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L'Espresso Rassegna Stampa
13.07.2009 L'attacco alle torri gemelle sarebbe una risposta dei poveri all'impero occidentale
L'analisi capovolta di Giorgio Bocca

Testata: L'Espresso
Data: 13 luglio 2009
Pagina: 9
Autore: Giorgio Bocca
Titolo: «Quelle guerre dimenticate»

Riportiamo dall'ESPRESSO n° 28 del 16/07/2009, a pag. 9, l'articolo di Giorgio Bocca dal titolo " Quelle guerre dimenticate ".

Bocca scrive : " L'attacco alle torri gemelle di New York dell'11 settembre 2001, risposta dei poveri e barbari all'impero dei ricchi e occidentali, ha aperto una serie di nuove guerre ". L'attacco alle torri gemelle è stato un attentato terrostico islamico. Non ha nulla a che vedere con "poveri contro ricchi" nè con "l'impero dell'occidente", perchè questo non esiste.
Giustificare gli attentati dell'11 settembre è assurdo. Il ragionamento contorto di Bocca ricorda quello dei terroristi islamici di Al Qaeda. Ecco l'articolo:

 Giorgio Bocca

Il Mulino pubblica un saggio sulle dr les de guerres contemporanee che insanguinano il mondo anche se fingiamo che non siano vere guerre. L'attacco alle torri gemelle di New York dell'11 settembre 2001, risposta dei poveri e barbari all'impero dei ricchi e occidentali, ha aperto una serie di nuove guerre del Terzo Millennio, nei Balcani, in Georgia, nel Medio Oriente, nell'Africa nera, in Thailandia, nelle Filippine, nella Corea, nel Pakistan, in Afghanistan, a Ceylon.
Strane guerre, ma guerre. Guardate quasi con fastidio e imbarazzo dagli esperti di relazioni internazionali, estranee alla narrativa trionfalistica dei nuovi miti, come la globalità dei mercati che ha superato le vecchie frontiere. Questo rifiuto delle guerre che sono in corso segna le relazioni internazionali come un gigantesco autoinganno accettato da tutti pur di non contraddire il mito imperante dell'ordine globale del libero mercato.
Le molte guerre in corso a tutti note e da tutti declassate a disordini spontanei, a febbri passeggere, sono in realtà necessarie a torto o a ragione al nuovo unico impero mondiale, l'americano, arrivato al punto critico di tutti i grandi imperi, nel classico dilemma tra la moderazione e l'espansione, fra la conservazione dei confini attuali e la ripresa alla corsa senza fine alle conquiste. Il dilemma che fu già dell'impero romano fra i confini stabili sul Reno e sul Danubio e la necessità di mantenere il primato e l'influenza, economica e politica, sul mondo intero.
Le molte guerre in corso hanno motivazioni ideologiche più che di sopravvivenza. Gli Stati Uniti, egemoni nel continente americano, hanno a loro disposizione tutte le risorse necessarie. Ma non gli bastano: eserciti americani sono nei Balcani, in Italia, nei paesi arabi del Medio Oriente, in Israele, in Pakistan, nell'Iraq, nell'Afghanistan, in Giappone, nell'isola di Diego Garcia, al Polo Nord e in Antartide. Per evidenti motivi di dominio, ma presentati come missione civilizzatrice, e negli ultimi anni come meritoria esportazione della democrazia.
Sono guerre inevitabili, legate a una fisica del potere, alla mancanza di equilibrio dei poteri nel mondo, per cui il più forte è quasi costretto a occupare il vuoto lasciato dai deboli. Si tratta perciò di guerre 'ineguali', che possono cessare come nel Vietnam solo per una resipiscenza, un recupero di saggezza di fronte all'uso di armi che potrebbero portare all'autodistruzione della specie umana.
Nuove guerre con nuovi caratteri. Non più legate ai confini delle patrie, ma estendibili al mondo intero, reticolati sovrapponibili ai rapporti di pace. Come la caccia ai terroristi che gli Stati Uniti e la loro agenzia di sicurezza, la Cia, svolgono in tutto il mondo. Con grave, forse inguaribile ferita a quanto si era riusciti a creare di diritto internazionale. Guerre come una 'necessaria tecnologia di controllo', cioè come un modo per capire a che punto è arrivata nel mondo la corsa all'autodistruzione. La guerra non come prova di vita e di morte per un popolo, ma per il mantenimento della sua way of life. Come nei 'Tre giorni del condor', il film dove la Cia fa strage di innocenti pur di garantire alla nazione imperiale la benzina necessaria alle sue auto e ai suoi grattacieli sempre illuminati. Guerre minacciate o simulate, come fa la Corea del Nord perché sia tolto l'embargo commerciale che la strozza.
Concludendo, il vero pericolo del nuovo imperialismo e delle sue guerre infinite non è risolvibile, perché sta nel peccato originale dell'uomo, nelle sue debolezze, nelle sue incontenibili passioni, nelle sue avidità che si riaccendono a ogni tentazione.

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