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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.05.2009 Il velo significa sottomissione al maschio
Non è un simbolo religioso

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 maggio 2009
Pagina: 24
Autore: Marco Bardesono-Maria Laura Rodotà
Titolo: «Via la biogliettaia con il velo-Ma quello è un segno di sottomissione»

Ha ragione Magdi Cristiano Allam, l'occidente è pronto per il suicidio, anche quello femminile, che ha dimenticato le battaglie femministe. Maschilismo, disuguaglianza, tutto sepolto grazie al nuovo idolo del politicamente corretto. Per fortuna, accanto alla cronaca di Marco Bardesono, sul CORRIERE della SERA di oggi, 31/05/2009, a pag,24, c'è una colonna di commento di Maria Laura Rodotà che ci ricorda come il velo non sia un simbolo religioso ma significhi invece sottomissione, nemmeno a Dio, ma al maschio di casa. E' questo che voglione le donne oggi ? Se è così, possono stare tranquille, lo avranno, anche nel nostro paese. Fra un paio di decenni il numero dei musulmani sarà così alto da poter dettare legge.  Ecco gli articoli:

Marco Bardesono: " Via la bigliettaia con il velo, e a Venaria lo indossano tutte"

TORINO — Ieri i ragazzi del­la biglietteria, le guide, gli ad­detti alla sicurezza — insom­ma tutto il personale della Reggia di Venaria — si sono presentati al lavoro indossan­do veli e kefiah. Una protesta e, allo stesso tempo, una mani­festazione di solidarietà per una loro collega marocchina, Yamna Amellal, di 35 anni.
Il perché dell’iniziativa lo spiega Michele Francabandie­ra, 29 anni e da cinque uno di responsabili alla reception del castello sabaudo: «Yamna è con noi dal 2007, sempre die­tro lo sportello, e fa bene il suo lavoro. Ma il fatto che sia musulmana e indossi il velo ha provocato delle proteste da parte dei turisti». Un susse­guirsi di episodi imbarazzanti e, venerdì scorso, una lettera anonima pubblicata sulla Stampa: «Mi sono presentata alla biglietteria della Reggia di Venaria, storica residenza di Casa Savoia e mi ha colpito non poco notare — ha scritto una visitatrice torinese — che fosse presidiata da due donne islamiche, una addirittura con il velo in testa. Non sarebbe più corretto che il personale indossasse abiti d’epoca dei Savoia? Quella presenza, inve­ce, era decontestualizzata, fuo­ri posto».
La risposta del direttore del­la Reggia, Alberto Vanelli, è stata decisa ma articolata: «Io non ci trovo nulla di male, l’in­tegrazione
passa anche attra­verso queste cose. Però con­fesso che, la prima volta che l’ho vista, ho avuto un attimo di perplessità. Già in passato ci è stato fatto notare che sa­rebbe stato più opportuno ave­re personale con profonde co­noscenze della storia sabauda, ma l’assunzione è avvenuta tramite il Collocamento e una cooperativa di servizi». Una guida, Sabrina Soccol, 28 an­ni, aggiunge: «La donna che ha scritto la lettera non si è neppure accorta che l’altra ra­gazza da lei indicata come isla­mica è invece italiana, calabre­se... ».
A gettare acqua sul fuoco, il presidente del consorzio che amministra la Reggia, l’ex di­rettore di Raiuno Fabrizio Del Noce: «L’opinione della signo­ra, espressa in toni pacati e non oltranzisti, è da rispetta­re. Allo stesso modo la manife­stazione dei colleghi della ra­gazza marocchina è stata al­trettanto legittima e civile. In­somma, non siamo di fronte a un episodio di razzismo come quando l’intera curva di uno stadio insulta Balotelli».
A storcere il naso, però, non è stata solo l’anonima let­trice. I colleghi della ragazza marocchina raccontano di epi­sodi di razzismo («Torna a ca­sa tua»; «Quel velo è una pro­vocazione, sono tutti terrori­sti ») e proteste quotidiane: «Spesso capita che qualcuno,
per non acquistare il biglietto da Yamna, cambi fila — confi­da Sabrina Soccol —. E io, che accompagno i gruppi in visi­ta, lo sento: c’è sempre chi commenta negativamente».
Ieri, dunque, la protesta. In biglietteria, le colleghe di Yam­na si sono presentate con un velo sul capo, i colleghi hanno indossato la kefiah. Ma i gesti di solidarietà hanno contagia­to anche agli altri dipendenti (70 persone) delle due coope­rative (la Copat e la Rear) che gestiscono i servizi turistici nel castello. «Noi hostess — dice Michela — abbiamo una divisa che prevede un foulard al collo: ce lo siamo messo tut­te in testa». Alla Reggia si è vi­sto il vicesindaco della città, Salvino Ippolito: «Non possia­mo discriminare nessuno per motivi religiosi e inoltre la ra­gazza fa bene il suo lavoro».
Lei, Yamna Amellal, sposa­ta con un pakistano, origina­ria di Khenifra in Marocco, vi­ve a Torino da 5 anni e, per tut­ta la giornata, è sempre rima­sta seduta al suo posto, a stac­care biglietti: «A queste cose io quasi non ci faccio più ca­so, ci sono i miei colleghi a di­fendermi, è quasi come stare in famiglia. Lavoriamo in un bellissimo luogo e crediamo nella libertà e nella tolleranza. Togliermi il velo? Non ci pen­so proprio, rappresenta la mia fede. E io sono islamica qui co­me in qualunque altro posto».


Maria Laura Rodotà: " Ma quello è un segno di sottomissione "

Se fosse un film americano, per chi tifereste? Per le impiegate e le guide della reggia di Venaria che sono andate a lavorare col velo per solidarietà con la collega marocchina Amellal? O per la signora piemontese seccata per aver visto donne velate a contatto col pubblico, che ha scritto alla Stampa «non sarebbe più corretto impiegarle in attività di ufficio? O utilizzare persone vestite con abiti d’epoca?». Solo la trovatona delle poverette in abito d’epoca fa antipatizzare con la signora e simpatizzare con le lavoratrici di Venaria; che non hanno paura di essere (non è cosa alla moda) solidali.
Ma la questione è molto, molto più complicata. Perché mettere il velo non è un’espressione della propria religione come tante altre, come portare la croce o la stella di Davide (o la mezzaluna). È un segno di sottomissione femminile, non tanto ad Allah quanto ai maschi di casa. Alcune lo portano per scelta; la maggioranza per costrizione. È una condizione che non si risolve come propone il signore piemontese, nascondendo le impiegate velate per dimenticare che a Torino gli islamici sono ormai tanti. Si risolve — al momento pare utopico, ma meglio essere utopisti che pilateschi, che ignorare i problemi di tanta parte dell’umanità femminile — pensando che tutte le donne dovrebbero essere libere di scegliere cosa fare con la propria testa. E cercando di garantire loro dei diritti. In Francia, nella Francia dell’allora presidente Chirac, è stata fatta una legge che vieta di ostentare simboli religiosi nei luoghi pubblici. Legge discussa; ma lì si può applicare perché li proibisce tutti, di qualunque culto. In Italia, nelle nostre scuole e nei nostri uffici dove sono appesi i crocefissi, seguire l’esempio sarebbe molto, molto più complicato (sarebbe bello se le colleghe italiane fossero così solidali da dare a qualche islamica che non vorrebbe il velo la forza di toglierlo, casomai; senza sistemare tutte mettendole in costume, d’epoca o da bagno, come si tende a fare da noi).

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