martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
24.07.2009 Obama abbandona Israele ?
Per ora c'è ancora il punto interrogativo

Testata: Il Foglio
Data: 24 luglio 2009
Pagina: 1
Autore: La Redazione del Foglio
Titolo: «Obama abbandona Israele ?»

Sul FOGLIO di oggi, 24/07/2009, a pag. 1, una analisi sui rapporti fra Usa e Israele dal titolo " Obama abbandona Israele ? ". Per ora c'è ancora il punto interrogativo.

Roma. Le parole del segretario di stato, Hillary Clinton, sull’ombrello militare a protezione dei paesi del Golfo Persico sono l’ultima pietra d’inciampo nelle relazioni fra Washington e Gerusalemme. Dare per scontato che l’Iran arrivi ad avere l’atomica invece di usare tutti i mezzi per impedirlo è un “dettaglio” che a Israele non piace affatto, come ha spiegato martedì il ministro per l’Intelligence Dan Meridor: “E’ un errore. Ora dobbiamo lavorare perché non si avveri questa possibilità, non scendere a patti”. Qualche ora più tardi Clinton ha smentito che l’America abbia una “nuova politica” nei confronti di Israele e ieri ha bollato l’attuale caos di Teheran come il sintomo che “il paese non è capace di rispondere” ai segnali d’apertura annunciati a piena voce da Obama; ma a quel punto il dibattito sul ritorno alla dottrina del contenimento non era più controllabile. Negli ultimi mesi le scintille fra i due paesi amici si sono trasformate in fiamme e alcuni analisti dicono che l’America di Barack Obama sta abbandonando Israele su tutti fronti, dai dissensi sugli insediamenti fino alla politica della “mano tesa” al mondo arabo. E, primo fra i “concern” di Gerusalemme, il regime iraniano. Le fonti diplomatiche interrogate dal Foglio dicono che fra i due paesi si sta svolgendo un’intensa attività a porte chiuse, mentre pubblicamente si tenta di minimizzare. “Prevenire un Iran nucleare è un imperativo assoluto – spiega al Foglio un ex diplomatico di Israele – e l’acquiescenza implicita nelle parole di Clinton è un tema su cui Israele deve riflettere. Ma il disaccordo esplicito fra i due paesi è sul congelamento degli insediamenti”. L’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Itamar Rabinowitz, parlando con il Foglio, nega qualunque raffreddamento nei rapporti e aggiunge: “Certo, Israele vorrebbe che l’America prendesse misure più decise sull’Iran, ma questo non compromette le relazioni fra i paesi”. A Washington molti analisti si stanno chiedendo che tipo di rapporto Obama sta cercando di instaurare con Israele, dopo gli otto anni di salda amicizia con l’Amministrazione Bush. Michael Rubin, ricercatore dell’American Enterprise Institute, il think tank più caro a George Bush, dice al Foglio che “sembra proprio che l’Amministrazione Obama stia abbandonando Israele, ma il Congresso di sicuro non lo sta facendo. Il Parlamento potrebbe costringere Obama a spiegare la sua indulgenza verso l’Iran e la sua freddezza verso Israele”. La sensazione che qualcosa stia cambiando è concreta. Ieri alcuni ufficiali israeliani hanno svelato i dettagli del programma Arrow II, il sistema missilistico israelo-americano (ci lavorano l’Israel Aerospace Industries e Boeing) che da circa tre settimane viene testato al largo delle coste della California. I missili servono a difendere Israele da un possibile attacco di Teheran. A parte che i test pare non abbiano dato i risultati sperati, il segnale diplomatico è ambiguo: la preoccupazione degli Stati Uniti per la minaccia iraniana può essere letta come un segnale di distensione ma anche come il simbolo della resa al fatto che l’Iran avrà, prima o poi, un arsenale in grado di fare paura a Gerusalemme. “Ebrei che odiano se stessi” I sommovimenti diplomatici sono soltanto gli ultimi episodi di una serie. Il 6 luglio il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi dall’Iran, ma pochi giorni dopo, alla vigilia del G8, Barack Obama, ha detto che la “luce verde” per un’azione israeliana contro Teheran non è accesa. A questo va sommato il capostipite degli attriti fra il governo di Benjamin “Bibi” Netanyahu e Obama: il discorso del Cairo, in cui il presidente americano ha ammiccato al mondo arabo; Bibi ha risposto con l’intervento all’Università di Bar Ilan, dove ha messo il paletto fondamentale del dialogo: il riconoscimento di Israele come stato ebraico. L’intervento del Cairo è stato criticato, seppure con garbo, anche dal moderato presidente dell’American Jewish Committee tre giorni fa davanti a venti senatori americani. Prima c’era stata la visita di Netanyahu a Washington, coperta da una coltre di freddezza e raccontata dai media israeliani con grande scetticismo. Lo strascico è arrivato fino alle dichiarazioni di Netanyahu, riportate dal quotidiano Haaretz, sul capo dello staff di Obama Rahm Emanuel e l’amico e consigliere di Obama David Axelrod. Secondo il giornale liberal, Bibi li avrebbe chiamati “ebrei che odiano se stessi”. La dichiarazione, smentita dall’ambasciatore israeliano a Washington, Michael Oren – che nelle poche dichiarazioni ufficiali dice che va tutto bene – ha infiammato gli editorialisti israeliani. Haaretz titolava un editoriale “Parla con noi, Mr President”; il super columnist Yoel Marcus dice che Obama “parla di noi, non con noi”, mentre tutta la stampa fa notare che la sinistra radicale israeliana, storicamente contraria agli insediamenti, non sta protestando come di solito fa quando il governo approva nuove costruzioni.

Per inviare al Foglio la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT