Sull'attentato nella moschea di Zehadan, e l'esecuzione tre giorni dopo di tre uomini accusati di avere in qualche modo partecipato all'attentato, pubblichiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/05/2009, a pag.1 e 14, la cronaca di Paolo Salom e il commento di Paolo Lepri. Anche su LIBERO, Magdi Cristiano Allam, riprendendo la tesi dello scontro di civiltà, accusa l'occidente di volersi suicidare. Non possiamo pubblicarlo perchè non incluso nel sito internet del quotidiano milanese. Non siamo affatto d'accordo con la domanda che apre la cronaca di Salom: " Giustizia o vendetta ? " Quale giustizia può mai essere quella che condanna all'impiccagione tre esseri umani ? Vendetta, perchè mai ? visto che i tre erano solo sospettati. Manca il coraggio, ai nostri commentatori, di scrivere a chiare lettere che il concetto di civiltà che vige nel paese dei mullah è ripugnante. Idea magari condivisa, ma che è riprovevole scrivere. E' l'auto censura del politicamente corretto. Ecco il due articoli:
Paolo Salom: " Iran tre impiccati per l'attentato nella moschea "
Giustizia o vendetta? Tre uomini sono stati impiccati ieri in Iran con l’accusa di aver in qualche modo partecipato all’attentato di giovedì scorso nella seconda moschea di Zahedan, vicino al confine con Pakistan e Afghanistan. Un kamikaze si era fatto saltare in aria tra i fedeli uccidendo 25 persone e ferendone 125. Ma Haji Nuti-Zehi, Gholam Rassul Shahu Zehi e Zabibollah Narui, i tre poveretti che sono stati fatti salire sul patibolo, di fronte a una folla di spettatori, il giorno della spaventosa esplosione erano già in carcere. Cosa che trasforma la repentina condanna a morte in un atto di giustizia sommaria senza precedenti in un Paese dove comunque la pena capitale è comminata con relativa facilità. I condannati sono stati ritenuti colpevoli di aver fornito l’esplosivo per l’«azione terroristica» e per questo un tribunale li ha mandati al patibolo come «nemici di Allah» e «corrotti sulla Terra».
Le autorità, senza rivelare quando erano stati arrestati, hanno assicurato che i tre «hanno avuto un regolare processo ». E quindi sono stati immediatamente impiccati da boia con il volto coperto da un passamontagna nero: «I terroristi Haji Nuti-Zehi, Gholam Rassul Shahu Zehi e Zabibollah Narui sono stati giustiziati pubblicamente alle sei del mattino (le 14 e 30 in Italia, ndr) vicino alla moschea Amir al-Momenin», ovvero il teatro del sanguinoso attacco che Teheran aveva in un primo momento attribuito ad «agenti americani», provocando l’immediata e secca smentita di Washington: «Condanniamo con fermezza ogni attentato contro civili».
La televisione satellitare Al Arabiya ha poi detto di aver ricevuto una telefonata di rivendicazione da parte del gruppo terrorista sunnita «Jundallah» (soldati di Dio), fazione che opera nella poverissima provincia del Sistan-Baluchistan, a cavallo del triangolo Iran-Afghanistan- Pakistan. Così anche Islamabad è stata messa sotto accusa per non avere agito con sufficiente fermezza, secondo la Repubblica islamica, contro i gruppi estremisti che operano a cavallo della frontiera, oltre che nel vicino territorio afghano. L’ambasciatore pachistano a Teheran, Mohammad Bakhsh Abbasi, è stato convocato al ministero degli Esteri e gli è stata consegnata una nota di protesta.
L’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema e vero uomo forte dell’Iran, in un messaggio trasmesso più volte dalla televisione ha invitato sciiti e sunniti a non lasciarsi andare a violenze gli uni contro gli altri, sottolineando che è obiettivo dei «nemici della Repubblica islamica» provocare divisioni all’interno del Paese. Gli iraniani sono al 90 per cento sciiti, mentre nelle province occidentali (vicino all’Iraq) e orientali (vicino a Afghanistan e Pakistan) vivono minoranze sunnite: è qui che avvengono attentati suicidi e attacchi terroristici che Teheran solitamente attribuisce a «forze esterne» al Paese.
La risposta delle autorità all’attentato non si fermerà comunque ai tre impiccati ieri: altre due persone, ha annunciato l’agenzia Irna, sono state arrestate in relazione all’esplosione nella moschea. Seguirà condanna.
Paolo Lepri: " Rompere il silenzio "
" Nemici di Dio". «Corrotti sulla terra». Il linguaggio degli ayatollah iraniani, radicato nell’abisso del fanatismo religioso, spaventa quasi più delle loro efferate azioni. Accuse come queste non potevano che portare rapidamente sul patibolo, anche senza bisogno di prove, i tre uomini ritenuti coinvolti nel terribile attentato kamikaze compiuto giovedì a Zahedan, al confine con il Pakistan, e costato la vita a venticinque persone. Una confessione, un processo lampo, il boia in azione nella pubblica piazza con il volto coperto da un passamontagna nero. Questo è l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, l’uomo che alcuni giorni fa piangeva lacrime disperate nell’anniversario della morte di Fatima, la quarta figlia di Maometto.
Durante il mandato del presidente iraniano (che aspira ad essere riconfermato il 12 giugno) il numero di condanne a morte eseguite è salito in maniera impressionante. Secondo i dati in possesso di Amnesty International sono state 94 nel 2005, 177 nel 2006, 335 nel 2007 e 346 nel 2008. Quest’anno sono già oltre 120. In più le organizzazioni umanitarie hanno denunciato numerosi casi di condanne a morte per delitti compiuti da minorenni. Al recente caso della giovane pittrice Delara Derabi si aggiunge, proprio in questi giorni, la probabile esecuzione del ventiquattrenne Mehdi Mazroui. L’uso della tortura, i processi senza garanzie per gli imputati, l’esistenza di tribunali speciali sono una realtà contro la quale il mondo protesta invano da tempo.
Ma non per questo ci si può arrendere. Ce lo insegna la scrittrice Chahdortt Djavann, fuggita da Teheran nel 1993, che in un articolo in difesa di Hayaan Hirsi Ali ha affermato che criticare il fondamentalismo religioso va riconosciuto come «un diritto essenziale della democrazia ». Per una delle due donne raccontate nel suo libro La muta tacere era il modo per cercare di dimenticare ferite troppo dolorose da raccontare. Per noi che assistiamo a quanto accade quotidianamente in Iran il silenzio va invece dimenticato.

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