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La Stampa Rassegna Stampa
29.05.2009 Le battaglie della stella gialla
La risposta di Marco Pannella a Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 29 maggio 2009
Pagina: 1
Autore: Marco Pannella
Titolo: «Le battaglie della stella gialla»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 29/05/2009, a pag. 1-43, l'articolo di Marco Pannella dal titolo " Le battaglie della stella gialla ", in risposta all'articolo di Elena Loewenthal (pubblicato sulla STAMPA e sulla rassegna di IC id ieri) dal titolo " La stella gialla non è una bandiera ":

Grazie di questo dialogo vitale, di questa critica ristoratrice («La stella gialla non è una bandiera» su La Stampa di ieri). Sono felice, felice, felice (nel deserto di questo nostro tempo, che noi vogliamo fare fiorire e non lasciare desertificare del tutto e di nuovo) di questa attenzione, cui non siamo usi nemmeno nel mondo israeliano e in tanta parte della diaspora.
D’accordo: «La stella gialla è il simbolo di una resa atroce (...). La stella gialla era la fredda incubatrice della soluzione finale».
D’accordo: «Addosso a occhi sgomenti, bocche spalancate ma mute, braccia alzate in una resa impaurita come quelle del bambino nel ghetto di Varsavia (...) la stella gialla non distingueva nessuno. Anzi, assimilava tutti dentro un unico, terribile destino».
Dove invece non concordo è: «(La stella gialla) è impropria in qualsivoglia battaglia politica, morale, mediatica. Perché non sveglia le coscienze, le tramortisce». Dunque la civiltà, la cultura, la politica possono essere capaci di andare oltre, di portare tutto il Male della storia, costruirlo, assassinare l’umanità, suicidarla in massa, spingere l’immaginato oltre il precedente e il più atroce antropologicamente possibile, in direzione del Male. Ma non l’inverso, dunque? Il Male non solamente indicibile ma evento imperscrutabile, perfezione assoluta, icona diabolica della storia planetaria, tabù...? Hannah Arendt, la sua «banalità del Male», la sua «metamorfosi del Male» per possibili rivincite, che se e quando viene compresa può venire battuta, è dunque tutto un errore?
Certo, la stella gialla non è una bandiera: e per chi mai potrebbe esserlo? Nemmeno per Hitler, che ne muore lui stesso con altri dieci milioni di tedeschi, lui stesso contenitore e autore della Shoah; ne muore come un verme, un topo, un escremento finalmente inerte (in apparenza), se dimentichiamo che la nostra condizione umana è sempre e comunque comunione e comunità di morti e di viventi.
Propaganda elettorale radicale, allora? Se è così, cretini assoluti, masochisti, blasfemi del nulla. No, amica. Non propaganda, bensì «monito». Noi reputiamo che tutto il male, e anche peggio, della seconda metà degli Anni 30, e il suo prodotto degli Anni 40, sia ragionevolmente probabile, più che possibile. Potenziato, globalizzato, anzi universalizzato.
La stella gialla «in tutta l’Europa occupata dai nazisti»? Beh no, non proprio. Almeno, non in assoluto. Nella Danimarca occupata, il re ammonì: sarò il primo a indossarla. Hitler lo comprese e raccolse: l’ordine non fu dato. Gli oltre settemila ebrei di Danimarca, per 80% profughi tedeschi, furono salvati da questo. Ma non è questo che importa, ora. Importa che nel settembre 1938, a Monaco, vi fu un «G4» fra i rappresentanti del mondo democratico e quelli del nazifascismo: Daladier e Chamberlain, Hitler e Mussolini. A questi due ultimi venne dato il credito di uomini di pace. Perfino alcuni vertici della Comunità ebraica tedesca speravano ancora di poter raggiungere una convivenza con il regime nazista. Coloro che erano convinti - come noi oggi - che la strage di democrazia e legalità comporti necessariamente stragi di popoli, a cominciare dai loro stessi criminali autori, erano trattati come apocalittici. Nel 1945, a Westminster, Churchill ammonì di nuovo sull’urgenza degli Stati Uniti d’Europa, perché la futura Onu non corresse verso la tragica fine della Società delle Nazioni. Disse: «Per anni, qui e ovunque, ho urlato come un lupo disperato. Nessuno allora mi intese e l’inevitabile sciagura giunse puntuale».
Sharon Nizza, nostra seria compagna e amica, un mese fa durante un dibattito lodevolmente organizzato dall’Unione dei giovani ebrei, mi interruppe: «Ma stiamo parlando qui, con i microfoni, collegati a Radio Radicale... Ma ti pare che ci possa essere davvero qualcosa in comune con il ’38?». Direttore, Elena, vogliamo proseguire e ampliare questo dibattito?

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