Chi è Enrico Girardi ? E perchè le spara grosse e bugiarde sul CORRIERE della SERA di oggi, 18/07/2009, a pag. 17, in un articolo dal titolo " Concerto a Tel Aviv e viaggio a Ramallah. L'ira di Barenboim " ? Che Ramallah abbia rifiutato di ospitare Daniel Barenboim e Leonard Cohen a meno di un annullamento dei loro concerti paralleli in Israele, è cosa nota a tutti, i giornali di mezzo mondo ne erano pieni nei giorni scorsi, lo sapevano tutti tranne Enrico Girardi. Che ci fa in Israele uno così ? Patetica anche la presentazione del concerto della Scala a Tel Aviv, che è stato un enorme successo sotto tutti punti di vista. Le osservazioni di Giradi sono ridicole. Da notare era invece l'accoglienza riservata a Barenboim, che, appena può sparla dello stato ebraico, ma a Israele non gliene importa nulla, dirige bene, è famoso, dica quel che vuole, è libero di farlo. In Israele, però. Diversa la situazione a Ramallah, lì, se non segue le regole, sono guai. Ma il buon Daniel non lo ammetterà mai, potrebbe intaccare la sua fiducia, cieca,pronta e assoluta, nel fatto che i nemici sono in realtà amici, è colpa nostra se non sappiamo gradire chi vorrebbe farci fuori. Insomma un articolo del tutto disinformato, che stupisce di vedere sul CORRIERE della Sera. Per questo chiediamo ai nostri lettori di sommergere di e-mail la direzione del giornale, per chiedere come si può pubblicare un articolo simile sul primo quotidiano italiano. da indirizzare alla attenzione del direttore Ferruccio de Bortoli: lettere@corriere.it
ecco l'articolo:
il Parco Yarkon a Tel Aviv
Enrico Girardi: "Concerto a Tel Aviv e viaggio a Ramallah. L'ira di Barenboim "
TEL AVIV — È un Daniel Barenboim furibondo quello che lascia il parco Ganey Yehoshua di Tel Aviv subito dopo aver diretto un'eccellente esecuzione della «Messa da Requiem» di Verdi. «Con la gente normale non c'è alcun problema — sbotta — ma ogni volta che torno in Israele c'è qualcosa che non funziona coi politici e i media». Ce l'ha anzitutto con il municipio per l'organizzazione del concerto.
La Scala richiama centomila persone «reali» nel parco cittadino. È una folla da rockstar e la logistica è quella che ne consegue: enorme palcoscenico illuminato a giorno, amplificazione da stadio, megaschermi ai lati per osservare il volto di artisti altrimenti visibili solo come figurine, controlli di sicurezza ogni due passi. E nonostante le difficoltà di interpretare Verdi dove potrebbero suonare gli U2, l'esecuzione è veramente ben rifinita, coro e orchestra sono in gran spolvero, l'idioma verdiano è nitido, i solisti Gubanova, Filianoti e Pape cantano benissimo (non al meglio invece il soprano Damato). È dunque un'esecuzione di cui andar fieri, di fronte a un pubblico (5000 seduti, gli altri su una montagnetta tenuta come un prato all'inglese) che segue con una compostezza e un'attenzione palpabili.
Ma ciò che adombra lo stato d'animo del maestro e che, pur dato per certo il contrario, lo induce a non presentarsi all'elegante ricevimento allestito in onore della Scala pochi passi dal palco è un crescendo di dettagli stonati, in primis il discorso lungo e un po' autocelebrativo del sindaco della Città Bianca, comprensivo di un'improbabile ricostruzione di cent'anni di musica occidentale in Israele, da Toscanini a Barenboim appunto. Ma peggio ancora è quanto accade durante gli applausi a fine «Requiem», quando uno speaker tipo bellimbusto televisivo inizia a chiamare uno a uno i protagonisti del concerto, come si fa allo stadio quando si leggono le formazioni delle squadre; intanto, le casse passano a diffondere rock locale e nel cielo brillano i fuochi d'artificio: dopo il «Libera me», coi suoi angosciosi dubbi sulla vita e sulla morte, anziché il silenzio, o comunque il raccoglimento, è la rappresentazione di uno show surreale.
C'è insomma quanto basta per dolersene ma Barenboim è stizzito ancora di più coi media locali, rei di diffondere notizie false che poi rimbalzano ovunque. Hanno detto che doveva dirigere a Ramallah e non è vero, hanno detto che la sicurezza gli ha impedito di recarsi nella città palestinese e non è vero (ci è andato l'altra mattina a visitare la scuola di musica da lui stesso fondata e ci è tornato ieri sera per assistere a un delizioso spettacolo di musica occidentale suonato e cantato in arabo degli studenti della medesima). Sassolini nelle scarpe si dirà, ma che diventano pietre nel contesto politico-culturale attuale, quello che costringe il maestro ad attraversare la «sua» città (non c'è nato ma vi s'era trasferito decenne) con le guardie del corpo e a non pubblicizzare granché le sue sortite nei territori palestinesi. Difficoltà che non gli impediscono però di continuare a seguire in prima persona iniziative come l'orchestra del Divano e la scuola di Ramallah. Gocce di bellezza, cultura e ragionevolezza politica nel mare d'odio che alimenta l'eterno conflitto israelo- palestinese.
Per scrivere a Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, cliccare sulla e-mail sottostante.