Aiuti americani solo dopo le elezioni, e festa gay all'ambasciata a Bagdad Libano e Iraq, realpolitik e modernità lontana
Testata: La Repubblica Data: 23 maggio 2009 Pagina: 17 Autore: Alberto Stabile-Francesca Caferri Titolo: «Beirut, la sfida di Biden a Hezbollah-Festa gay all'ambasciata americana, ma per gli sciiti è un oltraggio»
Sotto la testatina " La crisi in Medio oriente", la REPUBBLICA di oggi, 23/05/2009, a pag.17, ospita due articoli che riprendiamo. Il primo, sugli aiuti americani al Libano, che arriveranno solo dopo che si saprà come sono andate le elezioni (7 giugno). Il secondo, ci mostra chiaramente quale sia il livello della modernità in Iraq. Eccoli:
Alberto Stabile: " Beirut, la sfida di Biden a Hezbollah "
GERUSALEMME - «Non sono venuto a sostenere alcun partito», dice candidamente il vice di Obama, Joe Biden, appena arrivato in una Beirut immersa nell´atmosfera paranoica e incandescente dello scontro elettorale. Ma poi lascia cadere dall´alto un avvertimento chiarissimo: «Gli Stati Uniti valuteranno la forma del loro programma di aiuti (al Libano) sulla base della composizione del nuovo governo e delle politiche proposte». Il che ha spinto gli Hezbollah a denunciare la visita del vicepresidente americano come una «aperta ingerenza» negli affari libanesi. Per gli amanti delle statistiche, pare che un così alto esponente dell´amministrazione non mettesse piede in Libano da più di 25 anni. Ma non occorre spulciare negli annali per cercare la prova del rinnovato interesse americano verso il Libano e, in generale, verso questa parte del mondo. Il viaggio di Biden, infatti, segue, ad appena un mese di distanza, la visita del Segretario di Stato, Hillary Clinton. Ma adesso mancano soltanto due settimane alle elezioni del 7 Giugno. Anche se la campagna elettorale non ha finora riservato colpi di teatro, né drammatici, né spettacolari, s´avverte l´importanza della posta in gioco. Riuscirà l´Hezbollah, emanazione della gerarchia sciita iraniana e, di conseguenza, alleato della Siria, grande nemico d´Israele e, di conseguenza, avverso agli Stati Uniti, riuscirà il partito di Dio con i suoi alleati a vincere le elezioni e a strappare la maggioranza dei seggi alla coalizione antisiriana e filo americana, che in questi quattro anni, dall´uccisione di Rafik Hariri (14 Febbraio 2005) in poi ha cercato, tra mille difficoltà, di governare il paese? Ora, che un´eventuale vittoria dello schieramento cosiddetto dell´8 Marzo capeggiato dagli Hezbollah, con un alleato di scorta come il Generale Michele Aoun, rappresenti per l´amministrazione americana un´ipotesi malaugurata, traspare dalle stesse parole di Biden: «Esorto coloro che pensano di stare accanto ai distruttori della pace a non perdere l´occasione di allontanarsi», ha detto. Anche se Obama ha deciso di tendere la mano del dialogo all´Iran e di verificare concretamente la possibilità di concludere il lungo periodo di gelo con la Siria, la scelta, per quanto riguarda il Libano è di sostenere la sovranità della piccola repubblica libanese anche con adeguati aiuti militari. Biden ha così scelto di incontrare interlocutori istituzionali: il presidente Suleiman, un presidente «di consenso», eletto con l´accordo di tutti ma del quale gli Hezbollah cominciano a diffidare; il premier Sinora, che, anche se dovesse vincere l´attuale maggioranza, la coalizione del 14 Marzo, guidata dal figlio di Rafik Hariri, Saad, non sarà più della partita; il presidente del parlamento, l´inossidabile Nabi Berry. Ai quali ha promesso l´appoggio americano ad un Libano «indipendente e sovrano». Un Libano che tuttavia sembra dominato da agende diverse e contrastanti. Ieri, per citare l´ultimo caso, gli Hezbollah hanno denunciato le prossime manovre israeliane del cosiddetto Fronte interno (le manovre civili in caso di guerra) come la prova che Israele voglia uccidere il loro leader Hassan Nasrallah, ed in vista dell´eliminazione di Nasrallah, si prepari a fronteggiare la reazione che inevitabilmente seguirà al delitto. Sinora ha detto, invece, di aver ricevuto assicurazioni dalle forze di pace dislocate nel sud del Libano (Unifil) che le manovre israeliane sono a scopo difensivo.
Francesca Caferri: " Festa gay all'ambasciata americana, ma per gli sciiti è un oltraggio"
L´invito è chiaro: «Venite a celebrare l´inizio dell´estate con colore. E in costume. Vestiti da drag queen o da icona gay. Appuntamento venerdì 29 maggio, a partire dalle otto di sera». Una festa di inizio estate come le altre, se non fosse per la location: Baghdaddy´s, ovvero l´area ricreativa all´interno dell´ambasciata americana di Bagdad. L´invito per la festa che ha come tema il mondo omosessuale, che punta a far divertire gli annoiati dipendenti americani, gay o etero, ma anche a ridere e a sorridere sulle icone gay - un lungo elenco è stampato sul volantino: da Madonna, a Elton John passando per Cher, Ivana Trump e Boy George - è partito nei giorni scorsi da un gruppo di impiegati dell´ambasciata americana a Bagdad ed è approdato, via e-mail, sul tavolo di Al Kamen, columnist del Washington Post che ieri lo ha rilanciato sul suo blog. Da lì la notizia è rimbalzata sui siti di informazione di mezzo mondo, sollevando non poche perplessità. «È un´iniziativa non ufficiale e riservata solo agli impiegati», spiegava ieri al telefono da Bagdad un funzionario americano. L´imbarazzo nella sua voce era palpabile. E come non capirlo? Se tenere un party a tema gay non è un problema in Europa o negli Stati Uniti, l´idea di una festa simile in un contesto come quello iracheno - dove quasi 650 persone sono state uccise dal 2004 a oggi perché omosessuali, cinque sono state impiccate in carcere solo da marzo a oggi - suona quanto meno offensiva. E come tale è accolta da Ali Hala, portavoce di Iraqi Lgtb, un gruppo che si batte in difesa delle lesbiche e dei gay iracheni: «Se chi ha organizzato questa festa avesse saputo qual è la situazione non si sarebbe mai sognato di fare una cosa simile - spiega al telefono da Londra - l´Iraq è in questo momento il Paese al mondo dove è più pericoloso essere gay. Si può essere uccisi dalle milizie. O messi a morte dalla legge dello stato. Non ci trovo nulla su cui ridere».
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