Hezbollah ha perso le elezioni. Perchè? Analisi di Fiamma Nirenstein, Dimitri Buffa, Redazione del Foglio, Vittorio Emanuele Parsi e intervista a Saad Hariri di Ugo Tramballi
Testata:Il Giornale - L'Opinione - Il Foglio - La Stampa - Il Sole 24 Ore Autore: Fiamma Nirenstein - Dimitri Buffa - La Redazione del Foglio - Vittorio Emanuele Parsi - Ugo Tramballi Titolo: «Libano, anche qui i sondaggi non hanno capito nulla - Stop per Hezbollah - Effetto Obama sul Libano»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 09/06/2009, a pag. 28, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Hezbollah sconfitto non rinuncia alle armi ", dall'OPINIONE l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Libano, anche qui i sondaggi non hanno capito nulla ", dal FOGLIO, a pag. 1, l'articolo dal titolo " Stop per Hezbollah ", dalla STAMPA a pag. 37, l'articolo di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " Effetto Obama sul Libano " e una breve dal SOLE 24 ORE. Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "Hezbollah sconfitto non rinuncia alle armi"
È difficile credere che il Libano adesso ce la farà. Eppure ci prova ancora, ed è commovente: ieri sera il capo di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah, ha ammesso la sconfitta e si è addirittura complimentato con i vincitori. Buona parte dei libanesi, soprattutto per merito dei cristiani risvegliati dal vescovo maronita Nasrallah Boutros Sfeir, andando a votare hanno scelto un Libano ancora arabo, e non dominato da interessi iraniani; pluralista, e non musulmano sciita; in cui una ragazza possa camminare per mano con un ragazzo. L’unico, solitario Paese arabo multietnico, multiculturale e multireligioso tenta ancora di liberarsi del continuo tentativo di asservirlo a una logica totalitaria, come nel ’58 quando i sunniti cercarono di forzarlo nell’orbita ultranazionalista di Nasser, nel ’75 la guerra civile portò l’Olp in posizione dominante e mise in giuoco Israele e la Siria, che solo due mesi fa aprendo l’ambasciata a Damasco ha formalizzato l’idea di non essere il padrone. Nell’82 la rivoluzione iraniana allungò le mani sul Libano con la nascita della forza armata degli hezbollah, che da allora hanno cercato di disegnare il Paese dei Cedri come punta della guerra islamista sciita, asservendolo al gioco bellico che chiamano “resistenza”: ma mentre si disegnavano come la testa di ponte del rifiuto antisraeliano e antioccidentale, un esercito armato di 50mila missili, che ama la morte e scambia con uomini vivi feretri e pezzi di soldati israeliani, l’amico più intimo dell’Iran e il più fedele fratello della Siria, cercavano anche, pazientemente, legittimità interna e internazionale. La loro strada verso la legittimazione che dà il governo del Paese, di cui sono parte dal 2008, è paradossalmente coperta del sangue degli attentati contro i politici antisiriani, e della violenta rivolta di piazza che li ha portati al governo. Nasrallah ha avuto forza e successo nel costruire l’irriducibilità che riempie le piazze, brucia le bandiere americane e israeliane, terrorizza gli altri gruppi politici, e insieme a cucire la veste che lo ha reso forza istituzionale. Una scommessa: l’attuale sconfitta elettorale non lo metterà fuori giuoco, tutto resterà come prima, le armi di Nasrallah non resteranno a lungo nascoste dietro la schiena. Del resto gli hezbollah non sono mai stati maggioranza, semmai forza capace di condizionare le maggioranze in maniera decisiva col diritto di veto e con la minaccia di creare situazioni insopportabili. Non a caso il loro restare armati nonostante le risoluzioni dell’Onu e i tentativi dell’Unifil sono santificati dai loro mullah come nella indispensabile guerra dei Fedeli contro gli Infedeli. Hezbollah ha perso le elezioni perché la guerra del 2006 fu una scelta disastrosa per il Libano e la gente ha sofferto; perché il recente tentativo di sovvertire l’Egitto per conto dell’Iran ha avuto le gambe troppo corte rispetto alla rivendicazione di essere una forza nazionale di difesa da Israele; perché la componente cristiana, nonostante Aoun, suo alleato, non ci sta; perché è accusato in prima persona dal tribunale internazionale di aver assassinato Rafik Hariri e chissà quanti altri. Ma tornerà subito a farsi sentire perché ha costruito uno Stato nello Stato nel sud del Paese, ultratecnologico e bellicoso. Può dare fuoco al pagliaio israeliano quando vuole, ridivenendo protagonista; perché gode della piena fiducia e degli aiuti permanenti e molto cospicui dell’Iran e della Siria; perché dal 2008 Hezbollah partecipa a un governo di coalizione cui garantisce una certa pace politica. Hezbollah ha avuto l’incredibile capacità, che ricorda quella del suo sostenitore Ahmadinejad, di usare comportamenti smodatamente aggressivi e farli diventare pane quotidiano, fino alla deglutizione: non a caso l’Inghilterra negli ultimi tempi cerca una strada verso il riconoscimento di quella che gli Usa per ora collocano fra le organizzazioni terroriste. Hezbollah ha accuratamente costruito in questi anni il suo potere militare e quello istituzionale, punteggiandoli con scoppi e rapimenti. Il consenso gli interessa poco: la sconfitta non gli crea nessun impaccio democratico a imporsi.
