Il prossimo 2 giugno, alle ore 11 precise del mattino, in Israele suonerà la sirena. Non sarà, lo speriamo, l'annuncio di un pericolo immediato per il paese, ma ne rappresenterà la prova generale. Lo ha annunciato il Ministro sottosegretario alla Difesa Matan Vilna'i il 22 aprile scorso durante una riunione con i responsabili della varie municipalità israeliane, con lo scopo di preparare all'eventualità di una guerra i responsabili della sicurezza,e,insieme a loro, anche i cittadini. Ai quali verrà chiesto di comportarsi come se il colore rosso” (zeva adom) fosse un vero segnale piuttosto che una esercitazione. Corsa nei rifugi, camere sigillate, purtroppo niente che non sia già stato vissuto. I cittadini, che Vilna'i ha chiamato “" fronte interno"”, devono rendersi conto che saranno parte di una prossima guerra, per cui devono prepararsi ad affrontare ogni eventualità. Questa notizia, non priva di una sua drammatica realtà, non è stata colta da quegli analisti di cose mediorientali, in genere sempre attenti a segnalare le “colpe” di Israele. Forse l'hanno giudicata “normale” per un paese che viene classificato “in guerra”, senza però aggiungere mai di quale guerra si tratti, che sia difensiva è evidentemente un aspetto di poca importanza. Gli israeliani, nell’ultima settimana di aprile, che ha visto in sequenza Yom haShoà, Yom haZicharon, e Yom haAzmaut, è trascorsa apparentemente come gli anni passati, è vero che tutti gli occhi erano puntati sui primi passi del nuovo governo, ma la preoccupazione comune poteva apparire legata alla situazione economica piuttosto che ai temi di politica internazionale. Invece sono accaduti alcuni fatti che hanno ampiamente giustificato l'allarme del Ministro della Difesa. Mentre a Israele si continua a richiedere la cessione di "“terra in cambio di pace"”, i partner con i quali la pace dovrebbe essere fatta hanno avanzato richieste che soltanto un governo irresponsabile potrebbe accettare. La Siria chiede la restituzione del Golan, e soltanto dopo sarà disponibile a trattative di pace. Però intanto continua nella sua politica terrorista, ospitando a Damasco i leader di Hamas, proteggendo e favorendo ogni iniziativa terroristica di Hezbollah in Libano. L'Iran, reso più arrogante dalla nuova politica di apertura del governo americano, prosegue la politica degli armamenti nucleari, favorendo manovre che mirano a destabilizzare la regione, come si è visto in Egitto, dove finalmente Mubarak si è reso conto del pericolo che il suo stesso paese corre di fronte alla crescita del potere di Hezbollah. Quanto sta accadendo nel mondo arabo ha rimesso brutalmente sul tappeto una domanda alla quale gli israeliani credevano di avere già dato risposta. L'equazione “terra in cambio di pace” non funziona, se mai ha funzionato. L'esempio di Gaza ha provveduto a far ricredere quell'’opinione pubblica che aveva sperato nella possibilità del progetto statale palestinese. Non solo Hamas, che continua a negare a Israele la legittimità di esistere, e si prepara con l'’aiuto dell'’Iran a nuovi attacchi, ma anche il cosidetto mondo palestinese “moderato”, quello dell’Anp di Abu Mazen, sembra procedere spedito verso un allineamento con le forze più estremiste. E’ l'’unica spiegazione che giustifica il rifiuto, riaffermato in questi giorni dal rais, di riconoscere Israele quale Stato ebraico. Una pre- condizione , senza la quale, “terra in cambio di pace” non è altro che uno slogan che non porta da nessuna parte, come si è visto in questi anni. E’ questo riconoscimento che oggi il governo Netannyahu, con Avigdor Lieberman ministro degli esteri, ha posto quale primo passo, senza il quale non si va oltre. L'’idea dei due stati era un'’ottima idea, peccato che l'’intendesse in questo modo soltanto Israele, con il risultato che la soluzione non è ancora stata trovata. Di più, nelle analisi monche che leggiamo, il fatto che siano stati i governi arabi prima, e i palestinesi dopo, a respingere questa soluzione, è la parte che di solito viene nascosta per impedire che la questione arabo-israeliana venga compresa nei suoi termini corretti. Di sicuro, il coro dei richiedenti dialogo & pace non solo continuerà, ma diventerà persino assordante, con il rischio che ad esso si uniscano governi finora attenti a valutare con equilibrio il pericolo rappresentato dal terrorismo islamico per il monto intero, e non solo per Israele. Purtroppo i segnali che giungono sono preoccupanti, per queste considerazioni Israele si sta preparando ad ogni eventualità. Quel rifiuto arabo, all'’origine di tutte le guerre, dal ’48 ad oggi, continua, mentre i paesi democratici sembrano ipnotizzati nella loro totale mancanza di capacità di rendersi conto di quali tragici avvenimenti stiano per accadere. Pericoli all'’orizzonte, quindi, ma anche un paese, Israele, estremamente unito nella volontà di combattere chi vorrebbe cancellarlo dalle carte geografiche, con i mezzi violenti fin qui proclamati dal fanatismo islamista, ma anche con le proposte del tipo “ uno stato per due popoli”, che è la versione “pacifica” del medesimo annientamento, quello che piace tanto ai vari Spinelli/Romano, e che non mancherà di essere riproposto, ricoperto dalla solita melassa, tutta pace & dialogo, che faremo bene a riconoscere per meglio rimandarla al mittente.