Sul FOGLIO di oggi, 15/07/2009, a pag.2, l'analisi di Menachem Gantz, corrispondente dall'Italia di Yediot Aharonot, sui rapporti Washinton-Gerusalemme, dal titolo " Perchè Obama tende la mano a Bibi e gli manda un inviato per la Siria ":
una copertina di Yediot Aharonot
Roma. L’ultima volta in cui il primo ministro di Israele, Benjamin “Bibi” Netanyahu, ha trovato un presidente democratico alla Casa Bianca era al suo primo mandato (1996-1999) ed erano i tempi di Bill Clinton. Netanyahu, già ex ambasciatore all’Onu, conosceva bene Washington e il rapporto tra il presidente e il Senato, allora a maggioranza repubblicana. Il suo tentativo di mettere il Senato contro il presidente ha fatto sì che il nome di Netanyahu alla Casa Bianca fosse ricordato per sempre. Clinton ammise uscendo da un incontro con Bibi che molte volte aveva avuto l’impressione che Netanyahu avesse scambiato i ruoli: “Sembrava lui il leader della potenza mondiale numero uno nel mondo e io il primo ministro di un piccolo paese del medio oriente”. Ora il nuovo presidente democratico si ritrova a Gerusalemme quello stesso premier. Ma Barack Obama non è Clinton e ha giocato d’anticipo con il governo israeliano. Lunedì ha invitato alla Casa Bianca i maggiori rappresentanti delle organizzazioni ebraiche negli Stati Uniti. Oltre ai soliti, erano presenti anche membri di “Peace Now” e di un’altra organizzazione con tendenze ancora più a sinistra, “J street”. Tra i temi dell’incontro c’erano la minaccia iraniana e la richiesta al governo israeliano di congelare gli insediamenti. Obama non aveva bisogno di sfogliare i libri di storia e quasi nemmeno di sedersi con il suo segretario di stato (che, guarda caso, si chiama Clinton, Hillary). Le dichiarazioni da parte dello staff di Netanyahu sono sufficienti per rendere furiosa la Casa Bianca. Esponenti americani vicini al Congresso e amici d’Israele hanno descritto così le tensioni di questi giorni: dire “crisi” è un eufemismo, “fiamme” rende meglio l’idea. Spiegano che sono rimasti scioccati di fronte a una battuta attribuita a Netanyahu da Haaretz secondo cui Rahm Emanuel, chief of staff di Obama, e David Axelrod, consigliere politico del presidente, sarebbero “ebrei pieni di auto odio”. Netanyahu ha pregato il suo ambasciatore a Washington, Michael Oren, di chiamare la Casa Bianca e smentire Haaretz. Ma poi le dichiarazioni di Uzi Arad, consigliere per la Sicurezza nazionale del premier, su Obama hanno aggravato la situazione. Il presidente americano ha detto prima del G8 in Italia: “Non c’è la luce verde da parte dell’Amministrazione per Israele di attaccare l’Iran”, facendo un passo indietro rispetto al suo vice, Joe Biden, che il giorno prima aveva sostenuto il diritto di Israele ad attaccare, se necessario, Teheran. Arad, in un’intervista a Reuters e AP, ha dichiarato: “Tra Stati Uniti e Israele ci sono posizioni diverse per quel che riguarda la strada giusta per affrontare la questione nucleare iraniana”. Secondo fonti a Washington citate dalla stampa israeliana, sono dichiarazioni senza precedenti. Ha raccontato Yedioth Ahronoth che a Washington sono rimasti sorpresi durante l’ultima visita di Arad – una settimana fa – poiché, nell’incontro, Arad era in disaccordo persino con il vicecapo del Mossad. Yedioth sosteneva che, se Netanyahu ci tiene al rapporto con Obama, Arad dovrà dimettersi. Nell’incontro di lunedì, i rappresentanti ebrei hanno sottolineato la necessità di avere garanzie sul fatto che Obama ci tiene alla sicurezza di Israele. Secondo fonti del suo staff, il presidente avrebbe detto: “Andiamo in Israele”. Dopo il discorso al Cairo al mondo islamico, Obama ora sta prendendo i considerazione un viaggio a Gerusalemme. I disaccordi con Israele sugli insediamenti sono come i dissensi che si hanno in famiglia, ha spiegato il presidente, dando garanzia del fatto che Washington farà pressioni sui palestinesi e il mondo arabo tanto quanto le fa su Israele. Però il rais palestinese, Abu Mazen, ha già risposto di no all’invito di Netanayahu a incontrarsi. Finché la comunità internazionale fa pressioni sugli insediamenti, perché dovrebbe essere lui a salvare Netanyahu davanti al mondo? Intanto Obama ha mandato al premier israeliano un inviato, un diplomatico di eccelenza come Fred Hoff, braccio destro di George Mitchell, inviato speciale per il medio oriente, per discutere di Siria (Hoff è nella rosa dei nomi per il ruolo di ambasciatore a Damasco). Hoff ha incontrato lunedì Netanyahu, il ministro della Difesa, Ehud Barak, e personaggi chiave della sicurezza per saggiare la possibilità di rilanciare i negoziati tra israeliani e siriani: Hoff ha presentato una formula per un accordo di pace fra i due stati. Ora il diplomatico è in Siria. Gerusalemme dichiara che le trattative possono iniziare subito senza condizioni, ma la formula per la pace è basata sul ritiro israeliano dal Golan, che diventerà zona demilitarizzata, in cambio della rottura dell’alleanza tra Damasco e Teheran.
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