Il prossimo governo libanese sarà guidato da Saad Hariri Ed Hezbollah pretende il potere di veto al Parlamento, come già aveva fatto nel 2006, portando il paese allo stallo
Testata: Il Foglio Data: 02 luglio 2009 Pagina: 3 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «Così Saad Hariri mira a governare Hezbollah con l’Iran in crisi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 02/07/2009, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Così Saad Hariri mira a governare Hezbollah con l’Iran in crisi ".
Saad Hariri
Beirut. Finalmente premier, leader suo malgrado. E’ finito il tirocinio per Saad Hariri che da grande voleva fare l’uomo d’affari, godersi sigari cubani in una delle tante proprietà di famiglia, coltivare la sua passione per le Harley Davidson. Invece da sabato è il leader eletto del Libano, nel nome del padre e della sua eredità. Il mandato del giovane politico è iniziato lì, sulla tomba del genitore Rafiq, in piazza dei Martiri, nel cuore di Beirut. A pochi passi da quel luogo di raccoglimento e protesta, il cratere di 15 metri di diametro – cicatrice viva dell’esplosione che uccise l’ex primo ministro nel febbraio del 2005 – è stato ricoperto, ricucito, non dimenticato. Saad, 39 anni e completi scuri troppo larghi, era appena stato nominato dal presidente Michel Suleiman quando si è fermato a pregare su quella lapide: “Spero che lui – possa la sua anima riposare in pace – sappia che stiamo facendo tutto il possibile per portare avanti la sua eredità – ha detto in un’intervista al Christian Science Monitor – Ma alla fine, non potremo mai riportare indietro Rafiq Hariri”. E’ arrivato il momento di Saad, a lungo posticipato. Lui, non il fratello maggiore Bahaeddine, è il delfino da sempre. Qualche giornale locale, subito dopo l’uccisione del padre, aveva indicato dietro l’immediata investitura di Saad a erede politico la longa manu dell’Arabia Saudita, del re Abdallah in persona, molto vicino alla famiglia. Il giovane è cittadino saudita, come il padre; ha sposato una saudita; ha vissuto più a lungo a Riad, dove è nato, che nel paese che si appresta a guidare. Comunque siano andate le cose allora, oggi è al comando e dovrà vedersela con una situazione complicata, costretto a navigare tra equilibri e disequilibri nazionali e miliardi di dollari di debito. Il suo vicino, la Siria, contro cui si è scagliato innumerevoli volte, ritenendo Damasco colpevole dell’assassinio del padre, accoglierà a breve un ambasciatore americano, simbolo di una tentata distensione con Washington; in Iran, alleato principale del suo maggiore rivale politico, Hezbollah, il regime è alle prese con uno strappo senza precedenti. Saad dovrà tentare di ricostruire un dialogo interno, come ha anticipato annunciando l’intenzione di formare un governo di unità nazionale. Le consultazioni sono iniziate lunedì e saranno lunghe ed estenuanti, prevedono gli analisti. Sheikh Saad dovrà “ricostruire” come aveva fatto suo padre, primo ministro dell’era post bellica, l’uomo che nel 1992 prese in mano le sorti del Libano nei difficili anni dopo la guerra civile. Lui aveva rimesso in moto il cuore di Beirut, eretto palazzi, progettato piazze e strade rinate sulle macerie. Carismatico, controverso, Rafiq, figlio di un fruttivendolo sunnita di Sidone diventato il più ricco uomo d’affari della regione, era di casa nella reggia dei Saud, sapeva lavorare con i siriani, presenti con truppe e servizi segreti sul suolo libanese fino al 2005, era spesso ospite con l’intera famiglia negli appartamenti dell’ex presidente francese Jacques Chirac. I suoi contatti erano molti e potenti. La sua determinazione nel traghettare il Libano distrutto da 15 anni di conflitto lo ha reso un mito ben prima di schierarsi con l’opposizione politica che voleva i siriani fuori dal