I media hanno dedicato molto spazio alle reazioni che il discorso di Obama al Cairo ha suscitato in Israele, meno forse a quelle del mondo arabo;eppure sono proprio queste le più interessanti per darci una chiave di lettura di quello che a noi potrebbe sembrare un discorso di appeasement.
Nel complesso le reazioni sono state positive e di aperto apprezzamento per il desiderio espresso da Obama di fondare su amicizia pace e giustizia le future relazioni degli Stati Uniti col mondo islamico. In questo contesto non vi sono tuttavia ammissioni di colpa da parte dei media arabi ed ogni responsabilità del fatto che in passato non siano stati questi i fondamenti delle reciproche relazioni viene addebitata agli Stati Uniti – e naturalmente (come dubitarne?) ad Israele.
In particolare la stampa saudita (Al-Madina, Al-Jazirah, Al-Watan, Al-Hayat) ha collegato i concetti sottolineati da Obama ai valori fondanti dell’America, ma ha anche rilevato come alle parole debbano seguire i fatti per renderle credibili e fruttuose: se si vorrà creare un nuovo ordine mondiale, basato su nuovi valori, non si può dimenticare che la strategia politica viene concepita nelle stanze di Washington, non sul podio del Cairo. Come era prevedibile, si tende anche a ridare forza alla proposta di pace saudita, che si vorrebbe sostenuta formalmente dalla Lega Araba, e si chiede alla Conferenza Islamica di sostenere il dialogo interreligioso.
L’egiziano Al-Ahram evidenzia che l’occidente, sotto la guida degli Stati Uniti, desidera adottare un nuovo atteggiamento nei confronti dell’Islam e dei musulmani, “dopo secoli di aggressioni ed ostilità”. Il suo direttore Osama Saraya sottolinea che Obama ha avvicinato gli Stati Uniti al mondo musulmano, e che “a differenza delle forze che hanno scelto di fluttuare ai margini del fiume arabo e musulmano, una decisa maggioranza di musulmani crede nella giustizia delle parole di Obama e nel suo sincero desiderio di por termine ai conflitti inutili per trovare ampie aree in cui si possano incontrare gli interessi di ognuno
Diverse e più negative sono le analisi del direttore del quotidiano palestinese Al-Hayat Al-Jadida, Hafez Al-Barghouti, che considera inevitabile che Obama rimanga ostaggio degli interessi imperialisti americani che sono legati strettamente a quelli dell’occupazione israeliana.
Anche la visita di Obama al campo di sterminio di Buchenwald ha dei cupi risvolti, che ci vengono svelati dal docente di storia della Shoah Rafael Medoff sul Jerusalem Post.
Lo zio di Obama e gli altri militari americani che liberarono Buchenwald ed altri campi di sterminio nazisti non erano preparati agli orrori che vi trovarono. Molte testimonianze americane confermano che il governo e le alte sfere militari avevano tenuto tutti all’oscuro di questa realtà; anzi, nel 1944 e 1945 le riviste per i militari americani Yank e Stars and Stripes rifiutarono articoli di corrispondenti di guerra che la descrivevano, con l’annotazione che essi erano troppo filo-ebraici. Gli articoli che descrivevano la crudeltà dei nazisti non facevano menzione specifica del destino degli ebrei. Roosevelt stesso rifiutò di dare evidenza allo sterminio in atto degli ebrei, perché temeva che in tal modo gli Stati Uniti avrebbero dovuto accogliere molti ebrei che tentavano di sottrarsi alla morte. I capi dell’Ufficio americano delle informazioni di guerra diedero istruzione di non sottolineare lo sterminio degli ebrei, in quanto ciò avrebbe costituito un elemento di confusione. Nell’ottobre del 1943 i ministri degli esteri americano, inglese e sovietico si incontrarono a Mosca per discutere sul modo di punire i criminali nazisti, ma elencando le popolazioni vittime dei nazisti evitarono accuratamente di menzionare i crimini commessi contro gli ebrei. Neppure il messaggio di Roosevelt che nel 1944 commemorò il primo anniversario della rivolta – tutta e solo ebraica – del ghetto di Varsavia, che aveva tenuto in scacco l’esercito nazista per lungo tempo e si era conclusa con l’annientamento di tutti gli abitanti del ghetto stesso, citò gli ebrei.
Ma forse una spiegazione del negazionismo islamico, che oggi ci preoccupa, si trova per assurdo in una conversazione dal vivo trasmessa su RTL 102,5 la mattina di domenica scorsa, in cui un marocchino aveva risposto a Pamparana, che accusava il mondo islamico di non riconoscere l’autenticità della Shoah, con queste parole: “Il Corano non ne parla”.