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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.06.2009 Attesa al Cairo per l'arrivo di Obama
La cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 giugno 2009
Pagina: 17
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Il Cairo attende Obama e avverte:»

Gli egiziani sono convinti che Obama sia il nuovo faraone, un novello Tuthankamon a respiro mondiale. Se ripassassero la loro storia, dovrebbero astenersi dal paragone, visto che un'altra volta, qualche migliaio di anni fa, con gli ebrei non finì bene come avevano sperato, E gli ebrei non solo ci sono sempre, ma hanno anche uno Stato. Fra due giorni Obama arriva al Cairo, siamo tutti in attesa di sentire cosa avrà da dirci.  Francesco Battistini, sul CORRIERE della SERA, di oggi, 02/06/2009, a pag. 17, con il titolo " Il Cairo attende Obama e avverte: Spetta a Israele fare gesti di pace", nel quale riporta le opinioni del ministro degli esteri di Mubarak Ahmed Aboul Gheit. Eccolo:

GERUSALEMME — Con quel nome può dire ciò che vuole. E infatti i giornali egi­ziani lo titolano per intero: Ba­rack Hussein Obama. Il primo presidente americano «di bel­l’aspetto e di buone manie­re », questo significa Hussein. L’unico che abbia vissuto un po’ d’infanzia musulmana. Il primo che abbia scelto l’aula magna dell'Università Al Ah­zar, la più grande scuola isla­mica del mondo, per parlare al mondo arabo. Il solo a in­chinarsi davanti ai Gran muf­tì dell’Egitto sunnita, Muham­mad Tantawi e Ali Gomaa, e dopo avere reso omaggio ai custodi sauditi della Mecca, e con un discorso che raggiun­ga le madrasse dal Marocco al­l’Indonesia. «Questo — dice Ahmed Aboul Gheit, ministro degli Esteri di Mubarak — è il posto migliore che potesse scegliere: da qualsiasi altra parte, qualunque cosa abbia deciso d’annunciarci giovedì, avrebbe la metà dell’effetto».
Otto ore cairote. Già, ma per dire che? «Desidero usare questa occasione — ha antici­pato Obama — per presenta­re un messaggio su come gli
Stati Uniti possono migliora­re le loro relazioni con il mon­do musulmano». A scanso d’equivoci, Gheit chiarisce co­sa non vuol sentire: la setti­mana scorsa, il ministro egi­ziano è stato invitato a Washington da Hillary Clin­ton, c’erano loro due e i capi delle sicurezze nazionali, e lì è stato sondato su un even­tuale refresh della pace araba con Israele. «Io ho risposto che, dopo Oslo, alcuni Paesi arabi diedero a Israele la pos­sibilità d’aprire uffici nelle lo­ro capitali — confida Gheit a un giornale saudita —. Però adesso questi Paesi vogliono vedere da Israele gesti concre­ti, prima d’aprirsi a nuove ini­ziative ». Messaggio chiarissi­mo: non esiste «un mondo arabo», esistono molti gover­ni con vedute diverse, e co­munque non si può chiedere loro il riconoscimento d’Israe­le «quando c’è un ministro israeliano — non lo cita, ma si riferisce ad Avigdor Lieber­man — che un giorno si alza e dice: il numero degli arabi in questo Paese è salito trop­po, dobbiamo ridurre il loro peso demografico per mante­nere l’identità ebraica, quindi gli arabi israeliani se ne devo­no andare via, in Palestina o fuori da Israele».
Altro che Iran. Altro che gli allarmi da Gerusalemme, coi servizi israeliani che avverto­no: «Entro l’anno, Teheran avrà l’atomica». La posizione araba è chiara e l’ha già spie­gata Mubarak: il nodo è sem­pre la questione palestinese. Per il governo del Cairo, che ha pessimi rapporti con gli ayatollah, il dossier nucleare
è un tema secondario. E an­che la fatwa lanciata in que­ste ore da Ali Gomaa, contro chi fabbrica armi di distruzio­ne di massa che «mettono in pericolo la vita di musulmani e non musulmani», ci si pre­mura di non considerarla uno schiaffo agli ayatollah: ca­somai un altolà a Israele. Che un segno di distensione, pe­raltro, l’ha lanciato: togliendo il veto alla candidatura Une­sco di Faruq Hosni, il mini­stro della Cultura egiziano pronto a «bruciare» nella Bi­blioteca di Alessandria i libri scritti in ebraico.
Mai così blindati, al Cairo. Trentamila poliziotti, tremila uomini dei servizi. Gli elicot­teri della Marina che segui­ranno Obama passo passo. Un sondaggio Gallup dice che questo presidente ha un credito enorme fra gli arabi: il 25% di simpatie in Egitto (Bush aveva il 6), il 29 in Ara­bia (contro il 12), il 37 in Tu­nisia (14), il 15% in Siria (4, il predecessore). Sarà più Ba­rack o più Hussein? «Le atte­se e i dubbi — riassume
Al Ahram, il giornale più diffu­so — sono tanto grandi quan­to esagerati».

 Fumetto o possibile realtà ?

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