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La Stampa Rassegna Stampa
24.05.2009 Tel Aviv festeggia i suoi primi 100 anni
Elena Loewenthal ne racconta la storia

Testata: La Stampa
Data: 24 maggio 2009
Pagina: 30
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Tel Aviv, quella casa trasgressiva delle donne»

Esce in questi giorni nella collana Traveller di Feltrinelli Tel Aviv. La città che non vuole invecchiare (pp. 153, e12), il nuovo libro di Elena Loewenthal. In questo articolo l’autrice racconta un aspetto particolare della città, che quest'anno festeggia i suoi primi 100 anni. Sempre di Elena Loewenthal ricordiamo il suo ultimo romanzo " Conta le stelle se puoi " (Einaudi), arrivato primo nella finale del Premio Campiello. L'articolo che segue è uscito sulla STAMPA, oggi, 24/05/2009, con il titolo " Tel Aviv, quella casa trasgressiva delle donne".

Tel Aviv è una città aperta. Quasi per scommessa. Nata un giorno d’aprile del 1909 su due dune di sabbia e un canalone in mezzo, non ha frontiere se non il cielo e il mare. In compenso, qui la sabbia è dappertutto: scalza il cemento dei marciapiedi, assesta le fondamenta delle case, disegna l’orizzonte malgrado i grattacieli. La metropoli d’Israele è tanto aperta nello spazio, quanto limitata dai confini del tempo. Porta un nome antico come la Bibbia – dove questa «collina della primavera» già compare – ma ha solo un secolo, che per una città è una bazzecola di vita. Così, Tel Aviv si coltiva il proprio tempo passato confondendolo nei tanti, quasi infiniti colori del presente.
Come ogni città che si rispetti, anche lei contiene mille volti diversi, colori che si avvicendano. È una città molto multietnica, anche se dopo duemila anni è nata come la prima, vera città ebraica del ritorno. Basta un giro al mercato del Carmel, per sentire la sua varietà – di sapori e profumi e lingue e tessuti diversi di quel passato che gli ebrei hanno portato con sé dalla Diaspora. Anche alla Beit ba-Namal, la «casa del porto» il primo impatto del visitatore è quello con l’infinita diversità che Tel Aviv porta dentro di sé. Il corridoio di questo ex hangar è tappezzato di volti di donne, con per didascalia la loro storia. Sono tutte vive, presenti, e abitano qui: sono bionde, brune, rosse, more.
Il porto di Tel Aviv ha una storia corta e travagliata: come riparo per le navi funzionò ben poco – non ha neanche un abbozzo di insenatura. Servì, all’indomani della risoluzione Onu che nel 1947 sanciva la nascita d’Israele, da approdo per i profughi dell’Europa. Poi è stato smantellato, e solo di recente, dopo un deciso restauro, è diventato un luogo d’evasione, di ristorazione, una passeggiata a mare fine a se stessa. Siamo a Nord della città. All’estremo Nord del porto, c’è questo posto, che si chiama Beit ba-Namal, ma che è soprattutto una casa delle donne. C’è una grande boutique di tendenza, con creazioni dell’inventiva locale in fatto di moda. C’è un ottimo ristorante, gestito e comandato da donne, che si chiama «Comme il faut» e dove l’humus, la crema di ceci, si sposa ai moscardini (non propriamente kasher), con un tocco di curry qua e uno di pesto là. Ci sono botteghe varie. C’è un’esposizione permanente di foto e storie di donne telaviviane, ebree e arabe e cristiane e induiste e poi filippine che lavorano qui e chissà quali altre appartenenze. C’è anche e persino un sex shop solo per le donne, con articoli al femminile, gusti femminili e non poca dose di autoironia.
È, la casa del porto, un posto discreto della città, acquattato lassù, trendy ma non troppo. Spiritoso come solo le donne sanno essere, sempre che lo vogliano. Assomiglia anche molto alla città, questo posto: è trasgressivo ma anche simpatico. Accogliente eppure un poco spaesante. Davanti alla casa del porto, o delle donne che dir si voglia, c’è sempre lui, il mare di Tel Aviv, che disegna l’unico confine della città, la accompagna nelle lunghe giornate estive e, in quelle più malmostose del breve inverno, ogni tanto scherza con il molo che un’onda un po’ anomala spruzza di salmastro.

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