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Libano, anche qui i sondaggi non hanno capito nulla "
In questo caso si tratta di sondaggisti geo politici, magari anche interessati a dare una visione estremista e fanatica di ogni realtà medio orientale. Certo però che anche con il Libano gli analisti del giorno prima stavolta hanno rimediato la figuraccia del giorno dopo. Gli hezbollah infatti sono i grandi sconfitti di questa tornata elettorale nel paese dei cedri mentre il partito del figlio di Hariri insieme ai cristiani come quelli della Forza libanese, cioè coloro che non si sono venduti come il generale Aoun all’estremismo khomeninista, sono i vincitori. Più precisamente secondo i primi dati diffusi, Hariri e la sua coalizione avrebbero conquistato 70 dei 128 seggi in parlamento . Il commento della gente? “Loro hanno perso e ha vinto il Libano”. E proprio con questo titolo ieri il giornale 'al-Sharq al-Awsat' ha commentato la vittoria delle Forze del 14 Marzo, guidate da Saad Hariri, alle elezioni politiche libanesi di ieri. Il giornale, considerato tra i più diffusi nel mondo arabo, commenta infatti in modo positivo la vittoria della coalizione di Hariri e sottolinea l'alto numero di elettori che si sono recati alle urne. E si capisce che gli arabi per una volta stanno dalla parte giusta o quasi. Non a caso la massima soddisfazione per la nuova situazione è quella che era stata espressa ieri a caldo dal leader cristiano della maggioranza , l’ex perseguitato dal regime siriano e dai collaborazionisti di Beirut ai tempi dell’occupazione militare di Damasco, Samir Geagea, che preso dall’emozione davanti alle telecamere ha detto solo: “Domani è un altro giorno... questa è una vittoria del Libano, del governo libanese e del popolo libanese”. Nel dettaglio i partiti che fanno capo a Saad Hariri hanno vinto, secondo quanto riporta il giornale locale degli hezbollah 'al-Nahar', a Sidone, ad al-Batrun , a Bushra , ad al-Kura, nella parte occidentale della Valle della Bekaa e a Warshi, nella prima circoscrizione di Beirut , a Beirut 3, ad Alia , ad al-Shufa , ad Akkar, a Tripoli , ad al-Munia-al-Diniya e a Zahla. I partiti di opposizione hanno vinto invece nelle seguenti circoscrizioni: al-Matn nord, Baabda, Jubeil, Kasrawan Zagharta , al-Zahrani, Tiro, al-Nabatiya, Bint Jubeil, Marajaun e Hasabiya, Jazin , Belebek e al-Harmala . Putroppo in questo “nuovo giorno”, di cui parla Geagea, la violenza degli hezbollah e il terrorismo eterodiretto dalla Siria potrebbero ancora essere in primo piano e ieri non a caso il ministro dei trasporti israeliano, Ysrael Katz del Likud, approfittando della congiuntura apparentemente favorevole, ha richiesto di nuovo e con gran forza il disarmo delle milizie di Nasrallah. E anche il ministro degli esteri Avigdor Liebermann, membro di “Israel Baitenu”, gli ha fatto eco e ha subito rimesso nell’agenda l’opzione anti hezbollah dichiarando tra l’altro che “è doveroso che qualsiasi governo si costituirà a Beirut assicuri che il Libano non sia usato come base per gli attacchi contro lo Stato ebraico e i suoi cittadini”. Chissà forse ora tornerà di moda anche la risoluzione Onu 1701, quella secondo cui gli hezbollah andavano disarmati e che D’Alema non è riuscito a fare rispettare inviando i militari italiani in Libano. E magari si risentirà parlare anche della commissione internazionale d’inchiesta sull’omicidi di Hariri padre, l’ex premier Rafik, cui ieri il figlio ha simbolicamente dedicato la propria vittoria di libertà.
