Il Ministro francese della giustizia Michelle Alliot-Marie è ricorsa in appello contro la sentenza del processo ai massaccratori di Ilan Halimi (vedere tutti gli articoli cliccando il nome di Ilan Halimi in < cerca nel sito>). L'articolo di Massimo Nava, sul CORRIERE della SERA di oggi, 24/07/2009, a pag.10, ha un titolo < La ministra e la giustizia dei " barbari "> ambiguo. perchè quelle virgolette alla parola barbari ? Il nome della Ministra poi, non compare nemmeno nell'articolo, come mai ? L'assassinio di Ilan Halimi, nella sua brutalità, non è un caso di omicidio qualunque. Rispecchia, invece, l'odio per gli ebrei spinto fino alle estreme conseguenze. Che ci sia un appello, questa volta a porte aperte, rende onore alla giustizia francese e al suo Ministro.



Michelle Alliot-Maire, Fofana, Ilan Halimi
Massimo Nava: -La Ministra e la giustizia del "barbari".
PARIGI — Uno dei diritti fondamentali — la giustizia, dalla parte delle vittime — può entrare in conflitto con la politica e con chi, avvocati e magistrati, la giustizia l'amministra? Una sentenza è appellabile dal guardasigilli, oltre che dalle parti processuali? La questione si è aperta in Francia e rischia di essere lacerante per le implicazioni particolarmente drammatiche di una recente sentenza: l'odiosità e la ferocia del delitto e il suo carattere antisemita che ha aggiunto emotività alla discussione e complicato la prima decisione di Michèle Alliot-Marie, ministro della Giustizia appena nominato.
In breve i fatti. Il 20 gennaio del 2006, un giovane commesso ebreo, Ilian Halimi, venne sequestrato e ucciso da una banda di periferia, che intendeva ottenere un riscatto, dalla famiglia o dalla comunità, nella presunzione che la vittima fosse «ricca» in quanto «ebrea». Il carattere antisemita del piano è emerso nell'inchiesta e al processo, a porte chiuse. Il capo della «gang dei barbari», Youssouf Fofana, un fanatico di origine ivoriana, è stato condannato all'ergastolo e 22 anni d'isolamento. In aula, non ha dato segni di pentimento, rivendicando la propria abiezione («Sono io che gli ho dato fuoco!») e ricusando gli avvocati.
Più contenute (o più miti, secondo la famiglia di Halimi, l'avvocato di parte civile ed esponenti della comunità ebraica) le condanne di una ventina di complici che dovranno scontare pene fra i 15 e i 18 anni. Una ragazza, che fece da «esca» per attirare il giovane, è stata condannata a nove anni (2 in meno della richiesta dell'accusa) perché minorenne all'epoca dei fatti.
L'ergastolo, oltre a 22 anni d'isolamento, non dovrebbero essere considerati una pena mite, in un Paese che ha abolito la pena di morte. Se però la condanna è circoscritta al primo responsabile, viene sminuita la dimensione collettiva di un piano antisemita. Questo sostengono la madre di Halimi e il legale. Inoltre, buona condotta e sconti potrebbero favorire riduzioni delle pene.
Anche i legali di Youssouf Fofana peraltro hanno presentato appello.
Con qualche voce isolata («Giudicare sull'onda dell'emozione è sempre un errore», ha detto un noto esponente della comunità, Theo Klein), le parti civili chiedono un nuovo processo, a porte aperte, affinché sia da monito per l'opinione pubblica.
Il ministro di Giustizia, sembra su pressioni dell'Eliseo, chiede e ottiene dalla procura di presentare appello, evidenziando un'ennesima volta la controversa posizione dei magistrati, formalmente liberi nelle inchieste, ma dipendenti in linea gerarchica dal guardasigilli. In questo caso, si ricorre contro una sentenza emessa da una giuria popolare.
La questione dell'indipendenza della magistratura, già all'ordine del giorno in relazione ai propositi di riforma annunciati dal presidente Sarkozy, riesplode e innesca due forme di protesta convergenti: quella degli avvocati difensori degli imputati che non vorrebbero piegarsi a una «decisione politica imposta dalle parti civili» e quella dei magistrati che vedono minacciata la loro autonomia. A complicare ulteriormente le cose, un progetto di legge che dovrebbe sottomettere alla decisione della corte il processo a porte aperte nel caso di accusati minorenni diventati maggiorenti nel frattempo. «Si fa spesso confusione fra autonomia dell'inchiesta e stato giuridico dei magistrati», ha detto il ministro.
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