La meritoria Fondazione De Fonseca ha fatto tradurre e messo in circolazione un articolo pubblicato un paio di settimane fa sull'Herald Tribune da Daniel Taub, principale e assai stimato consigliere legale dell'esercito israeliano. L'articolo inizia così: "Poco tempo fa ho incontrato un gruppo di giuristi impegnati nell´analisi delle operazioni militari israeliane a Gaza. Dopo aver ascoltato le loro preoccupazioni e critiche ho posto questa domanda: 'se prendiamo in esame i lanci di razzi da parte di gruppi terroristici su Israele da Gaza, come ipotizziamo una risposta legittima nel pieno rispetto delle leggi?' La risposta fu un silenzio imbarazzato. [...] John Dugard, il special reporter dei diritti umani nei territori palestinesi alle Nazioni Unite, ha redatto otto relazioni sulle azioni israeliane in risposta al terrorismo e non ha mai trovato tra le misure adottate dagli israeliani neanche una che fosse proporzionata e legittima. Il suo successore, Richard Falk, ha di recente redatto un resoconto in cui afferma che, viste le condizioni in cui si trova Gaza, qualsiasi risposta militare israeliana sarebbe illegale per qualche verso. In base all´interpretazione della legge internazionale data da Falk, Israele non ha alcun diritto di difendersi." Anche se Taub ritiene che in effetti la legge internazionale, correttamente interpretata, permetta l'autodifesa di uno Stato, questa "strana" difficoltà va meditata, non solo perché renderebbe impossibile la difesa di Israele. Vi è un problema più generale. Essa si sovrappone infatti con quel che è accaduto in Somalia, dove Israele (forse) non è l'obiettivo: i pirati catturati sul fatto dalle marine da guerra europee sono stati regolarmente rilasciati, perché non esiste la base legale per arrestarli. Insomma, contro chi rompe la pace, bombarda, ammazza, rapina, rapisce non vi è difesa, agli occhi dei puristi della legalità internazionale, Onu ed Eurabia in testa. Questa evoluzione non è affatto un caso, è il frutto di un lungo processo politico in cui è stata erosa (soprattutto da sinistra) la distinzione fra "combattente legittimo" e "irregolare", come racconta con molta dottrina (e da un punto di vista certamente lontano dal nostro) Carl Schmitt in "Teoria del Partigiano (Adelphi, 2005). I terroristi come quelli di Hamas, quando conviene loro, si presentano come popolazione civile protetta (e fisicamente si nascondono in scuole, ospedali, moschee); quando lo ritengono opportuno invece pretendono di essere Stato ed esercito; comunque agiscono secondo una logica militare, anche quando mandano donne e bambini a fare gli attentatori suicidi. Se Israele non li combatte è colpevole di fronte alla propria popolazione e alla legge internazionale che impone di difenderla; se li combatte è comunque colpevole di fronte alla legge. Bella situazione, vero? Il "diritto alla resistenza" di cui parlano spesso non solo gli islamisti ma anche gli estremisti di sinistra, cioè il modello secondo cui "più le azioni dei terroristi sono irresponsabili, illegali e moralmente riprovevoli, minori sono le possibilità di risposta da parte di uno stato" (Taub) non è solo una costruzione ideologica, ma anche una teoria giuridica. Ma che legge è quella che difende i diritti dei banditi, ma non quella dei cittadini (e degli stati) pacifici?
Ugo Volli |