Anche se in questo momento l'interessa principale della stampa italiana sembrano le imprese delle signorine di facili costumi che lavorano fra la Puglia e la Sardegna, bisogna continuare a occuparsi dell'Iran, perché è lì che sta accadendo qualcosa di decisivo nel conflitto di civiltà. Vi ricordate? Fino a quindici giorni fa c'era parecchia gente che parlava dell'Iran come "la più grande democrazia del Medio Oriente" (l'altra era il Libano, Israele non compariva in questi elenchi...). Un giornalista del New York Times, che per vergogna di chi onora le memorie rituali dell'ebraismo risponde al nome di Cohen (degno compare di quell'altra vergogna che su un giornale israeliano risponde al nome di Levi), scrisse una serie di articoli per spiegare agli americani come gli ebrei stessero bene in Iran, gli ayatollah fosse gente brava e ragionevole e bisognasse farci la pace, non boicottarli, anzi, mettersi d'accordo con loro contro i pazzi guerrafondai del governo israeliano. Pensate che nel passaggio di un suo pezzo dal New York Times alla sua versione europea sul Herald Tribune, questo Cohen si accorse di aver accettato l'accusa (naturalmente "del Mossad", anche se vi sono le sentenze dei tribunali argentini a dimostrarlo) per cui gli iraniani sono responsabili del massacro del centro ebraico di Buones Aires del 1994 e subito corresse, scrivendo del "preteso coinvolgimento" iraniano. E' lui stesso che in un blog ammette di aver fatto il cambiamento, per "migliorare" il suo articolo. Pensate soprattutto a un mese fa, quando Obama fece cerimoniosamente gli auguri agli ayatollah per il capodanno persiano con un discorso in televisione e al Cairo aggiunse che non c'era niente di male se si occupavano di energia atomica – per uso pacifico, naturalmente. L'idea, sua, di Obama, di tutta Eurabia era questa: c'è una via facile per mettersi d'accordo col mondo islamico, dir loro sempre di sì e trattare Israele come il problema da sistemare per risolvere i "malintesi" del passato. Chiedere scusa, sorridere, dire che non c'è differenza di valore fra i loro regimi e la nostra democrazia. Dato che l'Occidente ha tantissima colpe nei confronti del mondo islamico, è lui a doversi adattare a loro, non viceversa, come possono pensare solo gli infami neo-con. Come ha detto Obama, l'America deve tantissime cose all'Islam ed è anche uno dei più grandi paesi islamici al mondo. Fra un po' ci convertiremoi tutti, e per ora comunque promettiamo di non permetterci alcuna critica. Peccato che i giovani iraniani non siano d'accordo, che siano disposti a farsi ammazzare non per il velo o per la Palestina araba o per la barba del profeta, ma per le nostre banali elezioni, quelle in cui le cariche pubbliche vengono decise dagli elettori e non da Guide Supreme, preti, dittatori vari: un pezzo cruciale di Occidente. Avessero anche tribunali indipendenti, libertà di pensiero e magari anche di costumi di vita, sarebbero ancora più contenti. Non li affliggessero cleri corrotti, repubbliche ereditarie, polizie del buon costume, inviati del Cielo e altre analoghe sciagure, sarebbero felici, magari anche di tenersi la loro religione. Insomma, vorrebbero vivere a Frosinone o a Montpellier, a San Diego o a Aarus, non a Damasco, a Medina, a Islamabad o a Teheran dove vivono. Vi sembra poco? Il fatto è che un paese islamico democratico è come un paese comunista prospero: un ossimoro. Dei 56 paesi dell'Organizzazione della Conferenza Islamica, quanti rispondono ai più banali requisiti di democrazia? Forse due o tre, e molto parzialmente e in maniera assai accidentata, fra mille problemi, come la Turchia, il Marocco e il Libano. I ragazzi di Teheran ci insegnano che noi siamo i depositari di una cosa preziosissima che si chiama libertà. Dobbiamo capirne il valore e difenderla non solo per noi, ma anche per loro.
Ugo Volli |