Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/07/2009, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " L’Eurabia è una rivoluzione, non un flusso migratorio. La tesi di Caldwell ".
Christopher Caldwell
Roma. Non è nei numeri – in quei 15 milioni di immigrati su un totale di 370 milioni di cittadini europei – il segreto della rivoluzione di cui parla “Reflections on the Revolution in Europe”, un gran libro di Christopher Caldwell appena uscito per le edizioni Doubleday. Lui è il columnist del Financial Times, il collaboratore del New York Times Magazine e uno degli editor del settimanale Weekly Standard. La sua tesi è che l’Europa sta cedendo a una “cultura avversaria”, l’islam, che pone un pericolo mortale alle sue libertà in nome di un progetto egemonico. “Ogni discussione sulla crescente ‘diversità’ della società europea è stata messa a tacere”, lamenta Caldwell. Il libro spezza i cliché dell’ideologia “immigrazionista”, come l’idea di un ineluttabile cambiamento demografico europeo, demolisce la visione economicistica dei fenomeni migratori. Caldwell, che secondo Niall Ferguson ha un autentico sguardo “burkiano”, riporta l’islam e il suo progetto culturale nel dibattito sull’immigrazione. Il libro non è piaciuto agli opinionisti liberal, lo hanno definito “allarmista” e “melodrammatico”, perché orientati a giudicare in chiave materialistica l’immigrazione. L’ex parlamentare olandese, polemista “apostata” e dissidente somala Ayaan Hirsi Ali ha invece elogiato il libro, definendolo la migliore sveglia dal torpore europeo. Caldwell usa paragoni pregnanti per descrivere questa rivoluzione, come quando ricorda che c’erano meno bolscevichi in Russia nel 1917 che islamisti nell’Europa di oggi. Questo per dire che non servono fenomeni di massa per modificare l’anima e le tradizioni europee; l’Eurabia, come l’ha chiamata Bat Ye’or, nasce da un’opera di intimidazione, espansione e sottomissione culturale capace di far breccia in un edificio ormai consunto dalla decadenza. Caldwell sostiene che la cavalcata islamica in Europa è anche conseguenza del fallito patriottismo del Vecchio Continente (“cantare gli inni nazionali in alcuni paesi è diventata una cosa da skinheads e hooligans”), un discrimine non da poco rispetto agli Stati Uniti. L’Europa che conosciamo è stata costruita sull’“intolleranza dell’intolleranza”, sulla lotta a ogni forma di razzismo e fascismo, così che “gli europei del Dopoguerra si comportarono come se una cultura valesse come un’altra”, hanno affrontato l’immigrazione con “neutralità”, volutamente “ciechi alle culture”, anziché adottare una discriminazione positiva. Ne è un esempio il Movimento contro il razzismo e per l’amicizia tra i popoli, fondato nel 1949 per combattere l’antisemitismo. “L’ossessione europea per le ‘cause’ del Terzo mondo è funzionale al nuovo ordine morale dell’Europa basato sulla colpa”, scrive Caldwell. Così il Mrap sarà decisivo per portare in tribunale Oriana Fallaci e per esporre al pubblico ludibrio il “neoreazionario” Alain Finkielkraut, colpevole di aver parlato della natura etnica delle rivolte nelle banlieue francesi. Caldwell attacca l’“universalismo liberal” in cui la tolleranza diventa “la più grande priorità”, più importante dell’ordine o della libertà. La cosa più grave è stata la messa al bando del common sense: “Ciò che era stato consenso per l’umanità dall’alba della civiltà fino alla fine del XX secolo, all’inizio del XXI era diventato un crimine”. Caldwell ha il merito di spiegare perché l’immigrazione su vasta scala è un esperimento rischioso, in cui l’Europa si è sottomessa e di cui non conosciamo l’esito finale. Ha ragione quando scrive che questa rivoluzione vive di segni, non di numeri. C’è più verità in Edward Gibbon che in un flusso migratorio. Il grande storico nella “Caduta dell’Impero Romano” oltre duecento anni fa scriveva che se i Mori non fossero stati sconfitti a Poitiers, “oggi l’interpretazione del Corano sarebbe insegnata nelle aule di Oxford e i nostri pulpiti sarebbero calcati da chi predica la santa verità della rivelazione di Maometto”. Oggi, nella Oxford di Gibbon, gli inglesi sono alle prese con il richiamo del muezzin.
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