Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 12/06/2009 a pag. III, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Così il 'cane pazzo' ha portato il terrore in tutto il mondo ".,dal CORRIERE della SERA , a pag. 5, la lettera di Maria Imperatore dal titolo " Io italiana in fuga e la mia foto simbolo ", l'articolo di Gian Antonio Stella dal titolo " ' Il popolo si vuole sedere sulle sedie'. A lezione di democrazia dal Colonnello " e l'editoriale di Sergio Romano dal titolo " Le verità dimenticate ". Dal GIORNALE, a pag. 9, l'articolo di Gianni Pennacchi dal titolo " Gheddafi, da 'amici miei' al grande freddo ". Dalla STAMPA, a pag. 1.3, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Ora Obama vuole capire Berlusconi " e l'intervista di Guido Ruotolo a Valentino Parlato dal titolo " Niente scandali, è un leader attore " e una breve dal SOLE 24 ORE (gli ultimi due preceduti dal nostro commento). Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Così il 'cane pazzo' ha portato il terrore in tutto il mondo "
Roma. Dietro gli occhiali da sole vistosi, il burnus tradizionale indossato in tante occasioni da Muammar Gheddafi, che si dichiara discendente di Maometto e che Ronald Reagan chiamava “cane pazzo”, si cela un record quarantennale di odio, terrorismo e intolleranza. Il suo “zahf”, una sorta di trozkismo islamico, si è tradotto in decenni di jihad e oppressione. Su Gheddafi pesa il sospetto di aver torturato un mese fa quattro ex islamici convertiti al cristianesimo, mentre il suo storico dissidente è appena morto in un ospedale giordano. Gheddafi non ha mai smesso di incitare il mondo arabo a impugnare le armi contro Israele e ha foraggiato il terrorismo contro gli ebrei in tutto il mondo, compresa l’uccisione di un bambino nel ghetto di Roma nel 1982, Stefano Tachè. Secondo Freedom House, la Libia è uno dei luoghi più oppressivi sulla terra, nonostante i soldi e la tecnologia che circolano da quando Gheddafi ha rinunciato alle armi di distruzione di massa, facendo uscire la Libia dalla lista dei “rogue states”. Nella società libica ideata attorno al “Libro Verde” di Gheddafi, la versione berbera del Libretto Rosso di Mao, i partiti politici sono vietati, è vietato il diritto di sciopero, la stampa è soggetta a censura, ci sono arresti abritrari, punizioni collettive, sorveglianza totalitaria, non esiste nei fatti diritto di parola, di associazione, di manifestazione e libertà di religione. Gheddafi ha espropriato ed espulso le comunità ebraiche presenti in Libia, uno stato oggi privo della presenza di qualunque cittadino di religione ebraica. Alle Nazioni Unite il regime libico continua a promuovere campagne contro Israele ed è stato tra i protagonisti della conferenza Durban II, alla quale l’Italia si è rifiutata di partecipare. Pochi mesi fa Gheddafi ha chiamato “terroristica” la corte penale internazionale per il mandato d’arresto contro il capo di stato sudanese, il boia del Darfur Bashir. Gheddafi è l’artefice delle “sindycation” terroristiche che hanno insanguinato per trent’anni l’Europa. Il 21 dicembre 1988 una bomba, firmata Gheddafi, esplose a bordo di un jumbo della Pan American. L’aereo, diretto a New York, stava sorvolando la cittadina scozzese di Lockerbie. Morirono 270 persone. Ai musulmani, ben prima di Osama bin Laden e Mahmoud Ahmadinejad, Gheddafi ha chiesto di “unirsi contro l’occidente cristiano e di affilare le spade”. Il leader libico ha proposto di trasferire in Alaska lo stato d’Israele, poiché “occupa un territorio che non appartiene agli ebrei”. Appena prese il potere disse: “Faremo come Sansone: distruggeremo il tempio con tutti i suoi occupanti”. Dopo l’eccidio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco ’72, tutti i