Ma perché gli arabi se la sono tanto presa con la richiesta di riconoscere Israele come stato ebraico ? 30/06/2009
Ma perché gli arabi se la sono tanto presa con l'ovvia richiesta avanzata da Netanyahu di riconoscere Israele come stato ebraico (stato del popolo ebraico, non necessariamente regolato dalla religione ebraica)? Ve lo siete chiesti? Dopotutto quando l'Italia cedette alla Jugoslavia l'Istria dopo la seconda guerra mondiale, ne dovette riconoscere il carattere slavo e così la Germania dovette rinunciare alle sue pretese etniche per Wroclaw e Strasburgo, anche se in tutti questi casi c'erano buone ragioni storiche per la posizione opposta. I conflitti territoriali si chiudono innanzitutto rinunciando alle rivendicazioni etniche, alle radici ancestrali e al "diritto al ritorno": gli esuli italiani non torneranno a Pola o a Nizza, i serbi in Bosnia o nel Kossovo, e così i tedeschi che da secoli stravano a Praga o a Koenigsberg. La pace in Europa si fonda su questo tipo di rinunce. La risposta, o almeno una risposta importante, si trova in un'intervista del capo di Hamas, pubblicata qualche giorno fa: "Mashaal emphasized that the Palestinian people were committed to the return of refugees to their homes and warned against any possibly of recognizing Israel as a Jewish state. "It's a definition that annuls the right of return to lands conquered in 1948," he said." Se accettassero di riconoscere Israele come stato ebraico e solo a questa condizione, i palestinesi potrebbero rinunciare per davvero alla guerra; non facendolo, si riservano di proseguirla per fasi (come teorizzava Arafat) o con altri mezzi, per esempio la demografia. Se non siete convinti, leggete queste righe del "filosofo" siriano Hashem Saleh, che risiede a Parigi, tratte da un articolo intitolato “Verso una riconciliazione fra arabi ed ebrei”. pubblicato un paio di mesi fa dal quotidiano saudita, stampato a Londra, “Al-Sharq Al-Awsat”: “Voglio che quella di Gaza sia l’ultima guerra. Cominciamo da capo una nuova era nella regione e usiamo tutte le energie finora sprecate e le occasioni mancate per la ricostruzione e per lo sviluppo, invece che per la distruzione e la devastazione. Investiamo le nostre energie per costruire scuole, università, ospedali e per parchi gioco per i bambini.” E questo “..per consentire all’impresa culturale araba di mettersi veramente in cammino, non possiamo continuare a ritardarla con il pretesto di liberare la Palestina. Prima di tutto liberiamo il pensiero arabo, e la liberazione della Palestina seguirà da sola.” Dopo la visone utopica dell'ultima guerra e dei parchi gioco, ecco qualcosa di sostanzioso: "La liberazione della Palestina"! Ma come? La risposta di Saleh è chiarissima: “Dico con sicurezza che possiamo vincere questa battaglia senza tirare un solo colpo. Ma usando una tattica differente, cioè attraverso il nostro tasso di natalità e la demografia. I palestinesi sopraffaranno gli israeliani e li influenzeranno per una questione di numeri.” Ecco il punto: la demografia, il ritorno dei rifugiati (o piuttosto dei loro nipoti o pretesi tali), l'immigrazione sono il proseguimento della guerra con altri mezzi, contro Israele, ma anche contro l'Europa. Anche l'idea che circola in molti ambienti palestinesi, di smettere di richiedere i due stati e proporre un'unica entità "binazionale" dal Giordano al Mediterraneo risponde a questa logica: raggiungere una maggioranza araba sul territorio della pretesa "Palestina". Le armi magari salteranno fuori di nuovo alla fine, quando la maggioranza sarà stabilita. Riconoscere il carattere ebraico di Israele significa non necessariamente rinunciare davvero a questo metodo di guerra, più lento e meno eroico della lotta armata, ma più sicuro e insidioso, meno preoccupante per l'opinione pubblica mondiale; ma certo renderlo più difficile. Per questo Netanyahu ha fatto bene a sollevare il problema, che non è affatto formale o pretestuoso. E per questo si scandalizzano gli arabi e i loro amici europei e americani, "Haaretz" e "New York Times" in testa.