Il FOGLIO - " Stop per Hezbollah "
Beirut. La pioggia di soldi arrivata sul Libano per le elezioni più attese della storia del paese non ha sortito effetto: i risultati dicono che i rapporti di forza esistenti prima sono rimasti intatti e non si sono spostati di un grammo. Il fronte antioccidentale guidato da Hezbollah scende da 60 seggi a 59. Il fronte opposto, quello pro occidentale del “14 marzo” guidato da Futuro sunnita di Saad Hariri, scende da 70 a 68. Chi era maggioranza resta maggioranza, chi era all’opposizione resta all’opposizione. I cristiani, ago della bilancia, hanno preferito fare vincere i sunniti, meno organizzati e minacciosi degli sciiti, che invece, inquadrati nella loro milizia leale a Siria e Iran, sono una marea montate e prolifica. Gli osservatori speranzosi dicono che è il vento nuovo soffiato dal presidente americano Barack Obama sul medio oriente. Ha fatto il suo primo miracolo, scongiurando il pericolo – reale a giudicare dai sondaggi che davano Hezbollah in vantaggio – che il paese diventasse un feudo filoiraniano affacciato sul Mediterraneo. I libanesi ancora incerti avrebbero premiato le parole di apertura di Obama e avrebbero risposto votando a favore del governo in carica, filo occidentale e amico di Stati Uniti e Arabia Saudita, contro l’Iran in cerca dell’atomica. Gli osservatori cinici dicono che questo risultato conviene a tutti. Tre settimane fa il vicepresidente americano è arrivato a Beirut minacciando: se vince Hezbollah, scordatevi i nostri aiuti (un miliardo di dollari dal 2006, e altri due dall’Arabia Saudita). Due settimane fa il Partito di Dio, con un sussulto di realismo, ha spedito i suoi emissari al Fondo monetario internazionale e all’Unione europea, per chiedere: se vinciamo noi, continuerete a finanziare il paese o ci boicotterete come gruppo terrorista? Il vertice era così preoccupato di perdere i fondi da andare persino a rassicurare il fronte nemico, quello di Saad Hariri. Se anche vincessimo – questo il patto segreto – voi conserverete un ruolo importante, per garantire questa continuità di finanziamenti e di aiuti internazionali. Ora il problema non si pone più, perché Hezbollah ha perso. Il grande colpo simbolico – la resistenza antisraeliana che diventa governo del paese – non c’è stato. Ma la soluzione più probabile è un governo di larghe intese. Il partito hezbollah lavorerà assieme alla stessa maggioranza che non è mai stata capace di disarmarlo.