paesi arabi si contesero i corpi dei cinque terroristi di Settembre Nero. Vinse la Libia, dove da tre anni al potere c’era il colonnello Gheddafi. Fu lui a salutare come “eroi” e “martiri”, con tutti gli onori militari, i cinque assassini degli atleti ebrei. A un vertice della Lega araba, Gheddafi accusò il re saudita Abdullah di violazione dei precetti dell’islam, per avere permesso che truppe cristiane calpestassero il sacro suolo della Mecca. Gheddafi ha ospitato e protetto Abu Nidal, il terrorista palestinese più pericoloso dell’intera recente storia mediorientale, autore di una lunga serie di attentati, massacri, dirottamenti. Fra cui la strage del 1985 all’aeroporto di Fiumicino contro la compagnia israeliana El Al, con tredici morti. Di Gheddafi è sempre la mano dietro all’attentato alla discoteca La Belle di Berlino del 5 aprile 1986, quando una valigia con tre chili di tritolo esplose uccidendo due soldati americani, una ragazza turca e ferendo duecento persone. Non va dimenticata l’amicizia con Robert Mugabe, il torturatore dello Zimbabwe, e la protezione data a Imi Amin Dada, “l’Hitler africano” che ha ucciso e fatto sparire 300.000 oppositori ugandesi. Il 4 ottobre 2003, mentre in Iraq centinaia di comuni cittadini venivano trucidati dai kamikaze di al Qaida, Gheddafi tenne un discorso a un gruppo di donne convenute a Sabha, sull’impegno della Libia nella causa panaraba. “La donna deve essere addestrata a combattere dentro le case, a preparare una cintura esplosiva e a farsi saltare in aria insieme coi soldati nemici”, disse il dittatore libico. “Chiunque abbia una macchina deve prepararla e sapere come si fa a sistemare l’esplosivo e a trasformarla in un’autobomba”. Se non bastasse, sua figlia Aisha ha voluto assumere la difesa legale di Saddam Hussein.
CORRIERE della SERA - Maria Imperatore : " Io italiana in fuga e la mia foto simbolo "
Gentile Direttore, la foto appuntata sul petto di Gheddafi, esibita con provocazione prima a Berlusconi poi a Napolitano e, attraverso la TV al mondo intero, mi ha fatto venire in mente di mandarne una a Lei molto diversa ma altrettanto significativa.
Anche se non mi riconosco in nessuna delle persone rappresentate, l'ho conservata gelosamente perché potrei essere benissimo io una di loro dato che da quella nave sono sbarcata anche io, ragazza, un giorno d'estate di quasi quarant'anni fa.
Avevo perso tutto: non solo la casa, le cose, gli amici, la spiaggia, i luoghi spensierati della mia gioventù ma mi sentivo violata addirittura nella mia intimità.
Come era stato lungo e difficile quel mese torrido tra fine luglio e fine agosto vissuto a Tripoli dopo aver ascoltato alla radio il provvedimento di confisca emanato da Gheddafi. Quanti problemi per me e per i miei: non c'era neppure il tempo di piangere perché bisognava occuparsi di tante brutte cose pratiche. I beni li avevamo perduti, ma bisognava pure consegnare i relativi documenti facendo lunghe file sotto cartelli minacciosi in ricordo delle nostre «malefatte». Bisognava cercare di sistemare presso affettuosi amici libici il nostro adorato cagnolino. Bisognava dimostrare il pagamento di tutte le utenze luce, gas, telefono: con quali soldi affrontare questi oneri dato che i conti in banca erano bloccati? E i libri? I miei adorati libri, per essere infilati in valigia, dovevano passare sotto il visto di un apposito controllo mentre ori e argenti venivano inesorabilmente sequestrati in dogana, luogo dell'ultima umiliazione: donne gentili e imbarazzate ti frugavano da per tutto, dopo averti fatto spogliare, pensando che persino fra i capelli potevi portarti via qualche tesoro. Ma questo gli italiani, i deputati, i membri del governo, le nostre giovani ministre lo hanno mai saputo?
