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L'Opinione Rassegna Stampa
23.05.2009 Iran, chiunque vinca obbedirà a Khamenei
L'analisi di Stefano Magni

Testata: L'Opinione
Data: 23 maggio 2009
Pagina: 6
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Iran, chiunque vinca obbedirà a Khamenei»

Iran, chiunque vinca obbedirà a Khamenei

 

di Stefano Magni

 

 

 

Le elezioni iraniane che si terranno nel prossimo giugno sono ormai pronte. Il 16 maggio, il Consiglio dei Guardiani iraniano ha selezionato i candidati idonei, il 20 maggio ha stabilito i quattro candidati che correranno per la presidenza. E’ una competizione che sta attirando sempre più attenzione da parte del pubblico occidentale. L’amministrazione Obama, negli Stati Uniti, condurrà la sua nuova politica della “mano tesa” con il presidente che si insedierà a Teheran questa estate. Il think tank American Enterprise Institute, di tendenza repubblicana, ha dedicato una sua intera sezione al prossimo scrutinio persiano. In Israele i media sono concentrati ancor di più sugli eventi del grande Paese del Golfo: per gli israeliani lo sviluppo del programma atomico iraniano è una questione letteralmente esistenziale. Anche in Italia, l’attenzione per la Repubblica Islamica è molto cresciuta, non solo perché il nostro Paese è il principale partner commerciale europeo di Teheran, ma anche perché il governo Berlusconi conta sul ruolo iraniano per la stabilizzazione della regione Pakistan-Afghanistan: era quello l’argomento che doveva essere al centro della visita, poi annullata, del ministro Franco Frattini. Sul fronte politico-culturale, la rivista Charta Minuta della Fondazione Fare Futuro (presieduta da Gianfranco Fini) uscirà i primi di giugno con un numero interamente dedicato al futuro dell’Iran.

 

Il motivo di tanto interesse è sotto gli occhi di tutti: Mahmoud Ahmadinejad ha impressionato il mondo intero con le sue dichiarazioni. Il messaggio del presidente è niente meno che: rivoluzionare l’assetto internazionale, mettendo in discussione dalla A alla Z quello creato nel 1945 dalle potenze vincitrici della II Guerra Mondiale. Ahmadinejad, non solo mira alla distruzione di Israele, ma alla riforma dell’Onu per far entrare nelle stanze dei bottoni anche dittature in via di sviluppo, all’apertura del club nucleare a nuove potenze (fra cui l’Iran, secondo il suo auspicio), alla sostanziale trasformazione dell’attuale diritto internazionale con l’introduzione di diritti e doveri islamici. Negli ultimi quattro anni, insomma, la Repubblica Islamica ha ripreso quello “slancio rivoluzionario” degli anni ‘80, che pareva sepolto negli anni delle tentate (e mancate) riforme del presidente Mohammad Khatami, ponendosi di nuovo come antagonista delle democrazie. Con queste prossime elezioni, la maggioranza degli osservatori occidentali auspica che si ritorni al riformismo di Khatami (che non si candida, ma sostiene l’ex premier Mir Hossein Moussavi), ma teme che prosegua il massimalismo di Ahmadinejad.

 

Un nuovo paper di Ali Alfoneh pubblicato dalla American Enterprise Institute, tuttavia, può avere l’effetto di una doccia fredda per quanti si aspettano grandi cambiamenti (in meglio o in peggio) dalle prossime elezioni. I presidenti riformatori e quelli rivoluzionari possono alternarsi quanto vogliono, ma il potere reale (e la linea di politica estera e militare) resta saldamente nelle mani della “guida suprema”, non elettiva: l’ayatollah Ali Khamenei. Addentrandoci nella costituzione e nei meccanismi elettorali iraniani, possiamo vedere quanta poca scelta abbiano gli elettori comuni. Di fatto è il Consiglio dei Guardiani (organo, anche questo, non elettivo) a decidere i possibili vincitori. L’articolo 115 della Costituzione fissa i paletti per le candidature: “Una persona politica e religiosa dotata delle seguenti qualifiche: origine iraniana, nazionalità iraniana, capacità amministrativa, una carriera di prestigio, affidabilità e compassione, fedeltà ai principi fondamentali della Repubblica Islamica, osservanza della religione ufficiale del Paese (musulmana sciita, ndr)”. I criteri di selezione sono applicati in modo rigidissimo dal Consiglio: su 3272 candidati, il 16 maggio ne sono stati selezionati 476, fra i quali potranno correre per la presidenza solo 4 persone: il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, Mehdi Karroubi (figura di spicco della rivoluzione khomeinista), Mohsen Rezai (ex guardia del corpo di Khomeini e un passato di Guardia Rivoluzionaria) e Mir Hossein Moussavi. Che ora è il candidato “moderato”, ma quando era primo ministro ai tempi di Khomeini, propose anche un embargo petrolifero totale contro l’Occidente. In Iran, dunque, non potranno mai candidarsi degli “outsider” del regime, né cittadini appartenenti a minoranze etniche e religiose, ma soprattutto verranno sempre sfavoriti i candidati che non hanno compiuto un determinato percorso politico, che parte dalla militanza rivoluzionaria khomeinista ai tempi dello scià e attraversa varie istituzioni politiche e religiose del regime. Anche una volta eletto, il nuovo presidente dovrà comunque sempre obbedire all’autorità superiore dell’ayatollah Khamenei (articolo 113 della Costituzione), per cui dovrà limitarsi ad un ruolo di amministratore/portavoce. Se Khatami si presentava, alla fine degli anni ‘90, come un riformatore, era perché questo atteggiamento, allora, rientrava negli interessi della leadership religiosa. Dal 2005, invece, Ahmadinejad rispondeva meglio alle esigenze di un regime che si sentiva più forte. Non c’è una vera alternanza, dunque, in un sistema che mira soprattutto a preservare se stesso: il vincitore è sempre e comunque l’ayatollah Khamenei.

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