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La Stampa Rassegna Stampa
25.06.2009 E' stato un incubo fin dal primo giorno
L'analisi capovolta di Igor Man(zella)

Testata: La Stampa
Data: 25 giugno 2009
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «Il sogno dei turbanti s'è rotto»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 25/06/2009, a pag. 1, l'editoriale di Igor Man dal titolo "Il sogno dei turbanti s'è rotto".

  Igor Man(zella) e Khamenei. Quali somiglianze?

Man(zella) scrive : " Nessuno dei contendenti vuol sopprimere l’antagonista sicché dietro le quinte c’è un grande lavorio di intelligence. ". La repressione dei manifestanti messa in atto da Ahmadinejad e Khamenei non ha alle spalle nessu lavoro di intelligence ed è volta all'annientamento degli oppositori. E' brutale. Il numero dei morti sale di giorno in giorno.
"
Nell’attentato suicida al mausoleo di Khomeini potrebbe esserci la chiave di lettura della crisi che sta massacrando l’Iran. (...). Ma chi ha profanato il mausoleo dell’imam? Agenti provocatori, «fedayn dell’esterno» o James Bond che scaldano i muscoli per un blitz punitivo sui siti nucleari dell’Iran?". Le manifestazioni a Teheran di questi giorni sono dovute ai brogli elettorali, non hanno nulla a che vedere con l'attentato suicida al mausoleo di Khomeini. Per quanto riguarda le ipotesi di Man(zella) sui possibili responsabili, l'accenno (nemmeno troppo velato) ad agenti del Mossad è assurdo. Nè Israele nè le democrazie occidentali sono complici di quell'attentato. Sostenere che in esso ci sia la chiave di lettura per i massacri dei manifestanti è vergognoso perchè diminuisce le responsabilità del vero colpevole della repressione dei manifestanti: il regime teocratico guidato da Khamenei e Ahmadinejad. Ecco l'articolo:

Grazie a quella che Gandhi chiamava «la prepotenza della notizia», veicolata da Twitter, il sito Internet che raccoglie e diffonde stringati messaggi, un po’ tutti nel mondo seguiamo gli accadimenti iraniani. Il «no» degli iraniani di buona coscienza alla truffa elettorale che ha ribaltato il responso delle urne, e la protesta popolare che ha provocato una repressione spietata, entrano nelle nostre case tranquille col loro corteo di sangue, di morte. Giorno dopo giorno, ora per ora. I lettori, la gente, l’opinione pubblica mondiale (chi per un verso chi per l’altro) si interrogano, ansiosamente: riusciranno gli iraniani che si riconoscono nel «moderato» Mir Hossein Mousavi (il grande truffato) a cancellare la frode elettorale, ad avere giustizia, insomma?
La risposta niente affatto elegante è «ni». Non pochi commentatori hanno scritto che laggiù, in Iran, «qualcosa s’è rotto». Vale a dire che quella sorta di complicità che regnava pro bono pacis nella camera dei turbanti, fra gli ayatollah ortodossi, fermi al dettato di Khomeini, e i «riformisti» alla Khatami, per intenderci, è andata in pezzi. Lasciando solitari arbitri della situazione i militari. Un esercito bene addestrato che aspetta solo l’atomica per guardare oltre i confini del cosiddetto «arco della crisi»: dal Golfo all’Indonesia passando per l’Africa afflitta da due orchi: l’Aids e la corruzione. Le ambizioni dei militari, il loro disegno strategico, si coniugano con il sogno dei turbanti khomeinisti.
La oramai remota ma sempre esaltata vittoria elettorale di Khatami svelò del tutto la realtà nascosta dalle speranze, dagli slogan degli studenti, dei commercianti del bazar (generosi sovvenzionatori di Khomeini). E cioè: in Iran può dichiararsi ed essere un presidente davvero operativo il politico che goda dell’appoggio dei pasdaran (le milizie di regime), che abbia dalla sua i rapaci bassji (polizia mobile e senza misericordia, quella che ha ucciso la giovinetta Neda, sotto gli occhi del padre), ma soprattutto chi possa contare sull’appoggio delle forze armate, oggetto di cure e premure del mistico presidente Ahmadinejad. Il New York Times ha scritto che «la frattura è al top» (non tutti i grandi religiosi sono con Khamenei) e nel frattempo la rivolta popolare è diventata un «movimento di base». Sappiamo per esperienza storica e per la frequentazione con persiani cultori della pace, delle buone letture, «gente come noi», che i veri «moderati» sono i borghesi e gli studenti: sono loro, in queste giornate terribili, a tener vivo il braciere della protesta. Ma è solo un braciere, poiché a ravvivare la protesta sono giustappunto (relativamente) pochi iraniani. Di più: un movimento come quello che sconvolge un grande Paese indoeuropeo con la sua protesta, con i suoi animatori schiaffati in galera, un movimento così lo spegni solo col sangue. Molto sangue.
Nessuno dei contendenti vuol sopprimere l’antagonista sicché dietro le quinte c’è un grande lavorio di intelligence. Nell’attentato suicida al mausoleo di Khomeini potrebbe esserci la chiave di lettura della crisi che sta massacrando l’Iran. Se gli autori del sacrilego attentato risultassero i «fedayn dell’esterno», quelli scesi subito in campo contro Khomeini, il contestato governo avrebbe spianata la via d’una repressione ad alzo zero per radere al suolo la meglio gioventù di Teheran. Ma chi ha profanato il mausoleo dell’imam? Agenti provocatori, «fedayn dell’esterno» o James Bond che scaldano i muscoli per un blitz punitivo sui siti nucleari dell’Iran?
Dalla natura della risposta dipende il destino d’un Paese antico che ha sempre guardato all’Europa, all’Italia in particolare.

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