Mi perdonerà Ugo Volli se gli rubo il mestiere e spedisco anch’io una cartolina da Eurabia.
In Francia è in corso un processo che dovrebbe avere un’eco mondiale. Semplicemente perché riguarda uno dei più atroci delitti antisemiti del dopoguerra avvenuto nel paese che per primo ha concesso l’emancipazione agli ebrei. E precisamente perché l’eco di questo processo è soffocata. Proprio per questo esso diventa uno scandalo e dovrebbe avere ancor più risonanza.
Il 13 febbraio 2006 è stato ucciso a Parigi, dopo tre settimane di torture efferate, il ventiquattrenne ebreo francese di origine marocchina Ilan Halimi. Era stato sequestrato da una banda islamista che l’aveva scelto proprio e dichiaratamente in quanto ebreo e quindi ricco e suscettibile di dar luogo a un riscatto cospicuo. Poiché la famiglia era povera e non era in grado di offrire nulla, il giovane è stato torturato orribilmente e poi ucciso come una bestia. Per tre settimane gli abitanti dello stabile hanno fatto finta di non sentire le orribili grida del seviziato.
Il processo si sta svolgendo a porte chiuse, per non eccitare gli animi. Il capo della banda, tal Youssouf Fofana – a quanto raccontano avvocati e parenti della vittima – sfida i giudici e minaccia i giurati: «abbiamo le vostre foto e vi verremo a prendere a casa… attenti a voi». Il presidente del tribunale si è rifiutato di prendere provvedimenti. Avrebbe dovuto almeno condannarlo subito per minacce e oltraggio alla corte. Al contrario, ha vietato la diffusione delle foto del torturato, sempre per non eccitare gli animi.
In questi tempi in cui tutti esecrano il razzismo, in cui si dice dell’antisemitismo «mai più, mai più», in cui la Shoah è menzionata a proposito e sproposito, ci si attenderebbe una campagna di stampa, qualche articolo, un comunicato, una parola, un sussurro, un flebile vagito… Quantomeno ce lo aspetteremmo da personalità o istituzioni ebraiche.
Niente.
Frattanto, c’è chi afferma che i barconi dei “migranti” – mai dire “immigranti” o “emigranti”, è roba da razzisti – sono come la famosa nave St. Louis. C’è chi paragona il Ministro Maroni a Goebbels e le leggi sull’ordine pubblico alle leggi razziali del 1938. Certo, non siamo ancora alla Shoah – si sdottrineggia – nessuno osa metterne in dubbio la sacra “unicità” ma bisogna stare attenti al contesto, alle premesse, al contorno. Contorno di patatine, avrebbe detto Petrolini… Ma no, nessuno ha perso il senso del ridicolo. Lo sappiamo che non ci sono squadracce in giro, ancora, ma quando cominciano a marciare le veline al passo dell’oca bisogna temere il peggio. Un intellettuale lamenta l’amarezza che assale chi, non essendo persona pubblica, è soffocato dallo straripare del privato delle persone pubbliche, amarezza che genera apatia sociale, premessa al degenerare tragico di un già incerto presente. Insomma, l’onda di nuove intolleranze, di nuovi razzismi ci lambisce, anzi si infrange contro di noi da ogni lato. Dobbiamo alzare le difese (stavo per dire muro: Dio ne scampi!), perché – come è stato autorevolmente pontificato – la Shoah ha segnato la nascita di un nuovo contratto sociale.
Ilan Halimi? Ma chi se ne frega.