La ringrazio e La saluto
CORRIERE della SERA - Gian Antonio Stella : " ' Il popolo si vuole sedere sulle sedie'. A lezione di democrazia dal Colonnello "
P iù sedie per tutti! Invitato «dar rettore d’a Sapienza» Luigi Frati, in «romanesc- english» con auto-traduzione simultanea, a spiegare cos’è l’essenza della democrazia, Sua Altezza Serenissima Muammar Gheddafi ha vinto l’immensa noia che pareva inchiodarlo per concedere il suo pensiero. Punto primo, basta partiti: «Il partitismo è un aborto della democrazia». In realtà «il popolo si vuole sedere sulle sedie ».
Faceva un caldo beduino, alle due del pomeriggio, nell’aula magna dell’ateneo romano. Aria pesante, effluvi di sudore, camicie appiccicaticce, cravatte slacciate. Telefonate impazienti al Senato: «Allora?». Niente. «Allora?». Niente. «Allora?». Niente. E via via che scorreva il tempo, si affollavano gli incubi. Mai stato puntualissimo, il Colonnello. C’è chi ricorda l’attesa inflitta a re Abdallah di Giordania, lasciato lì ai piedi della scaletta dell’aereo sotto un sole furibondo. Chi le tre ore e mezzo in sala d’attesa imposte a Oriana Fallaci, che ne ricavò furente l’idea che Gheddafi «oltre ad essere un tiranno è un gran villanzone».
Chi le cinque ore irrogate a Ilaria D’Amico. Per non dire del «bagnomaria » al quale fu sottoposto quattro anni fa il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Ángel Moratinos: dieci ore. E tutti a boccheggiare: dieci ore! Ma ecco che, con due ore soltanto di ritardo, in mezzo a una folla di decine di guardie del corpo, mentre nell’aula arrivano gli echi delle contestazioni all’esterno, il Raìs libico si materializza. Ampia veste gialla, capelli prodigiosamente neri, gesti lenti. L’hanno chiamato a tenere una «lectio magistralis»? Il figlio dell’appuntato dei carabinieri che, come scoprì un giorno Francesco Cossiga, era in servizio alla caserma di Zuara, non si sottrae. Anzi.
Spiega che bisogna riscrivere i libri di storia per tutti gli studenti occidentali. Che «in Libia ogni famiglia ha avuto un parente ucciso, ferito, deportato». Che «il terrorismo è condannabile perché fa vittime innocenti ma occorre chiedersi: qual è il motivo? I residui del colonialismo ». Ricorda lo scontro sulle vignette su Maometto: «Cosa c’entrava la Scandinavia con Maometto? Se credi in Gesù devi amare Maometto perché Gesù disse: dopo di me verrà Maometto. Ed ecco che è spuntato il terrorismo».
Un momento, dirà qualcuno: non sono venuti «prima» delle vignette gli attacchi alle Torri Gemelle e gli attentati a Madrid e quelli a Londra? Dettagli. «L’Europa ha colonizzato l’Africa, ha rapinato l’oro, i diamanti, il rame, la frutta...
Memoria ». Per questo, dice, il mondo occidentale dovrebbe seguire l’esempio dell’Italia: «Chiedere scusa e restituire quello che ha preso». Questo vuole dai grandi del G8: «Avete pompato tanti soldi nelle banche? Pompateli in Africa».
Luigi Frati gongola, annuisce, consente. E porge infine la parola agli studenti. Si alza uno dall’aspetto perbenino e rassicurante. Macché, va diritto sugli immigrati respinti sui barconi: «Come vengono rispettati, in Libia, i loro diritti?».
