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Il Foglio Rassegna Stampa
07.07.2009 Dobbiamo lottare per i nostri diritti, perché nessuno lo farà per noi
Le dichiarazioni di Azra Jafari, primo e unico sindaco donna in Afghanistan, riportate da Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 07 luglio 2009
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «In Afghanistan c’è un solo sindaco donna a sfidare la rabbia talebana»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/07/2009, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " In Afghanistan c’è un solo sindaco donna a sfidare la rabbia talebana ".

 Azra Jafari

Roma. Indossa il chador con mitezza Azra Jafari. E’ la prima e unica donna sindaco dell’Afghanistan, amministra la cittadina di Nili, nella provincia del Dai Kundi, una regione nella quale sono molto frequenti i rapimenti di operatori stranieri e dove l’esercito di Kabul deve far fronte alla guerriglia islamica. Un termitaio di tagliagole, separatisti sciiti e squadroni della guerra. Azra Jafari, esule in Iran tornata al seguito dell’invasione angloamericana del paese nel 2002, è uno dei simboli più belli dell’Afghanistan post talebano, ma anche uno dei pegni più fragili della sua sopravvivenza. Dietro Azra c’è una scia impressionante di insegnanti, attiviste dei diritti umani e poliziotte assassinate dall’insorgenza fondamentalista. L’ultima, Sitara Achkza, consigliera provinciale di Kandahar, era nota per l’attività in favore dei diritti femminili. Aveva trascorso in Germania gli anni del potere talebano a Kabul, dove era tornata con la caduta del regime shariaco, proprio come Azra. Le donne che lavorano fuori di casa, specialmente nel sociale, sono etichettate dai militanti islamici come “immorali” e quindi punite con la morte. Come Bakht Zeba, un’amministratrice locale appena assassinata nella sua abitazione. Prima di diventare sindaco, Azra era un’insegnante perseguitata dai fondamentalisti islamici perché proviene dalla minoranza sciita hazara, bollata come “eretica” dai mullah sunniti. Azra, come gli altri sciiti afghani, durante il regime talebano aveva tre possibilità di scelta: convertirsi al culto sunnita, emigrare nel vicino Iran o morire. In quegli anni furono tantissimi gli eccidi di sciiti. Dopo il rientro in Afghanistan nel 2001, Azra ha accettato un lavoro come insegnante, nonostante una fatwa del mullah Omar avesse ordinato l’uccisione delle insegnanti donne. Come Safia Amajan, che sotto il regno di morte e distruzione dei guerriglieri islamici aveva gestito una scuola segreta per ragazze che osavano sfidare il potere distruttivo dei talebani. E’ stata uccisa sulla porta di casa. Azra è una di quelle donne che non si sono arrese all’oscurantismo di chi vorrebbe tornare a riempire gli stati di adultere da lapidare. Jafari è diventata sindaco vincendo la competizione di altri quattro candidati. Tutti uomini. “Oggi gli uomini mi obbediscono, all’inizio mi ignoravano”, dice Jafari al Foglio. “Dalla caduta dei talebani la mentalità delle donne è cambiata e si sentono parte della comunità internazionale. Però se subito dopo la cacciata dei talebani nel governo provvisorio c’erano tre o quattro ministri donna, oggi ce n’è una sola. Il presidente Karzai vorrebbe ottenere di più per la parità fra uomo e donna, rafforzando la cultura femminile come parte integrante della democrazia. Il nuovo governo ha cercato di coinvolgere le donne in campo politico, sociale, economico e culturale. Ma nelle regioni in cui i talebani sono più forti, le donne non hanno diritto al lavoro, alla scuola, all’università, a uscire di casa senza un uomo. Dove i talebani sono più deboli ci sono attentati suicidi, terrorismo contro le donne, roghi di scuole, ragazze date in matrimonio a una tribù per pacificare le comunità in lotta e così via. L’Afghanistan è un paese musulmano, ma l’islam dei talebani non è il vero islam, che invece incoraggia le donne all’istruzione anziché fucilare le insegnanti e le studentesse. I talebani usano i bambini come bombe umane e non se ne vergognano”. Azra è stata minacciata più volte dagli estremisti islamici da quando è diventata sindaco. “Soprattutto ho ricevuto minacce di morte per telefono, un membro del Parlamento mi ha detto di fare attenzione a quello che dico durante interviste come questa o me ne pentirò. Come donna e funzionaria del governo non posso attraversare un’area dove ci sono i talebani, non posso partecipare a seminari pubblici, mi ci vogliono trentasei ore per andare a Kabul passando per le province di Bambina e Vardar, devo cambiare automobile più volte per motivi di sicurezza. Vorrei che la comunità internazionale sostenesse quelle poche donne coraggiose che cercano di instillare l’orgoglio in milioni di loro simili. Oggi è ancora un crimine essere donna, ma sono ottimista per il mio paese. Dobbiamo lottare per i nostri diritti, perché nessuno lo farà per noi”.

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