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La Stampa Rassegna Stampa
26.07.2009 Hotel Guantanamo ? Ma non era una prigione ?
L'accurato reportage di Francesco Semprini

Testata: La Stampa
Data: 26 luglio 2009
Pagina: 1
Autore: Francesco Semprini
Titolo: «Viaggio nelle celle di Guantanamo»

Accurato e molto ben raccontato, il reportage di Francesco Semprini su Guantanamo, sullaSTAMPA di oggi, 26/07/2009, a pag.1-4 con il titolo " Viaggio nelle celle di Guantanamo ", un titolo infelice, l'articolo di Semprini è molto di più. Gli esteri della STAMPA avranno perso tempo per cercare di capire il pezzo di Trombetta da Beirut (vedi altra pagina di IC di oggi). Ecco l'articolo:

 Hotel Guantanamo ?

Un fascio di luci squarcia il buio della notte mentre con la camionetta militare attraversiamo la base di Guantanamo. «Quello è Camp Delta», dice uno dei militari della scorta che non ci lascerà un istante.
Superato il check point della «militar police» arriviamo davanti all’entrata del compound che ospita i campi di detenzione. Ancora un controllo e siamo dentro, il rumore della cancellata alle nostre spalle ci rende ancor più netta l’idea della prigione. Intorno si avverte il calpestio degli anfibi sulla ghiaia e l’odore della polvere bagnata dall’ultimo temporale tropicale. Siamo nel cuore dei Caraibi, Gitmo è un’enclave americana sull’isola di Cuba, considerata da Fidel Castro «la spina nel fianco per l’orgoglio dell’Avana». Base navale statunitense dal 1903, è stata in parte riconvertita in campo di detenzione per terroristi e talebani all’indomani dell’11 settembre 2001, ed è oggi popolata da settemila persone tra militari, civili e famiglie al seguito.
La visita inizia con una prospettiva sulla vita dei detenuti, tutti di religione musulmana: la prima preghiera, quella che precede di poco l’alba. Ci arrampichiamo sulla torretta di guardia protetti dai riflettori puntati sulle celle 24 ore su 24. L’imam recita i versetti del Corano e gli altri si dispongono in fila orizzontale su una guida verde allungata nel cortile. «È uno dei momenti più importanti per loro - dice il sergente di guardia - Non manca mai nessuno». Siamo a Camp 4 la prigione di media sicurezza, quella dei detenuti meno pericolosi a cui è concesso di stare molto tempo all’aperto e dedicarsi ad attività ricreative. Accanto c’è la biblioteca, con alcune centinaia di testi in 18 lingue dall’arabo all’inglese, dal farsi al pashtun. I più richiesti oltre ai libri sacri del profeta Maometto portati a mano dai detenuti esclusivamente da impiegati di religione musulmana in osservanza ai precetti del Corano, sono le grammatiche inglesi. «Si esercitano in vista del processo», ci spiega la responsabile della Library. Notiamo tra gli scaffali letture in lingua italiana come «Caos calmo». «In realtà nessuno le ha mai chieste - prosegue - tutti vogliono Harry Potter». Il supermaghetto è anche tra i dvd più ambiti, secondo solo alle partite di calcio. «Le sfide dei mondiali 2006 sono le più viste nella sala tv di Camp 4», racconta una delle guardie. «Il pallone è il loro passatempo preferito, e non c’è giorno che non giochino. - prosegue - A volte litigano e non mancano gli infortuni». La conferma arriva dall’ufficiale responsabile del pronto soccorso: «Il maggior numero di lastre e radiografie che facciamo sono per contusioni e distorsioni». L’ospedale funziona come una qualsiasi struttura civile, anche se l’armadietto con tubi e flebo per l’alimentazione forzata ci ricorda ancora una volta che siamo in un carcere sui generis.