L’interprete: «Quali diritti?». «I loro diritti». «Quali diritti?». «I diritti!», gridano due o tre in sala: «I diritti politici». L’interprete si china sul Raìs, che si scuote: «Quali diritti?». E si avvita a spiegare che, per carità, la domanda fa onore a chi l’ha posta ma «gli africani sono degli affamati, non dei politici, gente che cerca cibo». E i dittatori? «Non ci sono dittatori, in Africa... La dittatura c’è quando una classe sta sopra un’altra. Se sono tutti poveri...». Stringe gli occhi a fessura e affonda: «Volete un milione di rifugiati? Ne volete venti? Cinquanta? Sarebbe una grande cosa...». Ma ecco una studentessa che dice d’aver letto il libretto verde. Plaude: «So che fate tanto, per le donne». Ah, dice il Raìs: grandi spazi! E invita a farsi avanti le «amazzoni » bellocce e grintose che gli fanno da body-guard. Ammazza!, sbotta er rettore: «Le abbiamo apprezzate molto! Purtroppo c’è qui mia moglie e...». Il massimo, però, arriva quando gli chiedono cosa pensa della democrazia e quando in Libia, finalmente, ci saranno libere elezioni. Risposta: «La democrazia è una parola araba che è stata letta in latino ». Ma come, non viene dal greco demos (popolo) e kratos (potere) come studiamo da secoli? No: «Demos in arabo vuol dire popolo e crazi vuol dire sedia.
Cioè il popolo si vuole sedere sulle sedie».
Testuale sbobinato: «Se noi ci troviamo in questa sala siamo il popolo, che si siede su delle sedie, e questa andrebbe chiamata democrazia, cioè il popolo si siede su delle sedie. Se noi invece prendessimo questo popolo e lo facessimo uscire fuori, se avessimo invece preso dieci persone e le avessimo fatte sedere qua, scelte dalla gente che stava fuori, e loro invece sono seduti qua, quei dieci, questa non sarebbe da chiamarsi democrazia. Questa si chiamerebbe diecicrazia. Cioè dieci sulle sedie. Non è il popolo a sedersi sulle sedie, questa è la democrazia. Finché il popolo non si siederà tutto sulle sedie, non ci sarà ancora democrazia». Quindi? «L’alternanza del potere vuol dire che c’è gente che si prende e si trasmette il potere tra di loro. Se ci fosse democrazia non ci sarebbe un’alternanza di potere. La democrazia significa il popolo che detiene il potere. Come fa a consegnarlo a uno?». Quindi perché mai i libici, che hanno già quella democrazia piena di sedie, dovrebbero «regredire » al sistema occidentale? «Auguriamo che la raggiunga anche il popolo italiano...». Grazie, Colonnello. Troppo buono.
CORRIERE della SERA - Sergio Romano : " Le verità dimenticate "
Sergio Romano è come un orologio fermo: due volte al giorno segna l'ora giusta. per questo lo pubblichiamo senza critiche.
Nei discorsi con cui hanno accolto il colonnello Gheddafi, i suoi ospiti italiani, dal capo dello Stato al presidente del Consiglio e al presidente del Senato, hanno parlato di amicizia, collaborazione, sviluppo congiunto. Dopo avere ascoltato le sue filippiche contro l’Italia coloniale avrebbero potuto ricordargli che il colonialismo fu molte cose, non tutte e non sempre necessariamente spregevoli. Ma hanno preferito mettere l’accento sul futuro e sugli interessi comuni dei due Paesi in un mondo profondamente cambiato. Hanno fatto bene. Il realismo e l’interesse nazionale giustificano qualche strappo alla verità storica. Peccato che a Gheddafi il passato interessi molto più del futuro. Ne ha dato una nuova dimostrazione ieri, quando ha confezionato un pasticciato elenco di responsabilità occidentali, da Cesare a Bush, e ha detto che il terrorismo può essere in alcune circostanze una legittima difesa contro la dominazione straniera.
