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Il Foglio Rassegna Stampa
24.06.2009 Applicare in Pakistan la lezione irachena
e i risultati arrivano

Testata: Il Foglio
Data: 24 giugno 2009
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Storia segreta del 'talebano buono' contro i 'talebani cattivi'»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 24/06/2009, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Storia segreta del 'talebano buono' contro i  " talebani cattivi ".

Roma. Dovrebbe essere la svolta in stile iracheno. Considerato che il Pakistan è diventato il nuovo Iraq dell’Amministrazione Obama – ieri un bombardamento con i droni ha ucciso almeno 45 persone nel Waziristan. Il paese subisce ogni giorno gli attacchi della guerriglia filotalebana: le esecuzioni di politici e di religiosi moderati, le autobomba, gli assalti frontali agli avamposti del governo: la soluzione potrebbe essere la stessa che ha risolto la guerra due anni fa. Cooptare gli elementi “disposti alla riconciliazione”, cercare la collaborazione dei cittadini locali stanchi di violenze, mettere in circolo “anticorpi sani” per sconfiggere la cattiva influenza ideologica degli stranieri di al Qaida. In Iraq è nato tutto nel cuore della provincia peggiore, al Anbar, il cuore violentissimo del territorio sunnita dove gli americani subivano l’80 per cento delle loro perdite. Verso la fine del 2006 gli anbari si sono stancati dell’infestazione di al Qaida, si sono coalizzati in milizie claniche di volontari e hanno preso le armi contro i guerriglieri. Nel 2008, 70 mila sunniti combattevano al fianco degli americani. L’efficacia era fulminante: per esempio, la loro presenza ai posti di blocco garantiva l’arresto immancabile degli attentatori suicidi, al 95 per cento provenienti dall’estero. L’accento straniero tradiva i guidatori. Prima della grande svolta, non si poteva chiedere ai marine di insospettirsi sentendo parlare un arabo per esempio con inflessione algerina e non irachena. Il modello Anbar è assieme il nocciolo, l’atto di nascita e il momento di gloria della nuova counterinsurgency, la dottrina civile e militare su cui gli americani e l’Amministrazione Obama ripongono le loro speranze per districarsi dalla guerra in Afghanistan. Ma il Pakistan non è l’Iraq, che pure era tremendamente complicato, con le sue faglie etniche e religiose – i curdi, gli sciiti, i sunniti – e i suoi vicini ostili. In Pakistan il teatro d’operazione è ancora più oscuro. La base madre dei cattivi è un labirinto di montagne, il Waziristan, dove ogni operazione con mezzi pesanti è impensabile. In passato il governo pachistano d’intesa con i militari ha fatto la scelta deliberata di tenere l’area in stato d’arretratezza: pochissime strade e ancora meno scuole. Nel caso l’India invadesse, questo era il pensiero, ci farà comodo una provincia lunare dove rifugiarci e organizzare la resistenza, dove i carriarmati non potranno salire, presidiata da tribù fiere e di irriducibile tradizione guerriera. Al confronto del Waziristan, l’inferno di al Anbar era un paradiso operativo: saturato da al Qaida, in ogni condominio poteva nascondersi un deposito di armi o una camera delle torture, ma piatto come un biliardo – come è la maggior parte dell’Iraq, paese petrolifero – e servito da lunghe autostrade da e verso il centro del paese. Il secondo fattore di complessità è tipicamente pachistano: è arduo sollevare una ribellione civile contro al Qaida se i servizi segreti militari non si sono ancora rassegnati a troncare i legami con al Qaida. Il governo annuncia l’imminente offensiva contro il Waziristan, ma l’obiettivo dichiarato non è il blocco talebano nella sua interezza: l’esercito sta per scatenare la grande caccia contro Baitullah Mehsud, e contro di lui soltanto. Mehsud è l’incubo delle forze di sicurezza pachistane. Il primo motivo è che è fuori controllo: Mehsud è un outsider, non è mai stato sull’agenda telefonica dei servizi. Con gli altri signori della guerra Islamabad trova sempre un’intesa, con Baitullah no. Anzi, lui si è fatto strada sui cadaveri della gerarchia pre-esistente, quella ben collegata agli ambienti del governo. Ex istruttore di educazione fisica, 35 anni, statura risibile – un metro e mezzo – ma anche deteminazione da Napoleone tribale, è un rivoluzionario: ha fatto assassinare circa trecento anziani delle tribù che si opponevano alla sua ascesa e proteggevano lo status quo, e ha accolto – con orrore di molti waziri – combattenti stranieri nel suo gruppo. Così tanti che il suo piccolo esercito di circa 5.000 uomini – più altri 15.000 riservisti pronti a rispondere alla sua chiamata in caso di guerra totale – ha un nucleo di irriducibili arabi e uzbeki temprati da un decennio di guerriglia e ideologicamente incrollabili. Il governo pachistano non ha contribuito al mantenimento o all’arrampicata di Baitullah, non ha crediti da vantare e per questo lo teme, tanto da insinuare che lui sia un’operazione nera dei servizi segreti indiani (tutto il male, in Pakistan, soffia dall’India). Soluzione per le spicce Per questo analisti e osservatori stanno con il fiato sospeso a spiare la cronaca pachistana, soprattutto a nordovest, attorno e dentro le province tribali. Chi sarà il primo capoclan a presentarsi alla porta di un covo di al Qaida a fucili spianati per vendicarsi di qualche sgarro, come accadeva due anni fa in Iraq? Non per nulla poco più a nord, nella parte meridionale dell’Afghanistan, stanno affluendo i marine, architetti militari della strategia tribale nella provincia di al Anbar. Il primo segno di ribellione è arrivato da Qari Zainuddin Mehsud, appartenente anche lui alla tribù di Baitullah, che ha osato sfidare i suoi killer (lui spedisce a casa della vittima predestinata un telo di buona stoffa, con un biglietto: “Preparati il sudario”). Sei giorni fa, Zainudin si è esposto addirittura con una serie di conferenze stampa. “Tremila talebani hanno deciso sotto il mio comando di attaccare Baitullah, che con i suoi attentati dentro il Pakistan prova di non essere un musulmano, e di schierarsi a fianco dell’esercito nell’offensiva contro le sue roccaforti”. L’operazione militare contro il nano superterrorista Mehsud, nome in codice “la Via della Salvezza”, ormai alle fasi di preparazione finale, beneficerebbe enormemente dell’aiuto sul terreno di guerriglieri passati con lo stato. Come in Iraq, alla base dell’odio tra le due fazioni c’è una faida famigliare. Baitullah ha fatto uccidere il padre di Zainuddin, e questo ha risposto facendogli uccidere il fratello. Ma tutto è reso più complesso dal torbido mucillaginoso che copre tutte le vicende pachistane e le oscura, soprattutto agli occhi degli analisti occidentali. Mentre giurava di combattere con i soldi e le armi del governo, Zainuddin ha però dichiarato che il solo jihad legittimo è quello contro i soldati occidentali in Afghanistan. Quel giorno il presidente pachistano, Ali Asif Zardari, era al comando centrale della Nato, a Bruxelles, per convincere i membri della sua piena collaborazione contro i talebani, senza più le ambiguità del passato. La situazione ambigua, e anche l’esperimento embrionale sul modello Anbar, è stata terminato con le spicce due giorni fa da un killer di Baitullah, che ha sparato a Zainuddin e lo ha ucciso.

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