Anna Mahjar-Barducci, Italo-Marocchina. Storie di marocchini in Europa Diabasis nel 2009
“Ogni volta che andavo via da Kenitra sentivo di lasciare casa e lo stesso provavo quando andavo via dall'Italia. Non c'era mai un ritorno, ma sempre una partenza da un luogo che mi apparteneva”. È difficile capire quello che si prova a non avere una nazionalità ben precisa. Come nel caso dell'autrice di “Italo-Marocchina. Storie di marocchini in Europa” edito da Diabasis nel 2009. Come se non bastasse, Anna Mahjar-Barducci, l'autrice del libro, ha deciso di sposare un ebreo di Gerusalemme dal nome a dir poco compromettente, David. Vallo a spiegare a tuoi parenti musulmani che ti sei innamorata di un ebreo che porta la kippah. Per la piccola Anna, che ormai si era abituata a vivere nel Belpaese, deve essere stato uno shock ritrovarsi, dopo un volo in aereo, in un Paese tanto diverso dal nostro a contemplare una moltitudine umana che le faceva le feste e lo zarghadah (muovere velocemente la lingua tra i denti). Sopratutto scoprire che quelle persone non sono straniere ma fanno parte del tuo stesso popolo. Così come deve essere stato altrettanto scioccante accorgersi di quel profumo nell'aria, mai percepito prima, e riconoscerlo come quello del proprio bled (paese). Scoprire che il nonno Abdullah (come da tradizione musulmana) si era sposato quattro volte lasciando la sua prima moglie in miseria. E come regolarsi con zio Rachid che, dopo aver partecipato al fallito coupe d'Etat con cui il Generale Mohammed Oufikir – l'allora ministro degli Esteri di Re Hassan II – avrebbe voluto prendere il posto del suo sovrano, ora non può nemmeno farsi vedere troppo in giro? Per non parlare, poi, del fatto che durante gli anni Ottanta, in Italia, non è che ci fossero così tanti stranieri e le classi erano composte per lo più da bambinetti tutti bianchi o al massimo un po' abbronzati. Per Anna era diverso: anzi, era lei ad essere diversa. Per questo i suoi compagni di classe non l'hanno mai accettata fino in fondo visto che in quegli anni i suoi connazionali giravano per le spiagge d'Italia in ciabatte e chiedevano a tutti “Vu' cumprà”. Anche quando finalmente Anna si sposa ed è felice, insomma non sente più il peso della diversità sulle spalle, deve fare in conti con la sua doppia nazionalità. La nonna Kebira non sta tanto bene e quindi non andarla a trovare sarebbe haram (proibito). Rapportarsi a queste figure di uomini che sono in bilico tra un secolo e l'altro, che secondo la legge possono ripudiare la prima moglie e che (contro la legge) picchiano la loro compagna o la stuprano, deve essere stato difficile. In questo pout-pourri di identità diverse e diversificanti, che Kimlicka chiamerebbe salad-bowl, trovarsi una propria identità era essenziale. Anna Mahjar-Barducci in un certo senso ci è riuscita ma questo deve esserle costato molto. L'autrice si tradisce quando crede di aver ritrovato suo nonno in una foto custodita dalla zia Samia. Invece l'uomo nella foto non è suo nonno, quello era soltanto un meskin (miserabile). La parentela era soltanto il frutto della fantasia di Samia. La realtà invece è ben diversa. Suo nonno, quello vero, era stato un ufficiale nella guerra arabo-israeliana del 1948 e ovviamente aveva combattuto contro Israele, la patria del marito di Anna. "Italo-Marocchina" non è un saggio sul multiculturalismo o sul pluralismo religioso ma un romanzo autobiografico. Eppure è proprio dai piccoli episodi di vita quotidiana e dai racconti di chi li ha vissuti in prima persona che si riesce a capire almeno in parte cosa significa essere oriundi. È da queste poche pagine (146) che si comprende il perché di tanti sacrifici e di tante scelte difficili. Andarsene da Groupie Six, il