Quali circostanze? Vi fu un lungo periodo durante il quale Gheddafi si definì «punto d’appoggio della rivoluzione mondiale» e non smentì, tra l’altro, di avere sostenuto finanziariamente l’Ira (Irish Republican Army) contro un Paese, la Gran Bretagna, «che ha umiliato gli arabi per secoli ». Quando lo storico del colonialismo Angelo Del Boca cercò di comporre una lista delle «lotte di liberazione» in cui il colonnello libico è intervenuto con il suo denaro, ne venne fuori una carta geografica che comprende Mauritania, Rhodesia, Namibia, Isole Canarie, Oman, Angola, Sud Africa, Thailandia, Filippine, Colombia, Salvador, Kurdistan, Nuova Caledonia, Vanuati, Nuove Ebridi. Non basta. I leader di alcuni Paesi arabi lo hanno accusato di avere tramato contro i loro regimi e le loro persone; i leader di alcuni Paesi africani (il Ciad per esempio) di avere attentato alla loro indipendenza. A chi scrive non sono piaciute né l’incursione di Reagan contro Tripoli nell’aprile 1986, né la guerra di George W. Bush contro l’Iraq nel marzo del 2003. Ma nel processo celebrato da Gheddafi contro gli Stati Uniti e l’Occidente, il pubblico ministero è l’uomo che ordinò l’assassinio di alcuni dissidenti libici all’estero, invase il Ciad ed è oggettivamente responsabile dell’attentato contro un aereo della Panamerican nel cielo scozzese di Lockerbie (270 vittime). La giustificazione del terrorismo, in bocca a Gheddafi, risveglia ricordi di un passato che il colonnello dovrebbe cercare di coprire con un velo di pudore.
Nelle parole pronunciate ieri dal leader libico vi è infine anche imprudenza politica. Bush commise molti errori strategici e tattici, ma combatté il fanatismo islamico, vale a dire il movimento che ha maggiormente insidiato negli scorsi anni la vita del colonnello e la stabilità del suo regime. Vi fu un lungo periodo durante il quale Gheddafi fu stretto in una morsa fra l’ostilità americana e le minacce della Fratellanza musulmana. Se è ancora al potere e può visitare liberamente uno Stato europeo, lo deve in buona parte al patto con gli Stati Uniti e con l’Europa degli scorsi anni, quando rinunciò alle armi nucleari ma ottenne in cambio la revoca dell’embargo e la ripresa dei rapporti diplomatici con Washington. Quando parla del passato Gheddafi non può ricordare soltanto quello che serve al suo compiaciuto autoritratto di liberatore dell’Africa. Conviene anche a lui, non soltanto a noi, parlare soprattutto del futuro.
Il GIORNALE - Gianni Pennacchi : " Gheddafi, da 'amici miei' al grande freddo "
Lo avreste mai immaginato che arrivava Gheddafi, con la fotona del martire libico (impiccato dal regio esercito italiano)sul bavero, una super scorta di panterone nere, una chioma fluente e ancor più nera, e si sarebbe rivoltato il nostro mondo?
Altro che pietra dello scandalo: dal Senato alla Sapienza sino al Campidoglio il colonnello ieri è riuscito a sconvolgere certezze e ribaltare posizioni. Chi era contro è divenuto a favore e viceversa, si spaccano i partiti e si rompono antichi sodalizi, i forcaioli diventano garantisti e i moralisti chiudono ambedue gli occhi. Di certo è sorprendente cogliere il dalemiano Nicola Latorre che inforcati gli occhiali scuri per raggiungere Palazzo Giustiniani dice sferzante «andiamo dal compagno Gheddafi... lo proporrò come commissario del Pd», mentre il veltroniano Enrico Morando diserta l’appuntamento e ribadisce serissimo che far parlare Gheddafi «sarebbe stata un’umiliazione dello spirito democratico e repubblicano del nostro Paese». Dite che la sinistra nuovamente divisa non è una novità? Oddio, almeno in politica estera il Pd è sempre apparso unito e senza incertezze, ma la visita del leader libico ha prodotto la quadratura del cerchio, ora non c’è più niente che li unisce. E se Veltroni, Franceschini e Rutelli sono contro Gheddafi, fingono di dimenticare che all’accordo di definitiva pacificazione tra Italia e Libia hanno lavorato anche i governi dell’Ulivo, nello specifico «l’amico Prodi», «l’amico Dini» e «l’amico D’Alema» come ha tenuto ad elogiarli nella Sala Zuccari il colonnello. Ad ascoltarlo c’era però andato anche Franco Marini, che ha abbandonato dopo tre quarti d’ora di attesa precisando: «Io ero favorevole a farlo parlare in Aula, ma ho un altro appuntamento. E credo che Gheddafi lo faccia apposta a ritardare così tanto, per vendicarsi di averlo spostato dall’Aula».
