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La Repubblica Rassegna Stampa
12.07.2009 Incontro con Nathan Englander
Intervistato da Antonio Monda

Testata: La Repubblica
Data: 12 luglio 2009
Pagina: 40
Autore: Antonio Monda
Titolo: «L'incontro con Nathan Englander»

Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/07/2009, a pag. 40, l'intervista di Antonio Monda a Nathan Englander dal titolo " L'incontro con Nathan Englander ".

 Nathan Englander

Fino a trentatré anni, Nathan Englander ha portato i lunghi capelli ricci fin sotto le spalle. Poi, improvvisamente, ha deciso di tagliarli, sostenendo che, superata l´età di Cristo, quella chioma lo faceva sentire un po´ ridicolo. Il riferimento può apparire sorprendente per una persona cresciuta in una famiglia ebrea ortodossa, ma a conoscerlo bene s´impara che nella sua vita quotidiana i costanti riferimenti religiosi non sono mai realmente irriverenti, e l´allontanamento sempre più netto dalla propria tradizione non ha mai portato ad una definitiva rottura, e lo ha spinto, parallelamente, ad un´attenzione sincera nei confronti delle altre religioni. Negli anni passati si è voluto documentare sul Concilio Vaticano II, rimanendone estremamente colpito, al punto da rileggere il Vangelo di San Giovanni con quell´incipit folgorante che lo porta a riflettere sulla potenza misteriosa della scrittura: «In principio era il Verbo. E il Verbo era presso Dio. E il Verbo era Dio». Oggi si dichiara incerto rispetto alla propria fede religiosa, ma confessa di baciare i libri sacri ogni volta che se li trova tra le mani, arrivando a sostenere che «chiunque abbia scritto la Bibbia è Dio: sono conquistato dalla sua complessità e dalla capacità di parlare il linguaggio dell´eternità».
Le contraddizioni rappresentano una forza della sua scrittura, e la fragilità una condizione accettata della propria esistenza, alla quale reagisce con l´intelligenza di un´ironia mai fine a se stessa. Una volta gli chiesi in maniera diretta se credesse in Dio, e lui mi rispose: «Non lo so. Sarei tentato di dire di no, se non avessi paura di una sua reazione». Sarebbe potuta sembrare una boutade degna della migliore tradizione umoristica ebraica, ma l´espressione con cui accompagnava la battuta, rivelava qualcosa di molto più profondo e meditato. Poi, quasi a sottolineare l´incertezza del proprio ateismo, continuò a parlarmi in questi termini della possibilità di una vita dopo la morte: «Ogni volta che ci penso entro in crisi. Sarei tentato ancora una volta di dire no, non esiste alcuna vita dopo la morte, e la nostra esistenza non è nient´altro che un´illusione, e forse anche una buffonata. Tuttavia, se mi chiedi dove sia in questo momento mio nonno, ti dico in Paradiso».
Frequentandolo, una cosa che s´impara subito è l´ammirevole capacità di mettere in discussione se stesso ed ogni propria convinzione, in obbedienza al principio «preferisco essere nel giusto che coerente». Englander è una persona timida e gentile, che diventa graffiante sino alla crudeltà solo quando esercita il proprio straordinario senso dell´umorismo. Parla velocissimo, e tende a dare per scontato che l´interlocutore segua il suo ritmo ed i suoi collegamenti logici. Ma non c´è arroganza in questo atteggiamento, semmai piacere di condivisione e complicità. Ha perso da pochi mesi il padre Herbert, ed è rimasto molto attaccato alla sorella Sarah e alla madre Merle, una donna minuta e piena di spirito, che segue con orgoglio il successo del figlio. È nato a Long Island, dove racconta di aver vissuto in un ambiente «reazionario, xenofobo, anti-intellettuale, ignorante, contrario alla libertà di pensiero, e con una mentalità da shtetl». La letteratura divenne una scelta, una necessità ed una fuga, ma Englander non arrivò mai a rompere con la propria tradizione, e rimase profondamente religioso sino a diciannove anni, quando si recò per la prima volta in Israele. Fu un viaggio che lo segnò profondamente, al punto da decidere di tornarci a vivere per cinque anni dopo la pubblicazione di Per alleviare insopprimibili impulsi, la raccolta di racconti che divenne un best seller internazionale.
Il libro, che uscì quando Englander aveva ventinove anni, rappresentò il più folgorante debutto letterario della fine degli anni Novanta. I racconti, esilaranti, sorprendenti e pieni di dolore, combinano la grande tradizione letteraria ebraico-americana di Bernard Malamud e Isaac Bashevis Singer con il gusto dell´ironia e dell´assurdo di Gogol, e scatenarono focose proteste in seno alla comunità ultraortodossa. Lui reagì dichiarandosi orgoglioso di vivere in un Paese dove esiste la libertà di protestare e dissentire, poi affrontò la realtà di essere diventato improvvisamente una giovane star della letteratura, riuscendo a non cambiare affatto il proprio modo di affrontare la quotidianità. Era il periodo dei capelli lunghi e arruffati, con i boccoli che scendevano sulle spalle: un giornalista di nome Paul Zakrzewski, innamorato del libro, volle conoscerlo ad ogni costo, convinto di avere a che fare con uno scrittore che fosse anche nell´aspetto simile a Malamud e Singer. L´incontro fu molto caloroso, e Zakrzewski fu conquistato dall´intelligenza di Englander, ma scrisse che somigliava semmai a Roger Daltrey dei Who.
