Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/07/2009, a pag. 11, l'articolo di Màiread Maguire dal titolo " Un blitz dei pirati. Così Israele ci ha fermato ".
La notizia è già stata riportata dal MANIFESTO (e criticata da IC nella rassegna quotidiana del 03/07/2009). Anche in questo caso l'accaduto non viene raccontato con esattezza.
La giornalista dà questa intepretazione dell'accaduto: " Non è per il terrorismo che gli israeliani impediscono a tutti, anche ai poveri pescatori di Gaza di allontanarsi dalla costa. Anche nei limiti delle dodici miglia, gli sparano addosso. Non vogliono occhi estranei. Ma quel gas a chi appartiene? Per questo Israele non vuole attivisti dei diritti umani né a Gaza, né nel mare di fronte alla Striscia. ". Dal momento che gli attentati terroristici provenienti dalla Striscia di Gaza sono REALI e non immaginari e dato che gli aiuti umanitari vengono fatti arrivare a Gaza attraverso valichi ufficiali dopo essere stati controllati, la teoria di Maguire è infondata e frutto della sua immaginazione.
L'impostazione della pagina, poi, è sbilanciata a favore dell'articolo di propaganda scritto da Maguire. Al punto di vista israeliano e alla spiegazione di come si sono svolti realmente i fatti viene offerto uno spazio minore (un riquadro grigiastro senza firma). Invitiamo i lettori di IC a scrivere alla STAMPA per protestare per l'impostazione della pagina in questione. Ecco l'articolo, seguito dal riquadro grigiastro:
Màiread Maguire " Un blitz dei pirati. Così Israele ci ha fermato "
Màiread Maguire
Le navi della Marina israeliana ci hanno abbordati, minacciati e costretti a fare rotta sul porto di Ashdod. Poi ci hanno ammanettati e condotti in cella. Andiamo a processo. Ci accusano di essere entrati illegalmente in Israele, di aver violato le acque territoriali dello Stato. Ma ci hanno portati loro in Israele. La nostra meta era la striscia di Gaza. Non abbiamo scelto noi di andare in Israele.
L’altra notte, è stata una battaglia. Ci sono dei feriti, tra i nostri. Ci hanno assaltati truppe scelte, equipaggiate di tutto punto per le operazioni anti-sommossa, armate fino ai denti. Hanno messo le nostre vite in pericolo. Il primo scontro è cominciato nel cuore della notte, in acque internazionali. Due navi militari ci sono venute incontro e hanno cominciato a girarci attorno. Via radio, ci hanno intimato di far dietro front, di tornare a Cipro. Altrimenti avrebbero sparato. Poi hanno tagliato le comunicazioni radio, e quelle via satellite: eravamo isolati. Ho temuto davvero che potessero anche ucciderci.
Ci hanno speronati, la nostra barca era molto più piccola, sembrava che dovesse rovesciarsi, affondare da un momento all’altro. Poi c’è stato l’arrembaggio dei soldati della marina, a venticinque miglia dalla costa di Gaza. Eravamo sotto il tiro dei loro fucili. È stato un sequestro di persona, se vogliamo usare il termine giusto. Ci hanno portato prima nel centro di detenzione provvisorio di Ashdod. All’alba ci hanno trasferiti in camionette militari alla prigione vicino alla città. Due li hanno liberati. Siamo rimasti in diciannove, in carcere. Non siamo riusciti ancora a parlare con i consolati. Siamo preoccupati soprattutto per i cinque attivisti che vengono dal Bahrein (poi espulsi dalle autorità israeliane, ndr), uno Stato che non ha relazioni diplomatiche con Israele: sono quelli meno tutelati del gruppo, in questo momento.
A Gaza, una prigione a cielo aperto in spregio a tutte le convenzioni internazionali, sono invece prigioniere un milione e mezzo di persone. Un milione e mezzo di persone sottoposte a una punizione collettiva. Contro la convenzione di Ginevra, contro tutti i trattati, contro le Nazioni Unite. E la tragedia più grande è che gli Stati Uniti, l’Unione Europea, l’Onu restano zitti di fronte alla tragedia umanitaria del popolo palestinese. Su dieci milioni di palestinesi, sette sono profughi, all’estero o in patria. A Gaza l’aviazione israeliana ha bombardato i civili per ventidue giorni, non sappiamo nemmeno con quali armi. Bombe al fosforo, uranio impoverito? Servirebbero analisti, tecnici indipendenti per verificare. Ma, sfortunatamente, Israele non lascia passare nessun attivista dei diritti umani, nessuna organizzazione indipendente. Seppelliscono la verità, dopo che sono morte 1300 persone nel terrificante bombardamento.
Gaza non è uno scatolone di sabbia. In barca abbiamo attraversato i grandi giacimenti di gas che si trovano davanti alla sua costa, e che gli israeliani hanno cominciato a sfruttare. Le acque al largo di Gaza sono sigillate da 40 anni. La nostra era la settima nave che in 40 anni ha cercato di forzare il blocco e arrivare nel porto di Gaza City. Non è per il terrorismo che gli israeliani impediscono a tutti, anche ai poveri pescatori di Gaza di allontanarsi dalla costa. Anche nei limiti delle dodici miglia, gli sparano addosso. Non vogliono occhi estranei. Ma quel gas a chi appartiene? Per questo Israele non vuole attivisti dei diritti umani né a Gaza, né nel mare di fronte alla Striscia. Le frontiere sono chiuse. Le coste sigillate da un impressionante apparato militari. Ci sono troppi segreti da custodire.
" Erano stati avvertiti. Nessuno ha sparato "
«Ogni organizzazione e ogni Paese interessati a trasferire aiuti umanitari alla Striscia di Gaza possono farlo in maniera legale utilizzando i punti di valico fra Israele e la Striscia, coordinandosi in anticipo con le autorità militari». Un portavoce militare israeliano ha ribadito la posizione di Gerusalemme sulla vicenda che martedì scorso ha coinvolto l’imbarcazione greca Arion, bloccata «dopo essere entrata nelle acque territoriali di Gaza». Già il giorno precedente, secondo il portavoce, la Marina israeliana aveva contattato la Arion facendole presente che non avrebbe potuto entrare in quelle acque territoriali «per i rischi di sicurezza connessi al blocco navale esistente». Ma l’ imbarcazione ha ignorato l’avvertimento ed è «stata intercettata dalla Marina militare» e costretta a raggiungere il vicino porto israeliano di Ashdod. Secondo la Marina israeliana, nessun colpo di arma da fuoco è stato esploso durante l’operazione. I beni umanitari trovati a bordo sono destinati a essere trasferiti a Gaza, se trovati conformi alle regolamentazioni in corso. Dei circa venti attivisti che erano a bordo, alcuni hanno già lasciato Israele. Altri hanno invece rifiutato gli ordini di espulsione e hanno dovuto attendere alcuni giorni in carcere un dibattito giudiziario.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, cliccare sull'e-mail sottostante