paese. Oggi Rafiq Hariri è Mr Lebanon. Saad, il figlio che è cresciuto in Arabia Saudita, ha studiato alla Georgetown University di Washington per diventare un businessman, non un politico, che a 26 anni gestiva la Saudi Oger, società di costruzioni multimiliardaria del padre, il giovane che nessuno conosceva a Beirut prima della sera dell’attentato, non ha soltanto un impressionante compito politico da affrontare, deve anche farlo nell’ombra incombente del padre leggenda e “martire”. Da quel giorno di San Valentino in cui la solare vitalità del lungomare di Beirut fu interrotta da un immane boato, l’immagine di Saad Hariri è ovunque, ma in secondo piano. E’ suo padre a essere la star sui manifesti appesi ovunque nel paese, da Sidone a Tripoli passando per Beirut; c’è la sagoma di Rafiq a dare il benvenuto a chi si connette sul sito della Corrente del Futuro, che Saad guida da quattro anni; c’è l’ex premier sulla pagina web del giornale al Mustaqbal, proprietà della famiglia. Persino nella campagna del 2005 e in questa che si è appena chiusa, l’immagine di Saad, candidato, compariva quasi sempre assieme a quella di Rafiq, spesso più piccola. Il compito che attende il delfino non è certo da figura di secondo piano. I quattro anni di tirocinio si sono chiusi con le elezioni del 7 giugno. Il politico suo malgrado ha avuto il tempo di formarsi, di viaggiare ed essere accolto nelle capitali mondiali come un capo di stato prima ancora d’essere eletto, di fare pressioni nelle cancellerie internazionali affinché un tribunale sulla strage Hariri vedesse la luce. La Corte, con sede in Olanda, è nata a marzo. I quattro anni di apprendistato sono stati pieni di insidie, di minacce contro la sua persona, sono stati anni in cui Beirut era sconvolta dagli attentati contro deputati, politici, giornalisti, in cui il Libano ha visto una guerra al confine e scontri nelle vie della capitale. Il giovane ha avuto gli onori di un battesimo del fuoco: nel maggio 2008, mentre gli uomini armati del suo movimento si davano battaglia in città con le milizie di Hezbollah, il suo quartiergenerale, sulla collina del Koraitem, era sotto tiro, assediato. Il futuro da premier di Saad era già scritto, voluto dalla sua famiglia e dai libanesi avvezzi alla politica del feudo: “Non penso di essere un simbolo per ora – aveva detto alla Afp nel 2005 – Ho bisogno di lavorare nei prossimi quattro anni per riempire un po’ le scarpe di mio padre”. Saad, con il pizzetto alla moda saudita, appare ancora oggi un po’ impacciato. Ma è cambiato dai primi discorsi di rito davanti alle incredibili folle che all’indomani dell’assassinio di suo padre protestarono nelle strade di Beirut fino al ritiro dei militari siriani dal paese. Non ha il carisma del padre, ma ha dimostrato negli anni una certa aggressività. A Newsweek che nel 2007 gli ricordava che c’era chi, negli Stati Uniti, spingeva per il dialogo con la Siria sull’Iraq, il delfino rispondeva con una domanda retorica: “E allora perché non dialogate anche con al Qaida?”. Durante l’ultima campagna elettorale, ha insistito sul disarmo delle milizie, prima fra tutte Hezbollah, il rivale. In un rapporto pubblicato ieri, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha definito le armi del movimento sciita “una sfida pericolosa per le capacità dello stato libanese”. Oggi sarà proprio il rapporto con il Partito di Dio il vero test dell’abilità politica di Hariri. L’opposizione pretende il potere di veto al Parlamento, come già aveva fatto nel 2006, portando il paese allo stallo. La prima mossa di Saad figlio di Rafiq è puntare al compromesso: “Dobbiamo tenderci le mani l’un l’altro, rimboccarci le maniche e lavorare assieme per il bene del Libano”, ha detto nel suo discorso dopo la vittoria.
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