Sì, ma con la differenza che in questo caso è tutto più difficile. In Iraq le tribù hanno una struttura più coesa e quando si fa l’accordo con un capo-tribù si ha la certezza che verrà rispettato in una determinata area, in Afghanistan invece le tribù sono meno solide, c’è maggiore frammentazione ed è per questo che bisogna andare nei singoli villaggi a fare accordi con i capi locali. Ciò comporta più tempo, risorse e ovviamente più rischi».
Che impatto avrà la missione Nato in Afghanistan sul futuro del peacekeeping?
«A mio parere l’amministrazione Obama sta tentando di resuscitare il peacekeeping. Lo fa in Iraq, accelerando il ritiro delle truppe, e anche in Afghanistan, accelerando l’addestramento delle forze di sicurezza locali. In entrambi i casi il processo in corso è di ridurre la presenza e il ruolo delle truppe combattenti, americane e Nato, ponendo le basi per un ritorno alle missioni internazionali di mantenimento della pace».

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