quartiere di Kenitra dove vivono i parenti marocchini di Anna, è l'imperativo per molti forse per tutti. Warda, per esempio, si era fatta tutti gli uomini di Groupie Six, per tentare di farsi portare via, ma non c'era riuscita. Se la prendevano per una notte e in cambio non le davano un bel niente. Lei avrebbe anche ammazzato qualcuno per andarsene da lì. Alla fine è riuscita a farsi chiamare in Spagna dalla zia Samia ma comunque non ha trovato esattamente quello che cercava. La Spagna sarà pure vicina al Marocco, ma la distanza che separa la cultura occidentale da quella mediorientale è enorme. Il razzismo d'altro canto non è una prerogativa degli italiani o degli occidentali. Anche tra loro i “vu' cumprà” si odiano a vicenda, almeno se stiamo alla descrizione che la Barducci fa del suo amico-giornalista Tareq: “Lui era nero come la notte, ma da buon sudanese faceva sempre distinzione tra africani-arabi e neri-africani. Lui ovviamente era un africano-arabo e, pertanto, non veramente nero; ma un nero-bianco (come diceva lui) e si sentiva nettamente superiore a chiunque fosse semplicemente nero-africano”. Non solo razzismo tra persone che a loro volta sono oggetto della stessa discriminazione. Le differenze culturali, si sa, possono anche dare luogo a incomprensioni e a interpretazioni diverse delle stesse vicende, a discorsi e opinioni “lost in translation”. È il caso di Nadia, figlia dello Sheick Yassine che è a capo del movimento islamista “Al Adl Wal Ihsane” che durante una conferenza all'università di Berkley, in California, disse di preferire la Repubblica alla Monarchia. Fu processata nel suo paese per oltraggio al re. Gli occidentali, invece, continuano a invitarla alle conferenze in giro per il mondo come eroina della democrazia. La realtà, un po' diversa, è che Nadia Yassine disse sì di preferire la Repubblica, ma intendeva una Repubblica Islamica sul modello di quella iraniana. Quando si tratta di immigrazione uno dei principali problemi a cui l'immigrato va incontro sono le differenze culturali, di lingua e di religione. Nel caso di una persona proveniente da un paese arabo, queste differenze possono anche diventare fondamentali. Anna Mahjar-Barducci ci spiega che quelle stesse diversità che fanno di un immigrato marocchino un persona “diversa” dall'europeo medio, in realtà, esistono anche all'interno del proprio paese d'appartenenza, se non addirittura della stessa famiglia. “Lamia andò fuori casa a parlare al cellulare. Zaynab mi disse che stava chiamando Fhad: si trovava a Casablanca per qualche giorno e avrebbe potuto rivederlo al concerto. Quando tornò in camera non ci raccontò nulla. Poi la vidi indossare la Jillabah [abito tradizionale marocchino, ndr] sopra la maglietta di Zinedine Zidane e mettersi il velo. Andò nella stanza accanto e iniziò a pregare. Ero confusa. Suo padre non poteva averla contagiata. Nessuno della mia famiglia aveva mai pregato, a parte lo zio Karim, che non era certo un esempio da seguire. Rachid, quando la vide, fece una faccia perplessa. “Ya Lamia”, urlò lo zio dal divano, “stai pregando verso l'Amrika [America, ndr]. La Mecca è dall'altra parte. Scoppiammo tutti in una risata”. Allora ecco che un libro come “Italo-Marocchina” diventa indispensabile per capire un po' della cultura di chi è venuto a vivere in mezzo a noi “occidentali” e anche per capire quella stessa cultura che sfugge pure a chi si dice “arabo”, d'altronde come la stessa autrice spiega: “In Marocco eravamo tutti sunniti e a Groupie Six non sapevamo nemmeno che cosa fossero gli sciiti....Mia madre, però, quando vedeva un uomo con la barba da fondamentalista, lo chiamava Ayatollah, quella era per lei il massimo dell'offesa”.
Andrea Holzer
L'Occidentale