Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/07/2009, a pag. 39, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Risarcimento per l’Olocausto. L’ultima guerra della via Pál ".
Ferenc Molnàr
NEW YORK — La fortuna del grande scrittore ebreo ungherese Ferenc Molnár «scippata» dalla figlia imbrogliona di un pastore protestante americano che si è finta sua lontana parente? Il giallo a base di avvocati di grido, conti svizzeri, esperti di genealogia e tribunali per il risarcimento dei beni rubati durante l’Olocausto infiamma l’estate americana, riaprendo il dibattito su una controversia che, a 64 anni dalla caduta del nazifascismo, non è mai stata del tutto risolta.
Al centro della truffa finita sulla prima pagina del settimanale ebraico «Forward» è Ferenc Molnár, il grande scrittore e drammaturgo ungherese autore del classico della letteratura per adolescenti I ragazzi della Via Pál (1907), i cui lavori hanno ispirato hit hollywoodiani quali Olympia con Sophia Loren e fortunati musical di Broadway, tra cui il famosissimo Carousel di Rodgers e Hammerstein.
Poco prima del secondo conflitto mondiale, Molnár si trasferì negli Stati Uniti, dove restò fino alla morte nel ’52. Quando lasciò l’Ungheria, nel 1937, lo scrittore non ebbe il tempo di chiudere i conti bancari creati in Svizzera con le royalties dei suoi lavori. Come tanti altri conti «smarriti» durante la guerra, anche i suoi furono riesumati quando fu istituito il Tribunale speciale per le restituzioni ai familiari delle vittime dell’Olocausto.
Nel 2007 il suo bisnipote Gabor Lukin, (nipote della sua unica figlia Marta, nata dal primo matrimonio di Molnár con Margit Vészi, più tardi amante di Puccini) scoprì per caso, consultando il sito www.crt-ii.org, che alcuni «parenti » americani di Molnár si erano fatti avanti per reclamare i beni depositati dal bisnonno settant’anni prima. Nel 2001, Elizabeth Rhodes, una consulente finanziaria dell’Ohio, aveva inoltrato domanda a nome di suo padre, il prete episcopale Peter Molnár.
Pur ammettendo che la sua famiglia non era ebrea, la donna aveva spiegato al Tribunale per le restituzioni che «il mio bisnonno, ebreo, era fratello di Ferenc». Il Tribunale le aveva creduto e nel 2004 le aveva inviato un assegno di 226 mila dollari. «Quando lo seppi restai di stucco », racconta il 54enne Lukin, un musicista emigrato in California dall’Ungheria nel 1985. «In famiglia tutti sapevano che l’unico fratello del nostro bisnonno era morto quando lui aveva appena due mesi. La documentazione della Rhodes era piena zeppa di errori. Capii subito che era una truffatrice a caccia di soldi».
L’improvvisa entrata in scena dei veri eredi ha scatenato una guerra. «Abbiamo prove che smentiscono la parentela tra la Rhodes e lo scrittore», è costretto ad ammettere l’investigatore speciale del Tribunale, Michael Bradfield, «a partire dal fatto che il vero cognome di Molnár era Neumann». La sua conclusione: «I Molnár dell’Ohio sono degli impostori». Ma la rampante businesswoman non demorde: «Ho già speso tutti quei soldi», si difende la donna, che nel 2001 ha firmato un documento dove si impegnava a rinunciare all’indennizzo se un parente di Molnár più stretto si fosse fatto avanti.
A conferire un altissimo profilo al caso è lo scontro sul ring legale di due degli «avvocati dell’Olocausto» più famosi al mondo. Per Lukin è sceso in campo Randol Schoenberg (nipote del celebre compositore Arnold Schoenberg), che nel 2004 aiutò una donna di Los Angeles, Maria Altmann, a riottenere da un museo austriaco cinque dipinti di Gustav Klimt, uno dei quali è stato poi rivenduto per 135 milioni di dollari. A difendere la Rhodes è invece Michael Bazyler, docente universitario ed autore di Holocaust Restitution: Perspectives on the Litigation and Its Legacy, considerato la bibbia delle restituzioni.
La tesi di quest’ultimo: la Rhodes non deve restituire i soldi. «Se il Tribunale ritiene che Lukin abbia ragione — teorizza Bazyler — allora metta a disposizione un secondo assegno anche per lui». Ma il superdetective Bradfield la pensa diversamente: «La Rhodes e i suoi avvocati hanno cambiato troppe volte le carte in tavola», li ha redarguiti durante un’udienza sul caso, lo scorso aprile. «Inizialmente dissero che il bisnonno della Rhodes e Molnár erano fratelli, più tardi che lo erano solo per metà, e di recente hanno ammesso di non essere certi della relazione».
Bradfield ha criticato la Rhodes anche per non aver voluto dividere l’assegno con i suoi parenti stretti dell’Ohio che, in teoria, avrebbero i suoi stessi diritti se fosse vera la parentela con Molnár. «Siamo persone profondamente oneste », ribatte la Rhodes, spiegando che suo padre «è un retto uomo di Chiesa» e che la sua famiglia «non commetterebbe mai una frode». Per Schoenberg, il cui nonno è stato perseguitato dai nazisti, la vicenda ha assunto un connotato quasi personale. «Spero che tu riesca a dormire bene la notte», ha scritto l’avvocato in una email di fuoco inviata a dicembre a Bazyler, dove spiegava che «sono passati 13 mesi da quando ho notificato alla Rhodes che la sua famiglia non è imparentata a Franz e Lili Molnár, ma il mio cliente non ha ancora ricevuto le sue scuse per aver prima mentito e poi riscosso soldi che non le spettavano».
L’ultima parola potrebbe spettare al celebre studioso di genealogia ungherese, l’89enne Arisztid Harmath, ingaggiato ironicamente proprio dalla Rhodes, dopo che la donna aveva tentato senza successo di provare la sua parentela con János Neumann, il famoso scienziato ungherese che lavorò al progetto Manhattan per la costruzione della prima bomba atomica. «Non esiste alcuna parentela tra i Molnár dell’Ohio e lo scrittore», è stato il suo inappellabile verdetto. «È una nemesi storica — commenta Lukin —. Di recente ho scoperto che Harmath vive nella stessa casa di Budapest dove nacque Ferenc Molnár. E che gli antenati di Schoenberg e i miei vengono dallo stesso villaggio ungherese di Fzecseny».
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