Sul CORRIERE della SERA di oggi, 21/07/2009, a pag.39, con il titolo " Dare Gerusalemme all'Onu: bello, ma impossibile " la rubrica di Sergio Romano, che evidenzia sin dal titolo le intenzioni dell'autore. Come sempre Romano, annacqua, quando non può mentire spudoratamente, gli avvenimenti storici. Per cui nel '48 i Paesi arabi "provocarono una guerra " , mentre avrebbe dovuto scrivere che attaccarono Israele per distruggere lo Stato ebraico appena ricostituito. Che poi Gerusalemme sia un città santa per gli arabi è una bufala che Romano diffonde abitualmente. Gli consigliamo di leggere il Corano, vedrà che Gerusalemme non è citata nemmeno una volta. In quanto al titolo, Romano si dia una calmata, Gerusalemme è la capitale di Israele, non della Palestina, checchè lui lo speri o lo sogni. Ecco lettera e risposta:
Gerusalemme, il Kotel, o muro occidentale
In estrema sintesi: trasferire la sede delle Nazioni Unite da New York a Gerusalemme, rendendo quest’ultima una città Stato sotto l’amministrazione Onu. Sarebbe opportuno, possibile, in quali condizioni?
Antonino Calabrese
a.calabrese@company-tutoring.it
Caro Calabrese,
Se la spartizione della Palestina, nel 1948, avesse avuto luogo secondo la risoluzione dell’Onu, Gerusalemme sarebbe divenuta una città internazionale e avrebbe avuto probabilmente uno statuto simile a quello previsto per il Territorio Libero di Trieste, con un governatore nominato dal Consiglio di sicurezza della maggiore organizzazione internazionale. Ma i Paesi arabi contestarono la risoluzione e provocarono una guerra che si concluse, di fatto, con due vittorie: quella di Israele, che allargò il territorio originalmente assegnato agli insediamenti ebraici, e quella della Transgiordania (come si chiamava allora) che conquistò la città vecchia di Gerusalemme e ne mantenne il possesso. La situazione cambiò nel 1967 quando Israele sconfisse i Paesi arabi e conquistò il Sinai, la striscia di Gaza, le alture del Golan e la Gerusalemme giordana. La corsa dei soldati israeliani verso il Muro del pianto attraverso i vicoli della città vecchia e le note del corno biblico con cui il rabbino delle forze armate salutò la «riconquista», dimostrarono quali fossero i sentimenti della società israeliana e le intenzioni del suo governo. A differenza del Sinai, di Gaza e del Golan, Gerusalemme non sarebbe stata per Israele un territorio occupato, da restituire o negoziare al momento della conclusione di un trattato di pace. A scanso di equivoci la città venne immediatamente proclamata capitale dello Stato ebraico.
La mossa israeliana rimane tuttora una decisione unilaterale, non riconosciuta dall’insieme della comunità internazionale, e lo dimostra il fatto che le ambasciate straniere siano sempre a Tel Aviv. Ha cominciato a farsi strada nel frattempo la speranza di un compromesso che farebbe di Gerusalemme, divisa seconda una linea da definirsi, la capitale di due Stati. Ma la guerra libanese del 2007, la guerra di Gaza del 2008, la vittoria del Likud nelle ultime elezioni israeliane e la formazione di un governo presieduto da Benjamin Netanyahu, hanno reso questa prospettiva sempre meno realistica. Temo quindi che il trasferimento dell’Onu a Gerusalemme si scontrerebbe con almeno tre ostacoli. Gli Stati Uniti non vogliono rinunciare alla presenza dell’organizzazione sul loro territorio. Israele non intende rinunciare alla sua capitale. E i palestinesi, sostenuti su questo punto da tutti i Paesi musulmani, non concluderanno alcun accordo che preveda la perdita della loro città santa. Lei ha avuto, caro Calabrese, un’idea buona e generosa. Ma i nazionalismi non sono né buoni né generosi.
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