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Ugo Volli
Cartoline
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In Iran gli studenti non abbatteranno il regime, qualche sorriso diplomatico lo rammollirà 18/06/2009

Leggete questa dichiarazione: «Tra le politiche del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e del suo rivale alle elezioni Mir Hossein Mousavi c'è poca differenza». Probabilmente è vero, ma questo non è il punto di vista dei ragazzi che rischiano letteralmente la vita a Teheran per manifestare contro le elezioni truccate. Pensate se qualcuno avesse detto lo stesso ai cecoslovacchi al tempo di Dubcek. Ma chi è stato a compiere questo freddo esercizio di realismo? Un politico israeliano che vede il "pericolo esistenziale" nel regime iraniano? Un cinese che guarda le cose da lontano e si ricorda di Piazza Tien An Men? Un gelido politologo da università? No, lo ha detto ieri Barack Obama alla Cnbc, la rete televisiva specializzata in finanza. E ha continuato: «Penso che sia importante capire che in entrambi i casi siamo di fronte a un regime ostile agli Stati Uniti». «Abbiamo interesse a lungo termine a che non abbiano un'arma nucleare e a che non fomentino il terrorismo» ha aggiunto il presidente americano.
Benissimo, sotto la retorica libertaria alle Kennedy, potreste dirmi, c'è una mente lucida che funziona, un nuovo Kissinger. Siamo d'accordo con lei: che gli iraniani smettano di promuovere il terrorismo e non si facciano l'atomica è interesse non solo degli Usa, ma di tutto il mondo. Tutto bene, dunque, anche se mi sembra che questa mente, per essere nella testa di un politico, sottovaluti l'importanza del fattore umano; in particolare in questo caso la possibilità di incrinare, grazie all'entusiasmo dei giovani che vogliono la democrazia, il cupo dominio delle dittature islamiste. Sarà difficile che il movimento studentesco di Teheran raccolga i suoi obiettivi, ma se lo facesse sarebbe un rovesciamento storico. Contrariamente alla sua immagine, il presidente degli Stati Uniti sembra essere preda di una sfiducia, di una sopravvalutazione della solidità dei regimi esistenti, insomma ha la forma mentis di un vecchio conservatore e non affatto di un giovane riformista entusiasta. Un po' deludente, tutta questa prudenza, ma certo non insensata.
E però c'è di più. In un'intervista all'"Unità" di ieri,  Nathan Brown, direttore del Middie East Studies Program all'università «George Washington», cioè uno dei portavoce accademici dell'amministrazione attuale, si trova a spiegare la posizione di Bush rispondendo a una domanda provocatoria, ma non irrealistica. Chiede il giornalista: che succede se vince Ahamadinedjad? "Ipotizziamo che tra un anno nessuno abbia accettato di stringere amichevolmente la mano tesa dl Obama. Che accadrà ?" «Ritengo che Obama escluda comunque l'opzione militare. Insisterebbe ancora sul terreno diplomatico, cercando di mobilitare gli Stati arabi amici, dall'Egitto all'Arabia Saudita. I quali avrebbero bisogno della cooperazione israeliana. Ma sarà molto difficile organizzare un lavoro diplomatico così complesso se nel frattempo il conflitto israelo-palestinese fosse riesploso.»
Sarà intelligente e kissingeriano, questo presidente, pessimista su tutto, ma qui c'è qualcosa che non funziona: sono nemici, fomentano il terrorismo, lavorano per avere l'atomica. Che si fa? Cerchiamo di trattare, e va bene. Ma se loro non vogliono? Si continua a cercare di trattare e nel frattempo si fa quello che vogliono loro sul fronte israeliano, cioè li si fa vincere, col risultato ovvio che continueranno a fomentare il terrorismo costruire l'atomica, essere nemici. Minacce niente, per carità. Potrebbero pensare che ce l'abbiamo con loro. Solo "lavoro diplomatico", cioè sorrisi e chiacchiere.  Pessimista su tutto, salvo che sulla diplomazia: gli studenti non abbatteranno il regime, ma qualche sorriso diplomatico lo rammollirà, beninteso purché si siano strapazzati a sufficienza gli israeliani.
Ma vi sembra logica questa linea? Ci capite qualcosa voi? E' mai successo al mondo che si ottenesse qualcosa corteggiando i nemici e schiaffeggiando gli amici? O è pura confusione e quello che gli americani chiamano "wishful thinking", pensiero desiderante? Ma se bisogna sperare, non è meglio affidare le proprie speranze sull'entusiasmo dei giovani democratici, invece che sull'adulazione di un regime orrido come quello degli ayatollah?

Ugo Volli


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