Diverso è il clima di Camp 5 dove sono rinchiusi gli elementi più pericolosi e la detenzione è assai dura. Uno dei prigionieri si accorge della nostra presenza e grida qualcosa in arabo, l’interprete spiegherà più tardi che ci ha dato dei criminali. La vera novità di Gitmo è Camp 6 il carcere più moderno realizzato secondo i nuovi criteri. «È una forma di miglioramento delle condizioni detentive frutto del lavoro comune svolto tra militari, Ong e avvocati», dice l’ammiraglio Tom Copeman, comandante della Joint Task Force che gestisce l’intera prigione.
I detenuti trascorrono 20 ore su 24 assieme, uno di loro chiede a una guardia un nuovo alfiere degli scacchi, l’altro si è rotto mentre giocava col vicino di cella. Il riscontro è positivo, le proteste sono diminuite così come gli scioperi della fame e i ricoveri coatti. L’alimentazione dei prigionieri è studiata nei minimi dettagli: le cucine sono separate da quelle dei militari e gestite da personale civile. Vigono ordine e pulizia e ogni giorno sono disponibili sei menù diversi, dal vegetariano a quello ricco di fibre. A Camp Delta della chiusura del carcere si parla poco e in generale il clima è di scetticismo. «Passeranno anni, altro che mesi», dice Sebastian, dipendente di un contractor della Difesa. È il grande business che ruota intorno a Guantanamo e i nomi delle società appaltatrici sono i soliti, prima fra tutte Kbr, la controllata di Halliburton una volta guidata da Dick Cheney. Lo scetticismo emerge già sul piccolo bimotore che da Fort Lauderdale ci porta alla base. A bordo una decina di legali dei detenuti tra cui è un continuo parlare del labirinto legale nel quale Washington è intrappolata. È giunta da poco la notizia del ritardo sulle procedure di revisione volute da Obama: «Il governo Bush ha creato un vero caos giuridico», ci spiega John Sifton, del team legale di Abu Zubaydah, uno dei 14 operativi di al-Qaeda trasferito a Gitmo dalle prigioni della Cia. L’impasse a livello governativo comporta la paralisi degli organi militari, come l’Oardec, l’ufficio che valuta se trattenere, rilasciare o trasferire i detenuti. A Camp Justice, dove si tengono i processi delle commissioni militari, le audizioni continuano: nell’aula due, di recente realizzazione, ci sediamo nel posto dove pochi giorni prima c’era Khalid Sheikh Mohammed, la mente degli attentati dell’11 settembre. Il suo è tra i procedimenti in corso ma sino a quando il governo non completerà la revisione sullo status dei detenuti ogni sentenza è sospesa.
L’ordine esecutivo di Obama ha creato però un certo fermento tra i prigionieri. «Erano increduli. Abbiamo dovuto distribuirne una copia a ognuno e il giorno dopo qualcuno aveva già radunato le sue cose perché convinto di uscire», racconta una giovane militare della marina di nome Erika. «Quando hanno capito che i tempi erano lunghi alcuni sono andati in escandescenza, uno di loro mi ha tirato un bicchiere d’urina mentre ero di guardia». In realtà alla gioia iniziale per la fine di Gitmo i detenuti si sono interrogati sul futuro, spiega Zak, traduttore e interprete culturale di Camp Delta: «Alcuni temono di tornare nel loro Paese, altri hanno paura che le prigioni federali siano peggiori e vogliono rimanere qui». Anche tra gli alti ranghi militari si percepisce qualche perplessità: «Noi eseguiamo gli ordini e se dobbiamo chiudere le prigioni e trasferire i detenuti lo facciamo, ma ci devono dire dove e come - spiega l’ammiraglio Copeman - Ci sono importanti questioni legali e politiche che Washington deve risolvere». Nel frattempo a Gitmo tutto continua come sempre e per i mondiali di calcio del prossimo giugno la sala tv di Camp 4 ha già registrato il tutto esaurito.

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