Poco tempo dopo Englander si recò in Israele, capendo subito che sarebbe stata un´esperienza determinante sia sul piano personale che su quello artistico. Il paradosso volle che la scelta di una vita laica avvenne proprio in quella città dove la religione è fondamento. «Rispetto alla fede, Gerusalemme ha avuto su di me l´effetto del Triangolo delle Bermude. Un luogo dove ci si perde e si scompare. Ma è una città che amo profondamente per la sua gente, la storia, l´architettura. E so che è un luogo dove è impossibile rimanere neutrale rispetto a qualunque cosa riguardi lo spirito e la carne». Era partito per la Terra promessa con l´idea di sviluppare quello che sarebbe diventato il primo romanzo, ma per completare Il Ministero dei Casi Speciali impiegò nove anni, dopo aver tagliato interi capitoli presentati in pubblico come anticipazioni, e aver ridotto il libro da settecento a trecento pagine.
Il libro, ambientato nell´Argentina dei generali e dei desaparecidos, è in primo luogo una storia struggente di genitori e figli ed elabora un elemento centrale della poetica di Englander, che ruota intorno all´identità e alla scomparsa di una tradizione culturale. L´idea originaria gli venne proprio in occasione del primo viaggio a Gerusalemme, quando conobbe un gruppo di ebrei argentini che lo conquistarono «per la gentilezza, l´esuberanza della loro intelligenza, ed il senso di appartenenza. Una delle cose che ho imparato in quel lungo soggiorno, e a contatto con realtà diverse, è la molteplicità di tante realtà che sfocia spesso nel caos. E, nello stesso tempo, il senso di comunanza nella diversità».
Per capire nell´intimo la sua psicologia, e la ricerca che sta ancora compiendo su se stesso, basta rileggere un passaggio chiave del romanzo, nel quale un personaggio chiede: «Cosa è meglio, un uomo che non ha il passato, o che non ha il futuro?». Englander risponde che «in quella frase c´è la risposta al fatto che io faccio lo scrittore e non l´avvocato. Le mie domande sono sempre senza risposta, e la certezza assoluta mi atterrisce, mi sembra una specie di tortura. Anche se a volte ne sento il bisogno e vivo in maniera tormentata l´idea di imperfezione e sacrificio».
Ma nella quotidianità Englander è una persona che preferisce tenere per sé queste riflessioni ed ama parlare mescolando senza problemi la cultura alta con quella popolare. Una sua grande passione è il cinema, sia quello realizzato all´interno dell´industria hollywoodiana che quello segnatamente d´autore. L´ho visto divertirsi come un bambino rivedendo I tre giorni del Condor, e poi parlare con competenza della maestria registica di Sydney Pollack, e di quanto sia sedotto da ogni film basato su un complotto misterioso, come ad esempio Marathon Man o Parallax View. Apprezza in egual misura film diversissimi come Gomorra e I trentanove scalini ed è tra gli scrittori che ritengono che il cinema sia un´arte vera e propria, per nulla inferiore alla letteratura. Tuttavia, prima del linguaggio dell´immagine, la passione divorante e imprescindibile rimane quella per la parola scritta. E in questo si sente erede di una tradizione millenaria: attualmente sta scrivendo un testo teatrale tratto dal Ventisettesimo uomo, uno dei suoi racconti più belli e lancinanti, e sta completando la traduzione di una nuova versione della Haggadah, il racconto dell´uscita dall´Egitto che in occasione della Pasqua ebraica i genitori leggono ai figli.
«Negli ultimi tempi il mio rapporto con l´infanzia è cambiato: forse è una questione di età. Sento il bisogno di afferrare i ricordi e la Haggadah nasce forse da questa esigenza». L´editor del progetto è Jonathan Safran Foer, uno dei grandi amici scrittori, insieme a Colum McCann e Colson Whitehead. In questi ultimi anni Englander ha conquistato la stima e la sincera amicizia anche di grandi autori delle generazioni precedenti e in particolare di Philip Roth, che lo ha voluto tra gli oratori in occasione del festeggiamento del suo settantacinquesimo compleanno, e rimane sempre colpito da questa sua costante e controversa relazione con la fede. Quando gli ricordo che si dichiara ateo, o quanto meno incerto, mi spiega che si sente come «una persona che si è spogliata di tutto, ne prova eccitazione ma forse non sa che rapporto avere con la propria nudità».

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