La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : " Effetto Obama sul Libano "
Parsi ritiene che l'esito delle elezioni in Libano (con la vittoria della coalizione di Hariri) sia dovuta al clima di cambiamento instaurato dalla politica di Obama e dal suo discorso al Cairo. In verità riteniamo che le motivazioni della vittoria siano meno auliche di questa. La popolazione è intimorita dall'Iran e dalle possibili conseguenze di un governo formato da Hezbollah (direttamente controllato dall'Iran) e dalle continue intromissioni della dittatura siriana. Sulla stessa falsariga è l'articolo di Gad Lerner sulla REPUBBLICA di oggi, a pag. 24, che non riportiamo. Ecco l'articolo di Vittorio Emanuele Parsi:
Fortuna audax adiuvat! Non si è ancora spenta l’eco del coraggioso discorso pronunciato dal presidente americano al Cairo, che la sorte sembra venirgli in aiuto, con la storica vittoria della «Coalizione del 14 marzo», governativa e filo-occidentale, nelle elezioni parlamentari libanesi. Nel giro di poche settimane, anche grazie al sostegno ricevuto da parte di tanti cittadini fuoriusciti negli ultimi tre anni e tornati appositamente per votare, il cartello elettorale guidato dal figlio di Rafik Hariri (il premier il cui assassinio nel 2005 diede il via alla «primavera libanese») ha ribaltato i pronostici e sconfitto i rivali dell’«Alleanza dell’8 marzo», capeggiata da Hezbollah e sostenuta dal generale Michel Aoun, ultimo paladino della resistenza maronita antisiriana nel Libano della guerra civile. Proprio il patto sottoscritto da quest’ultimo con gli ex nemici aveva fatto ritenere che il movimento integralista sciita, vicino a Damasco e a Teheran, potesse giungere al potere grazie al voto popolare. Di fronte a questa prospettiva, molti dei cristiano maroniti sostenitori di Aoun, i cui voti nella complicata contabilità elettorale libanese erano determinanti per assegnare la vittoria agli uni o agli altri, non se la sono sentita di seguire «il generale», e hanno fatto confluire i propri voti sulle altre formazioni cristiane (la Falange e le Forze Libanesi). Hezbollah subisce un duro colpo, dopo che appena un anno fa, mostrando i muscoli delle sue milizie e a seguito di un vero e proprio assedio al Parlamento durato molti mesi, era riuscita a imporre la propria inclusione nella compagine governativa e a ottenere una sorta di potere di veto su ogni decisione dell’esecutivo. Anche in quella occasione, la natura «anfibia» e ambigua del movimento guidato da Nasrallah era sembrata essere stata la chiave strategica del successo. Contemporaneamente movimento politico e milizia armata (meglio e più pesantemente dell’Esercito regolare), soggetto politico libanese e allo stesso tempo longa manus di Damasco e Teheran, Hezbollah era riuscita finora a districarsi con successo nella lunga stagione di instabilità seguita all’omicidio di Hariri. Proprio l’indignazione per quell’omicidio (di cui era sospettata Damasco) aveva costretto i siriani a ritirarsi, almeno formalmente, dal Paese dei Cedri. Quel ritiro aveva spinto Hezbollah a giocare con maggiore decisione il ruolo di partito nazionale, dando vita al «fronte dell’8 marzo». Nel 2006 la «guerra dei 33» giorni contro Israele aveva messo nuovamente in risalto (a fronte di gravi rischi e danni enormi) la dimensione militare del movimento. Proprio attraverso quel conflitto, Hezbollah aveva rivendicato (non senza ambiguità e non in maniera incontestata) la necessità di mantenere la propria struttura militare come unico efficace baluardo a difesa dell’indipendenza libanese. Sembra che questa «natura irrisolta» abbia, questa volta, giocato contro Hezbollah, allontanando gli elettori maroniti dal partito di Aoun. Ora, come ha prontamente sottolineato il sempiterno leader druso Walid Jumblatt, è cruciale non isolare gli sconfitti, e cercare semmai di «mantenerli agganciati» al processo democratico. Sono parole decisamente in sintonia con quelle pronunciate al Cairo da Obama. Il nuovo Medio Oriente può nascere solo se tutte le forze in campo scelgono l’addio alle armi e la via politica come un’opzione non solo tattica. Hezbollah non era stata nominata nel discorso di Obama e il Libano vi era sostanzialmente assente. Eppure anche da Beirut potrebbe prendere avvio il «nuovo inizio» da lui evocato. Riuscirà Hzbollah a compiere un passo così importante? E, soprattutto: Teheran e Damasco, la cui posizione in Libano esce indebolita dall’esito del voto, glielo consentiranno?
Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi intervista Saad Hariri. Quando gli ricorda che Hezbollah, in campagna elettorale, aveva dichiarato di essere orientato alla formazione di un governo di unità nazionale con l'opposizione e e gli chiede se è intenzionato a fare lo stesso, Hariri risponde di non essere deciso a scartare l'opzione del governo di unità nazionale. Quindi, nonostante abbia perso le elezioni, con molte probabilità Hezbollah sarà al governo. Proprio come prima delle elezioni. Ci domandiamo se, almeno, gli sarà tolto il diritto di veto...
a sinistra Saad Hariri, a destra Sami Gemayel. Su MEMRI è possibile vedere il suo l'intervento sulla politica che il Libano dovrebbe intraprendere.
Per inviare il proprio parere a Giornale, Opinione, Foglio, Stampa e Sole 24 Ore, cliccare sulle e-mail sottostanti