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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.05.2009 La civiltà ripugnante del paese dei mullah
Ma è sconveniente scriverlo

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 maggio 2009
Pagina: 14
Autore: Paolo Salom-Paolo Lepri
Titolo: «»

Sull'attentato nella moschea di Zehadan, e l'esecuzione tre giorni dopo di tre uomini accusati di avere in qualche modo partecipato all'attentato, pubblichiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/05/2009, a pag.1 e 14, la cronaca di Paolo Salom  e il commento di Paolo Lepri. Anche su LIBERO, Magdi Cristiano Allam, riprendendo la tesi dello scontro di civiltà, accusa l'occidente di volersi suicidare. Non possiamo pubblicarlo perchè non incluso nel sito internet del quotidiano milanese.  Non siamo affatto d'accordo con la domanda che apre la cronaca di Salom: " Giustizia o vendetta ? " Quale giustizia può mai essere quella che condanna all'impiccagione tre esseri umani ? Vendetta, perchè mai ? visto che i tre erano solo sospettati. Manca il coraggio, ai nostri commentatori, di scrivere a chiare lettere che il concetto di civiltà che vige nel paese dei mullah è ripugnante. Idea magari condivisa, ma che è riprovevole scrivere. E' l'auto censura del politicamente corretto. Ecco il due articoli:

Paolo Salom: " Iran tre impiccati per l'attentato nella moschea "

Giustizia o vendetta? Tre uo­mini sono stati impiccati ieri in Iran con l’accusa di aver in qualche modo partecipato al­l’attentato di giovedì scorso nella seconda moschea di Zahedan, vicino al confine con Pakistan e Afghanistan. Un kamikaze si era fatto salta­re in aria tra i fedeli ucciden­do 25 persone e ferendone 125. Ma Haji Nuti-Zehi, Gho­lam Rassul Shahu Zehi e Zabi­bollah Narui, i tre poveretti che sono stati fatti salire sul patibolo, di fronte a una folla di spettatori, il giorno della spaventosa esplosione erano già in carcere. Cosa che tra­sforma la repentina condanna a morte in un atto di giustizia sommaria senza precedenti in un Paese dove comunque la pena capitale è comminata con relativa facilità. I condan­nati sono stati ritenuti colpe­voli di aver fornito l’esplosivo per l’«azione terroristica» e per questo un tribunale li ha mandati al patibolo come «ne­mici di Allah» e «corrotti sulla Terra».
Le autorità, senza rivelare quando erano stati arrestati, hanno assicurato che i tre «hanno avuto un regolare pro­cesso ». E quindi sono stati im­mediatamente impiccati da boia con il volto coperto da un passamontagna nero: «I terroristi Haji Nuti-Zehi, Gho­lam Rassul Shahu Zehi e Zabi­bollah Narui sono stati giusti­ziati pubblicamente alle sei del mattino (le 14 e 30 in Ita­lia, ndr) vicino alla moschea Amir al-Momenin», ovvero il teatro del sanguinoso attacco che Teheran aveva in un pri­mo momento attribuito ad «agenti americani», provocan­do l’immediata e secca smenti­ta di Washington: «Condan­niamo con fermezza ogni at­tentato contro civili».
La televisione satellitare
Al Arabiya ha poi detto di aver ri­cevuto una telefonata di riven­dicazione da parte del gruppo terrorista sunnita «Jundallah» (soldati di Dio), fazione che opera nella poverissima pro­vincia del Sistan-Baluchistan, a cavallo del triangolo Iran-Af­ghanistan- Pakistan. Così an­che Islamabad è stata messa sotto accusa per non avere agi­to con sufficiente fermezza, se­condo la Repubblica islamica, contro i gruppi estremisti che operano a cavallo della frontie­ra, oltre che nel vicino territo­rio afghano. L’ambasciatore pachistano a Teheran, Mohammad Bakhsh Abbasi, è stato convocato al ministero degli Esteri e gli è stata conse­gnata una nota di protesta.
L’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema e vero uomo forte dell’Iran, in un messag­gio trasmesso più volte dalla televisione ha invitato sciiti e sunniti a non lasciarsi andare a violenze gli uni contro gli al­tri, sottolineando che è obietti­vo dei «nemici della Repubbli­ca islamica» provocare divisio­ni all’interno del Paese. Gli ira­niani sono al 90 per cento scii­ti, mentre nelle province occi­dentali (vicino all’Iraq) e orientali (vicino a Afghani­stan e Pakistan) vivono mino­ranze sunnite: è qui che avven­gono attentati suicidi e attac­chi terroristici che Teheran so­litamente attribuisce a «forze esterne» al Paese.
La risposta delle autorità al­l’attentato non si fermerà co­munque ai tre impiccati ieri: altre due persone, ha annun­ciato l’agenzia
Irna, sono sta­te arrestate in relazione al­l’esplosione nella moschea. Se­guirà condanna.

Paolo Lepri: " Rompere il silenzio "

" Nemici di Dio". «Corrotti sulla terra». Il linguaggio degli ayatollah iraniani, radicato nell’abisso del fanatismo religioso, spaventa quasi più delle loro efferate azioni. Accuse come queste non potevano che portare rapida­mente sul patibolo, anche senza bisogno di prove, i tre uomini ritenuti coinvolti nel terribile attentato kamikaze compiuto giovedì a Zahedan, al confine con il Pakistan, e costato la vita a venticinque persone. Una confessione, un processo lampo, il boia in azione nella pubblica piaz­za con il volto coperto da un passamontagna nero. Que­sto è l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, l’uomo che alcuni giorni fa piangeva lacrime disperate nell’anniversario del­la morte di Fatima, la quarta figlia di Maometto.
Durante il mandato del presidente iraniano (che aspi­ra ad essere riconfermato il 12 giugno) il numero di con­danne a morte eseguite è sa­lito in maniera impressio­nante. Secondo i dati in pos­sesso di Amnesty Internatio­nal sono state 94 nel 2005, 177 nel 2006, 335 nel 2007 e 346 nel 2008. Quest’anno so­no già oltre 120. In più le or­ganizzazioni umanitarie hanno denunciato numerosi ca­si di condanne a morte per delitti compiuti da minoren­ni. Al recente caso della giovane pittrice Delara Derabi si aggiunge, proprio in questi giorni, la probabile esecuzio­ne del ventiquattrenne Mehdi Mazroui. L’uso della tortu­ra, i processi senza garanzie per gli imputati, l’esistenza di tribunali speciali sono una realtà contro la quale il mondo protesta invano da tempo.
Ma non per questo ci si può arrendere. Ce lo insegna la scrittrice Chahdortt Djavann, fuggita da Teheran nel 1993, che in un articolo in difesa di Hayaan Hirsi Ali ha affermato che criticare il fondamentalismo religioso va riconosciuto come «un diritto essenziale della democra­zia ». Per una delle due donne raccontate nel suo libro
La muta tacere era il modo per cercare di dimenticare ferite troppo dolorose da raccontare. Per noi che assistiamo a quanto accade quotidianamente in Iran il silenzio va in­vece dimenticato.

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