Qui s’è rivoltato il mondo, signora mia. Ma le pare che a contestare l’assenza dello Stato di diritto in Libia dando del «dittatore» a Gheddafi sia Antonio Di Pietro? Passi per i radicali che su questo tema hanno le carte in regola, ed è stata proprio Emma Bonino a caldeggiare la mediazione di far parlare Gheddafi a Palazzo Giustiniani, purché non ci fossero contestazioni almeno da parte dei senatori. Chi non voleva se ne stesse a casa, insomma: e infatti nella sala le 150 sedie per i vip non bastavano, ne hanno dovute aggiungere una cinquantina facendo così il pienone che in Aula si vede solo al voto di fiducia. E però il questore Benedetto Adragna ha dovuto gridare forte, affinché sentissero i giornalisti, che «c’è stato un accordo tra la capogruppo Finocchiaro, la Bonino e il vostro capogruppo Belisario: non lo facevamo parlare in aula, e voi non avreste fatto manifestazioni». Ce l’aveva coi dipietristi Pedica, Pardi e Carlino che volevano accogliere l’ospite esibendo la foto della strage di Lockerbie al bavero. Il capogruppo ovviamente non s’è visto, mentre Pedica cercava di farsi portar fuori a forza dai commessi. Sai com’è, pacta sunt servanda... Ma quando infine Gheddafi è arrivato, al fianco di Schifani e con una sola - ma abbondante - amazzone, deludendo i giornalisti tutti tesi per l’attesa di chissà quale contestazione clamorosa, i tre si son limitati ad un piccolo applauso. «Di riprovazione», ha spiegato Pedica. Ghedddafi però lo ha preso per buono, ed ha sorriso. Ha spaccato e diviso l’Italia intera, non solo la politica. E senza che i più accalorati s’accorgessero delle contraddizioni. All’università s’è riscatenata l’onda, che ormai mette sullo stesso piano il Papa e Gheddafi. Quest’ultimo almeno è riuscito a parlare, schernendo e sfidando i contestatori, «se accetterete cinquanta milioni di rifugiati, io sarò con voi sempre nel rispetto dei diritti dell’uomo». Ma a difenderlo c’era solo il Pdci. I comunisti, i dalemiani, il Pdl e le vecchie glorie democristiane. A Giulio Andreotti, l’«amico» più omaggiato dopo l’«amico» Berlusconi, il discorso di Gheddafi «è molto piaciuto». Come al presidente Schifani, che parla da garante delle istituzioni: «Lo rinviterei». Come all’«amico» Cossiga che ha invece definito «fascisti» i dipietristi. Mentre il postdemocristiano Casini dirazza sentenziando che «è stato violato il decoro». Che volete, oggi il colonnello incontra settecento donne entusiaste, mentre altre trecento si incontrano per contestarlo, a Villa Pamphili organizzano partite di calcetto per protestare contro le tende libiche e al Campidoglio i tifosi alzano striscioni «Forza Roma, Gheddafi pensaci tu». Ma come camminano i motorini e le auto dei contestatori, ad acqua? E se il ministro Scajola rivela che i libici vogliono investire in Enel ed Eni, facciamo i signori e diciamo no grazie? Ma alla sostanza delle cose, è vero o no che l’Italia ha invaso la Libia, ha giustiziato e incarcerato i libici che non s’arrendevano? E allora basta, gioite per la pace finalmente suggellata. Perché è paradossale che Maurizio Gasparri sia in prima fila ad applaudire Gheddafi mentre la sinistra prende il suo posto nella trincea di Giarabub e intoni «colonnello non voglio pane, voglio piombo pel mio moschetto».
