Riportiamo dall'ESPRESSO n°22 del 29/05/2009, a pag. 14, l'articolo di Soli Ozel dal titolo " Acque agitate sul bosforo ".
Ozel enumera i motivi per i quali i negoziati per l'ingresso della Turchia in Ue sono rallentati: l'opposizione di Sarkozy, l'incertezza di Angela Merkel, la crisi economica, la situazione di Cipro... non una parola sul fatto che in Turchia siano assenti alcuni valori fondamentali tipici delle democrazie occidentali. Discriminazione della donna, censura, mancanza di libertà d'espressione e di opinione. In sostanza quel che esprime un governo islamico. Questi sono i "valori" della Turchia che non la rendono la candidata ideale per entrare a far parte dell'Ue. Perchè Soli Ozel non li menziona? Il testo della vignetta che abbiamo scelto noi recita in italiano : " Entriamo solo se fate fuori la Francia ".
Ecco l'articolo:
Senza dubbio le relazioni fra la Turchia e l'Unione europea sono da tempo in stato comatoso. Nessuna delle parti auspica il decesso del paziente, ma non si è intervenuti in modo efficace per rianimarlo. Da parte dell'Unione europea gli effetti dell'attuale crisi economico-finanziaria hanno comprensibilmente condotto a posporre l'allargamento.
Le pressioni popolari provocate dalla crescente disoccupazione, dalla paura dello straniero, dal rafforzamento dei partiti xenofobi hanno disincentivato i partiti al governo dal proseguire le loro politiche liberali. E la Turchia ne paga il prezzo, sebbene non sia la causa diretta di tali inquietudini. All'interno dell'Ue, la Francia, o per meglio dire il suo incontenibile presidente, è fra i primi a osteggiarne l'adesione. Parigi blocca l'apertura di cinque capitoli negoziali, sostenendo che la loro conclusione porterebbe all'ingresso di Ankara nell'Unione. Bizzarra obiezione, considerato che lo scopo dei negoziati è proprio questo. La Francia si sta così opponendo a molte delle decisioni dell'Unione riguardanti la Turchia, delle quali era stata firmataria.
Due settimane fa, Angela Merkel, partecipando insieme a Nicolas Sarkozy a una manifestazione elettorale per le consultazioni europee, ha dichiarato di preferire per la Turchia una "partnership privilegiata" piuttosto che l'adesione, nonostante il suo governo abbia sempre sostenuto il principio pacta sunt servanda.
In Turchia il governo dell'Akp, promotore di riforme che guardavano all'Unione europea tra il 2002 e il 2005, è rimasto essenzialmente inattivo nel perseguire l'ingresso nella Ue, provocando lo slittamento di due obiettivi che erano già stati raggiunti.
Il primo ministro si è mostrato profondamente intollerante di fronte alle critiche, riducendo il processo di adesione alla Ue a una mera questione tecnica, e rifiutando di nominare un negoziatore a tempo pieno fino allo scorso gennaio.
In merito ai capitoli negoziali su Cipro, non si sono riscontrati progressi significativi, sebbene continuino le trattative tra il presidente greco e quello turco. Alla fine dell'anno, l'Unione europea dovrebbe valutare le politiche di Ankara nei confronti dell'isola. Nel caso in cui la Turchia non avesse aperto i suoi porti e aeroporti alle navi e aerei ciprioti, come prevede il trattato, la Commissione riferirà sull'avvenuto, o mancato, raggiungimento dei progressi, e adotterà una raccomandazione. Da parte sua la Turchia chiede che anche Bruxelles mantenga le promesse fatte ai turchi ciprioti. Sebbene non sia in previsione una totale sospensione del negoziato, sembra estremamente difficile che ci siano ulteriori sviluppi. Pertanto, se la problematica di Cipro non dovesse essere risolta quest'anno, molti osservatori dalla parte turca considerano invitabile la divisione dell'isola.
Questa è una condizione insostenibile, soprattutto se si considera che il mondo si va delineando secondo nuovi profili strategici. La Turchia e l'Unione europea condividono molti interessi, dalla sicurezza energetica ai gasdotti, fino alle partnership economiche per la stabilità in Medio Oriente e Caucaso. Come ha affermato il noto economista di Deutsche Bank, Norbert Walter, "non possiamo permetterci di mantenere lo status quo a ogni costo, trasformando l'Europa in un museo, quando il mondo intorno a noi sta cambiando sempre più rapidamente... Dobbiamo vagliare e auspicabilmente accettare le potenziali sfide di questa storica opportunità (...) di rivestire l'Unione europea di un maggiore potere politico ed economico, di aprire nuovi mercati e guadagnare nuovi alleati. (...) Come ogni opportunità, l'ingresso della Turchia comporta dei rischi, che devono essere valutati in base ai vantaggi".
Le dinamiche interne della Turchia si sono dimostrate insufficienti per far avanzare il processo di democratizzazione del Paese, come si è potuto riscontrare negli ultimi tre anni. La rigida normativa che regola l'accesso all'Unione europea si è rivelata praticamente indispensabile. È pur vero che l'economia turca ha risentito meno della crisi economica, il ruolo strategico del Paese è in crescita e i rapporti con l'estero si sono fatti sempre più sfaccettati. Queste sono le caratteristiche di un Paese che può costituire un esempio per i suoi vicini, avendo un enorme potere rappresentativo, e producendo sicurezza e stabilità. Anche il presidente americano ha sottolineato questi punti nel corso della sua proficua visita in Turchia, dando rilievo all'appoggio degli Stati Uniti per l'ingresso di Ankara nella Ue, che porterebbe benefici a tutto l'Occidente.
Finché non si calmeranno le acque, è improbabile che l'adesione della Turchia faccia passi avanti. Ma sarebbe un vero peccato sacrificare un processo storico così importante per mancanza di coraggio, miopia e strategie elettorali.
Per inviare la propria opinione all'Espresso, cliccare sull'e-mail sottostante