Sul CORRIERE della SERA di oggi, 23/07/2009, a pag.8, con il titolo " No al multiculturalismo della Sharia ", Pierluigi Battista analizza il preoccupante problema dei tribunali islamici in Gran Bretagna.

Ma con i tribunali della sharia che in Inghilterra sembrano funzionare a pieno regime, che ne sarà dei cittadini liberi e uguali di fronte alla legge? Che resta dello Stato di diritto, della parità giuridica tra uomini e donne, del rispetto dei diritti umani fondamentali, dell’ habeas corpus di cui la Gran Bretagna vanta con orgoglio la primogenitura, del riconoscimento legale per ciascuno alla tutela della propria integrità fisica, del proprio corpo, della propria dignità inviolabile?
Con il sostegno dell’arcivescovo di Canterbury e del presidente della Corte Suprema si sta consolidando nel Regno Unito un diritto parallelo e alternativo a quello istituito dalla legge valevole per tutti i cittadini, a prescindere dal loro credo religioso. Nel nome della retorica multiculturale e multireligiosa reintroduce una frammentazione di stampo feudale che nega alla radice l’unicità e il monopolio della giustizia in nome dello Stato. Interviene sulle controversie civili, applicando lo spirito e la lettera della sharia anziché quelli dei codici statali. Il Times
forse esagera quando indica la possibilità che l’Inghilterra possa presto conoscere l’orrore del «taglio delle mani» per i ladri e la lapidazione per le adultere. Ma bisogna tener conto che in tutti i Paesi dominati dall’integralismo musulmano, quelle «sanzioni» che noi consideriamo ripugnanti costituiscono la norma.
E comunque, per risolvere contenziosi e controversie nell’ambito di una porzione di un gruppo chiuso ed estraneo alla legge e alla Common Law che regolano la vita di tutti gli altri cittadini, presso le moschee del Regno Unito si amministrerà la giustizia in nome di princìpi e dogmi che contemplano la poligamia e il ripudio della moglie. Si leggeranno sentenze che detteranno scelte e comportamenti su argomenti delicatissimi come la mutilazione genitale femminile. Si pronunceranno giudizi sulla liceità dei matrimoni misti. Si regolerà la disciplina e la condizione dei divorzi. Si sancirà attraverso la parola di un «tribunale» riconosciuto dallo Stato l’effettiva disuguaglianza dei sessi, la subordinazione della donna sulla base di una lettura fondamentalista della legge coranica. Ed è facile immaginare gli effetti che l’istituzione di questo diritto particolare, parallelo e alternativo a quello dello Stato, nel caso in cui sotto il controllo dei dottori della sharia dovessero finire omosessuali «deviati» e meritevoli delle peggiori punizioni.
I tribunali della sharia già operanti in Inghilterra sono già un’ottantina, ma le reazioni all’interno del Regno Unito sono state finora blande, timide, impaurite, minoritarie. L’opinione pubblica europea appare acquiescente e paralizzata dal terrore di alimentare, con la semplice difesa dello Stato di diritto che regola la vita dei cittadini di una libera nazione, uno «scontro di civiltà» con l’Islam in quanto tale: preoccupazione legittima, ma che dà per scontato l’equivalenza di pacificazione e rassegnazione. L’opinione colta sembra stregata e ipnotizzata dalle formule rituali del verbo multiculturalista. Gli intellettuali del fondamentalismo islamico sono accolti con curiosità, interesse e addirittura entusiasmo (si veda il caso di Tariq Ramadan, peraltro molto influente nella politica inglese che conta e che delibera) dai salotti culturali affascinati dall’estremismo verbale di chi critica le pretese eurocentriche dell’Occidente liberale e democratico. Ciò che resta del pensiero femminista sembra non darsi cura di questa istituzionalizzazione nel cuore dell’Europa di una legge che codifica la subalternità delle donne.
Appare molto debole ed erratica la preoccupazione che l’«apartheid legale» di cui parla il Times possa costituire non una bizzarra eccezione, ma l’anticipazione di richieste che potrebbero sconvolgere e snaturare lo Stato di diritto nel centro del continente europeo. L’idea che esistano zone franche dove la legge comune non ha accesso non viene accolta con inquietudine e angoscia. La semplice ipotesi (sinora scongiurata da un avvocato «terzo» che dovrebbe vigilare sulla non contraddittorietà dei verdetti con la legge inglese) che una controversia all’interno della comunità separata in Inghilterra possa avere come esito la fustigazione di un cittadino britannico non viene vista con allarme come l’antitesi del principio che nessuno, sotto la protezione della legge, possa essere percosso, umiliato, torturato, violato nella propria integrità fisica. I tribunali inglesi della sharia suonano invece come un annuncio di morte della tutela sin qui garantita dei diritti fondamentali di tutti e di ciascuno. Si è ancora in tempo per non perdere l’ultima parte del diritto.
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