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Ora Obama vuole capire Berlusconi "
Le dichiarazioni di Muhammar Gheddafi sul parallelo fra gli Stati Uniti e Osama bin Laden irrompono nella preparazione della visita di Silvio Berlusconi a Washington, spingono gli sherpa della Casa Bianca a modificare l’agenda dei colloqui di lunedì e rafforzano la richiesta di Barack Obama di avere mezz’ora di colloquio a tu per tu con il presidente del Consiglio, al fine di poterlo conoscere meglio.
La traduzione letterale delle frasi pronunciate da Gheddafi a Palazzo Giustiniani è arrivata dopo meno di 45 minuti sui tavoli del Dipartimento di Stato e del Consiglio per la sicurezza nazionale che stanno preparando l’incontro di lunedì. La scelta dell’amministrazione è stata di far dire ai portavoce che «il governo americano non commenta le frasi del leader libico», ma nelle comunicazioni intercorse fra Via Veneto e Foggy Bottom i termini adoperati sono stati «pazzesco» e «incredibile» che descrivono la sorpresa tanto per lo show del leader libico quanto per il fatto che l’Italia si è trasformata nel suo palcoscenico europeo «grazie ad una visita che poteva essere più breve».
Washington da tempo ha ripreso i rapporti con Tripoli - a seguito della decisione di Gheddafi di smantellare il programma nucleare e pagare i risarcimenti per l’attentato di Lockerbie - ma li gestisce con grande cautela e dunque non comprende perché l’alleato italiano abbia dato modo ad un ospite notoriamente imprevedibile di dominare la scena nazionale «per molti giorni».
Nelle numerose comunicazioni intercorse fra Washington e Roma dopo l’exploit di Gheddafi, il governo italiano ha fatto presente la presa di distanza del capo della Farnesina, Franco Frattini, dal paragone Usa-Bin Laden tentando di ridimensionare l’avvenuto. Ma tutto ciò non ha impedito agli sherpa della Casa Bianca di aggiungere il caso-Libia nell’agenda dei colloqui il programma lunedì nello Studio Ovale, fra le 16 e le 17 ora di Washington.
La proposta americana è di suddividere i 60 minuti di vertice in due sessioni separate: i primi 30 nei quali Obama e Berlusconi saranno da soli, assieme agli interpreti, e i secondi 30 con la formula «1+7» ovvero allargati alla delegazione di consiglieri, che nel caso degli americani includeranno il Segretario di stato Hillary Clinton, il capo di gabinetto Rahm Emanuel, il consigliere per la sicurezza James Jones e quattro alti funzionari del Dipartimento di Stato. Tale organizzazione dei colloqui, che secondo fonti a Washington non avrebbe ancora avuto l’assenso italiano, punterebbe a raggiungere un duplice scopo. Da un lato offrire a Obama la possibilità di parlare con franchezza a Berlusconi sui temi che più hanno fatto ombra alle relazioni negli ultimi mesi: dal tentativo italiano di avere un solitario ruolo di mediazione nei rapporti di Washington con Mosca e Teheran fino alle frasi del premier contro la multiculturalità e sul fatto di essere il leader politicamente più esperto del G8. Dall’altro consentire a Hillary, Emanuel e Jones di esplorare l’agenda del G8 dell’Aquila, verificando poi la disponibilità italiana ad accogliere alcuni detenuti di Guantanamo, garantire più impegno in Afghanistan ed esplorare comuni posizioni su energia e clima, dalla realizzazione dei nuovi oleodotti alla riattivazione delle centrali nucleari in Italia fino alla conferenza Onu di Copenhagen in dicembre sul dopo-Protocollo di Kyoto.
Forse proprio in ragione della delicatezza dell’incontro privato con Obama, Berlusconi ha deciso di anticipare l’arrivo a Washington al pomeriggio di domenica evitando di fissare impegni per lunedì mattina - tranne brevi soste alla National Gallery e al cimitero di Arlington - per potersi preparare al faccia a faccia pomeridiano con un leader che viene da Chicago dove l’attività politica viene sovente assimilata ai match di pugilato.
