lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.06.2009 Sopravvissuto ad Auschwitz conserva per 60 anni alcuni gioielli di altri prigionieri
Per donarli a Yad Vashem

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 giugno 2009
Pagina: 17
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Restituisce allo Yad Vashem il tesoro nascosto per 60 anni»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/06/2009, a pag. 17, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Restituisce allo Yad Vashem il tesoro nascosto per 60 anni ".
La parola "tesoro" usata nel titolo è esagerata...che tesoro possono essere un paio di orologi e qualche spilla? Gli ebrei, prima di venire smistati nei lager, furono spogliati di tutti i loro averi. Questi pochi oggetti ritrovati non potevano di certo costituire un tesoro.  Il pezzo di Battistini è degno di lode. Ecco l'articolo:

 I gioielli conservati per 60 anni da Meyer Hack, che nel titolo diventa "tesoro"

GERUSALEMME — Dimentica, Meyer. Dimen­tica d’essere entrato nelle camere del Zyklon B e d’aver visto «anche una bambina nuda, una vol­ta, ed era attaccata al seno di sua mamma nuda: erano gassate tutt’e due, avevano gli occhi vuo­ti ». No, Meyer, non dimenticare nulla: il tuo gior­no della memoria è una nottata che non passa mai, conserva tutto perché non c’è photoshop che possa sbiadire quelle immagini stampate in testa. «Ho vissuto più di sessant’anni senza sape­re se fosse meglio ricordare o resettare tutto» di­ce Meyer Hack. E non sapendo bene che cosa fa­re, lui che aveva visto prima Auschwitz e poi Da­chau, ha sempre creduto che il sistema migliore fosse quello della scatola di ferro: «Ho preso il piccolo tesoro che ero riuscito a salvare, da quei poveracci, e non l’ho mai più voluto vedere né toccare. L’ho chiuso in questa cassetta. E la cas­setta l’ho nascosta in un posto che sapevo solo io. È rimasto tutto lì. Ho aspettato che arrivasse il momento giusto per tirare fuori la scatola. E donarla al Museo dell’Olocausto. Questo è il mo­mento ».
È il piccolo tesoro dei morti di Auschwitz. Dia­manti, orologi, catenine, anelli, orecchini, porta­soldi. L’oro dell’Olocausto. Pezzi di vita strappa­ti al camino e che nemmeno Ahmadinejad po­trebbe negare, guardandoli. Non valgono gran­ché, al fixing. Però Meyer Hack s’è messo la cra­vatta, per mostrarli al direttore dello Yad Vashem di Gerusalemme e li ha poggiati su por­tagioie di velluto rosso. Come si fa per le cose d’un prezzo inestimabile. D’un costo immenso.
Meyer oggi vive a Boston ed è un lucido signo­re di 95 anni, cardiologo in pensione, ebreo po­lacco. Quando finì ad Auschwitz e perse mam­ma e tre fratelli, se la cavò perché s’era inventa­to d’essere un sarto. Assegnato al più fortunato e tremendo dei lavori possibili, là dentro: spo­gliare i morituri, dividere le stoffe, farne coperte o chissà che altro. «Molti nascondevano nelle fo­dere i gioielli, le cose preziose. Ma quelle non volevo consegnarle ai nazisti: le nascondevo nei calzini, sotto i mattoni. Magari un giorno avrei potuto ridarle ai parenti». Meyer accumulò. Na­scose. E riuscì a portare il piccolo tesoro anche nel secondo lager, Dachau, dove fu deportato prima che arrivassero i sovietici. Salvato, riemer­so, per qualche anno ci ha provato: «Volevo tro­vare qualcuno cui ridare quella roba. Ma era im­possibile. E ogni volta che l’avevo per le mani, stavo male per giorni». Meglio chiudere, allora, chiave e mettere via: «Anna Frank ha scritto un diario. Io mi sono tenuto tutto nel cuore. Per ses­sant’anni non ho voluto vedere più nulla».
A Yad Vashem ci sono più di ventimila ogget­ti della Shoah, recuperati dai campi di tutt’Euro­pa. Ma l’oro, le pietre, i preziosi sono una rarità. «Ogni tanto ci segnalano qualche gioiello 'so­spetto' battuto alle aste internazionali — dice Yehudit Shenhav, curatore del museo — ma sen­za foto o solide testimonianze è difficile provare la provenienza. Questo vale per le cose rubate nei rastrellamenti. È un caso unico, che ricordi del genere siano usciti addirittura da Au­schwitz ». Tre anni fa, Meyer ha visto il sito del museo. Ha pensato all’età, ripensato a quella sca­tola di ferro che stava là. E ne ha parlato con gli amici migliori. Un rabbino che ha la metà dei suoi anni e l’ha accompagnato a Gerusalemme. E poi Steven Spielberg, il regista: «Esci e raccon­ta al mondo questa storia» gli ha suggerito l’uo­mo della
Schindler’s List. Il vecchio cardiologo l’ha fatto: «Avevo bisogno di dare un posto defi­nitivo a questi ricordi. Prima di darne uno al mio corpo».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT