Nei molti discorsi ascoltati il mese scorso, in Israele ma anche a Washington e a Roma oltre Tevere, durante gli incontri internazionali che hanno visto la questione mediorientale sotto i riflettori, c’è una parola, destinata, sembra, a rimanere in secondo piano. Viene pronunciata, certo, ma per cedere subito la scena ad altre, quali “dialogo”, “ponti”, “pace”, “due stati” ecc. Non avremmo nulla da obiettare, sono belle parole, chi non le sottoscriverebbe ? Peccato che la mancanza della parola di serie B, “sicurezza”, annulli ogni possibilità di arrivare ad una qualsiasi soluzione. Ci potranno essere tutti i dialoghi che si vuole, ma Israele, senza la sicurezza al 100% che lo stato palestinese non rappresenterà un pericolo alla sua esistenza, continuerà ad esigere queste garanzie, e che siano certe e credibili. Per questi motivi sarebbe ora che cessassero tutte le invocazioni alla fine delle ostilità, quando i belligeranti sul campo sono, da un lato, uno Stato democratico, Israele, che non ha bisogno di esibire attestati, e, dall’altra, un gruppo terrorista, Hamas, che con un colpo di Stato ha eliminato l’Anp di Abu Mazen a Gaza, eliminandone fisicamente i leader, e minando alla base ogni certezza sulla capacità politica palestinese di poter arrivare a fondare uno Stato, non diciamo democratico, ma almeno accettabile come vicino. Ha dell’incredibile che nei commenti che leggiamo sui giornali, o ascoltiamo in televisione, il problema dei confini non venga spiegato nella giusta luce. Un problema che Israele ha non solo con Libano e Siria, ma che è presente anche con l’Egitto, uno stato con il quale esiste un trattato di pace dal 1979. Perché è dall’Egitto che penetrano a Gaza terroristi e istruttori di terrorismo di provenienza iraniana, al servizio di Hamas, ci dice Zvi Mazel, già ambasciatore in Egitto, che abbiamo incontrato alla Fiera del Libro di Torino, dove ha tenuto una conferenza sulle relazioni bilaterali fra i due paesi. Mazel, grande esperto del mondo arabo e musulmano, dirige oggi anche un sito internet in lingua araba che informa su Israele in quella lingua, conosce bene quale pericolo rappresentino Fratelli Musulmani ed Hezbollah per la stabilità dello stato egiziano. I primi, li aveva combattuti persino Nasser, che non era proprio quel che si dice un democratico, quando si accorse che volevano farlo fuori. La storia si ripete oggi con Mubarak. Con l’Egitto c’è una frontiera di 250 km, da Gaza a Eilat, attraverso la quale è molto facile la penetrazione di terroristi nello Stato ebraico, finanziati dall’Iran, che sborsa ogni anno 100 milioni di dollari tra forniture di armi e addestramento militare. Quella frontiera è una ferita aperta, ci dice Zvi Mazel, per cui Israele sta costruendo 40 km (su 250) di barriera di sicurezza, partendo da Gaza verso il Sinai, costituita da filo spinato (barbed wire).
La posizione di Mubarak, continua Mazel, è molto debole, perché non ha saputo guidare lo sviluppo del paese, dove il 50% della gente vive con circa 3 dollari al giorno, e con il 50/60 % di analfabeti. I Fratelli Musulmani guidano lo scontento, sono di fatto l’unico vero partito di opposizione contro il partito unico del rais. Oggi rappresentano il 20% , ma sono in continua crescita, e Mubarak è solo al potere, non ci sono all’orizzonte altri leader, per cui il suo probabile successore sarà il figlio Gamal, il quale, più che un politico, è un economista, un tecnocrate. L’esercito è fedele, continua Mazel, e le basi della pace con l’Egitto sono solide, ma tutto può succedere. Perché dietro alla destabilizzazione mediorientale c’è l’Iran. Il Libano è già nelle sue mani, con Hezbollah che ha il diritto di veto (mentre scriviamo non sappiamo come andranno le elezioni, in Libano di vota il 7 giugno, in Iran il 12).
Le cose vanno meglio con la Giordania (400 km di frontiera), la situazione è tranquilla, non causano problemi nemmeno i Fratelli Musulmani, malgrado siano in parlamento il 20%, e la popolazione sia al 70% palestinese.
L’esercito è bene organizzato e controlla la situazione, e l’istituzione monarchica regge.
Come si vede, la regione presenta prospettive inquietanti, destinate a crescere, se non si spiega in termini chiari e comprensibili la posizione dell’Iran, che è il massimo responsabile della diffusione del terrorismo. Un pericolo per tutto il mondo occidentale, ma soprattutto, vista la vicinanza, per Israele. Eppure, malgrado l’evidenza dei fatti, a Israele vengono ancora e sempre fatte richieste impossibili ad accogliersi, richieste che anche un bambino giudicherebbe inaccettabili se solo gli venissero spiegate. Qui sta il problema, giornali, tv, organismi internazionali, Onu e Ue in testa, sembra non sappiano fare altro se non chiedere a Israele di mettere a rischio la propria sopravvivenza. Ma l’evento sembra non destare inquietudini, Israele è forte, dicono, ha pure l’arma nucleare, dicono altri. Può essere vero, ma se coloro che invocano ogni giorno la pace si rendessero conto di chi la minaccia davvero, rivolgerebbero il loro sguardo, di solito severo solo con Israele, verso chi la bomba atomica la vuole avere per usarla, non certo per difendersi. E’ l’Iran il grande pericolo, ma coloro che lo giudicano con benevolenza lo ritengono addirittura un partner indispensabile per la stabilità della regione.