Atteso da una visita delicata, Berlusconi può contare a Washington su un’amicizia che pesa: quella con la presidente della Camera Nancy Pelosi che vedrà a cena dopo essere uscito dalla West Wing.
La STAMPA - Guido Ruotolo : " Niente scandali, è un leader attore "
Valentino Parlato è il direttore responsabile del MANIFESTO. Ci chiediamo per quale motivo la redazione della STAMPA non l'abbia specificato...
In ogni caso, le sue dichiarazioni su Gheddafi hanno dell'incredibile. A suo avviso, infatti, Gheddafi non è un dittatore, ma un leader, l'idea di abolire i partiti non è negativa, non è vero che ha rispolverato l'antiamericanismo... Una perla poi quel richiamo alla "democrazia diretta", fa il paio con l'Urss, "paradiso dei lavoratori", che i trinariciuti ci hanno rovesciato addosso finchè si sono dovuti accorgere anche loro che era un inferno.
Sembra di leggere la descrizione di un'altra persona, e non del dittatore terrorista libico. Vista questa abilità di falsificazione, comprendiamo sempre di più le bugie su Israele pubblicate dal quotidiano comunista. Ecco l'articolo:
Valentino Parlato, nato e cresciuto a Tripoli, espulso dagli inglesi, perché comunista. La prima volta di Muammar Gheddafi in Italia. I suoi voti?
«Il Gheddafi italiano non è per nulla scandaloso. Non ha tradito le attese. Lui è esagerato, è un grande attore. Dopo Fidel Castro, è il leader più longevo al mondo».
Leader o dittatore?
«Leader. La connotazione occidentale di dittatore non corrisponde alla realtà libica. Dittatore è un modo per indicare un nemico, il Leader, invece, ha un grande prestigio».
E ieri ha detto papale papale che per lui i partiti vanno aboliti...
«Sarei tentato di dire che sono d’accordo. I partiti sono una mediazione tra il popolo e il governo. In soldoni, rappresentano una mediazione di potere. Lui, con la sua Rivoluzione verde, ha percorso la strada della democrazia diretta. Un mondo che noi pensavamo che si potesse realizzare con il comunismo».
Gheddafi ha rispolverato l’ antiamericanismo...
«Non è vero. Lui ha ricordato il passato, se vuole anche recente, degli Usa. Oggi a Tripoli c’è di nuovo l’ambasciatore americano e non è un mistero che Gheddafi guardi con attenzione a Barak Obama».
Giustifica tutto. Almeno, da uomo di sinistra non la infastidisce questo suo rapporto privilegiato con Silvio Berlusconi?
«Secondo me, lui il Trattato d’amicizia l’avrebbe firmato con piacere con Massimo D’Alema. E più che con Berlusconi, i suoi rapporti più sinceri li ha con Letta e Pisanu».
Il SOLE 24 ORE : Sembra un'intervista tratta dal MANIFESTO più che del quotidiano della Confindustria, quella di Davide Colombo a Danilo Zolo, professore di filosofia del diritto internazionale all'Università di Firenze.
Secondo Zolo le dichiarazioni di Gheddafi sul terrorismo e gli Stati Uniti non sono sbagliate. Zolo, nel finale dell'intervista arriva a dire che " Non trovo una parola migliore di terrorismo per raccontare l'attacco a Gaza che ha provocato la morte di oltre 500 persone in poche ore ". Quella a Gaza è stata una guerra di difesa, non un attacco terroristico. Gli israeliani erano bersaglio quotidiano dei razzi lanciati dai terroristi di Hamas, con l'operazione a Gaza si sono semplicemente difesi. Le parole di Zolo, oltre che essere cariche di pregiudizi antiisraeliani, denotano un'ignoranza abissale. Parlare di terrorismo in Medio Oriente e non menzionare chi lo fa, e cioè Hamas, Hezbollah, la Siria, è assurdo. Ed è vergognoso che Colombo non l'abbia contraddetto. Come al solito la vittima diventa carnefice. Israele, secondo Zolo, dovrebbe lasciarsi distruggere senza difendersi dai terroristi di Hamas e dai paesi arabi.
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