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La Stampa Rassegna Stampa
15.07.2009 Come la pensa Avigdor Lieberman
A sorpresa, in una intervista corretta sul quotidiano torinese

Testata: La Stampa
Data: 15 luglio 2009
Pagina: 7
Autore: Rina Masliah
Titolo: «L'Europa non può imporci un accordo»

Sulla STAMPA di oggi, 15/07/2009, a pag.7, finalmente una intervista a Avigdor Lieberman, nella quale il Ministro degli Esteri israeliano espone il suo pensiero. Se questo è un segnale di inversione di rotta del quotidiano torinese, sia il benvenuto.

Rina Masliah: " L'Europa non può imporci un accordo "

 Avigdor Lieberman

Ministro, questa settimana l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Javier Solana ha detto che forse sarà necessario prestabilire una data entro la quale la comunità internazionale riconosca lo Stato palestinese. Israele rischia di vedersi tagliato fuori?
«L’esperienza che abbiamo accumulato negli anni mostra che nelle due volte in cui abbiamo firmato acordi di pace, con Egitto e Giordania, ciò è avvenuto al termine di negoziati diretti con i nostri vicini. La pace può essere edificata, sviluppata, ma non imposta. Comunque non mi impressionerei eccessivamente per le dichiarazioni di Solana, la cui carriera nell’Unione Europea volge al termine».
Ma in Europa lei sembra destare opposizione….
«Io direi l’opposto, a giudicare dalla quantità di inviti e di visite. Anche di recente, a Lussemburgo, di fronte a tutti i Paesi dell’Ue l’atmosfera era ottima, mai stata migliore».
Eppure il presidente francese Sarkozy vedrebbe volentieri al suo posto Tzipi Livni, la leader di Kadima...
«Sarkozy ha fatto alcune dichiarazioni anche su Obama, sulla signora Merkel, su Zapatero. Quanto meno, sono in buona compagnia».
Ma non ha maturato l’impressione che in Europa ci sia insoddisfazione per la politica di Israele?
«Non penso sia insoddisfazione, semmai incomprensione di quanto avviene in Medio Oriente. Con i palestinesi abbiamo discussioni, ma non un confronto, noi non minacciamo l’Anp, al contrario la sosteniamo. Senza l’appoggio di Israele all’Anp Hamas si impadronirebbe anche della Giudea-Samaria (Cisgiordania) in due settimane, tre al massimo. In Medio Oriente il confronto è fra moderati ed estremisti. Per l’Anp la minaccia maggiore è Hamas, non Israele. Per il governo di Saad Hariri a Beirut la minaccia maggiore sono gli Hezbollah, non Israele. Per Hosni Mubarak la minaccia maggiore sono i Fratelli musulmani, non Israele. Anche Pakistan e Afghanistan non sono minacciati dai sionisti, ma dai talebani».
Benyamin Netanyahu ha proposto un incontro ad Abu Mazen. Eppure tutto sembra restare fermo. Come mai?
«Nell’Anp si sono accumulati problemi diversi. Ormai sono due entità distinte: Fatah-land in Cisgiordania, Hamastan a Gaza. Nella migliore delle ipotesi, Abu Mazen rappresenta metà dei palestinesi dei Territori. Poi c’è la questione delle elezioni presidenziali che dovevano avvenire nella prima metà del 2009. Non credo che nemmeno nella seconda metà del 2010 riusciranno a svolgerle. Senza elezioni, i dirigenti dell’Anp hanno un problema di legittimità. Ci sono persistenti difficoltà nell’organizzazione della conferenza di al-Fatah. Abu Mazen cerca di scaricare su di noi i suoi problemi interni, anche indurendo le sue posizioni».
Ma prima ancora di Abu Mazen, c’è' una richiesta esplicita degli Stati Uniti per il congelamento delle colonie.
«Abbiamo offerto un gesto di buona volontà agli americani. Ma sia chiaro, è molto limitato nel tempo. Noi non vogliamo alterare la situazione demografica, non costruiamo nuovi insediamenti, ma non ci si può chiedere di asfissiare gli insediamenti ebraici in Giudea-Samaria».
Come mai in questi contatti lei si tiene in disparte?
«Non voglio negoziare il congelamento della colonizzazione ebraica in Cisgiordania, visto che dovrei congelare anche me stesso… Non è giusto da parte mia prendere parte attiva. Non vorrei essere poi accusato di aver messo a rischio le relazioni con gli Usa, o aver silurato il processo di pace a causa della mia situazione personale in un insediamento».
Oggi come sono le relazioni con Washington?
«I contrasti sono su un punto soltanto (le colonie, ndr). Ogni Amministrazione è diversa dall’altra, ma il legame resta forte, profondo, molto stretto. In passato c’è stato anche Jimmy Carter, che non era precisamente un “fautore dei sionisti”. Eppure le relazioni rimasero buone».
Lei pensa che proprio un governo guidato dal Likud potrebbe, a sorpresa, trovare un accordo con i palestinesi?
«Il governo che ci ha preceduto, guidato da “colombe” come Ehud Olmert e Tzipi Livni, in tre anni ha: condotto una guerra in Libano; l’operazione Piombo Fuso a Gaza; ha visto la rottura delle relazioni con Mauritania e Qatar; non è riuscito a liberare il soldato Ghilad Shalit dalla prigionia a Gaza; e ha lasciato bloccato il processo di pace. Il nostro approccio è diverso. In primo luogo dobbiamo garantire sicurezza agli israeliani e sviluppo economico e stabilità ai palestinesi. Solo dopo si potrà pensare a soluzioni politiche. Invertire i termini sarebbe un fallimento sicuro. Abbiamo accresciuto la cooperazione sul terreno in Cisgiordania, di 41 posti di blocco ne abbiamo lasciati 14. Tony Blair mi ha detto di aver constatato che si tratta di una cooperazione senza precedenti, che ora finalmente le cose si stanno mettendo in moto».

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