Ieri si è tenuto a Washington l'incontro fra Benyamin Netanyahu e Barack Obama. Non tutti i quotidiani hanno riportato onestamente l'esito della riunione. Alcuni, poi, ne hanno approfittato per fare la solita propaganda antiisraeliana. Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 19/05/2009, a pag. 14, l'articolo di Matteo Buffolo dal titolo " Netanyahu gela Obama: secco no di Israele a uno Stato palestinese ", da LIBERO la breve dal titolo " Israele gela Barack ", dalla REPUBBLICA, a pag. 11, l'articolo di Alberto Flores D'Arcais dal titolo " Palestina, Netanyahu gela Obama " e, a pag. 1-33, l'articolo di Vittorio Zucconi dal titolo " partita a scacchi ", una breve dal SOLE 24 ORE, dall'UNITA', a pag. 24, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo " Scontro Obama-Netanyahu su Stato palestinese e Iran ", dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " 'No ai due Stati'. Netanyahu gela Obama " preceduti dal nostro commento. Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Matteo Buffolo : " Netanyahu gela Obama: secco no di Israele a uno Stato palestinese "
Il titolo è scorretto. Israele non si oppone alla nascita di uno Stato palestinese. Buffolo scrive : " Netanyahu ha preferito parlare di «autogoverno», ma dicendo chiaramente «no ad uno Stato palestinese». ". Attribuire a Netanyahu questo rifiuto per lo Stato palestinese è diventato una costante sui quotidiani italiani. Non ne vediamo il motivo, dal momento che Netanyahu ha dichiarato pubblicamente di volersi impegnare per la costruzione dello Stato palestinese. Ecco l'articolo.
Quando si sono incontrati lo scorso anno, erano tutti sorrisi e l'incontro era scivolato in maniera piacevole. Ma allora, né Benjamin Netanyahu né Barack Obama guidavano i propri Stati e il rilancio dei piani di pace in Medio Oriente non passava quasi esclusivamente per le loro mani. Ieri, alla prima visita ufficiale del premier israeliano alla Casa Bianca, il meeting è stato ugualmente cordiale, ma le posizioni dei due leader non si sono - almeno per ora - incontrate.
I temi più caldi sono due: la cosiddetta «soluzione dei due Stati» e il dossier iraniano. E se la prima cosa che Obama ha detto dopo ore di estenuanti faccia a faccia è stata che «solo con due Stati ci sarà la pace fra i due popoli», Netanyahu ha preferito parlare di «autogoverno», ma dicendo chiaramente «no ad uno Stato palestinese». E se il premier israeliano puntava a fissare un termine temporale per la linea del dialogo con Teheran (tre mesi secondo le indiscrezioni, una scadenza condivisa anche dall'inviato americano per il Medio Oriente Dennis Ross), il Presidente americano ha nicchiato e non ha fissato alcuna data ultima, facendo intendere di puntare forte sul dialogo e su un approccio soft, ma puntando comunque a «risultati entro l'anno». Differenze significative, che non sarà semplice appianare nonostante la relazione che ha sempre legato Washington allo Stato ebraico e di cui nessuno dei due può fare a meno. Sul tavolo, ovviamente, ci sono molte altre questioni, per esempio il futuro degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania; e se proprio ieri è arrivata la notizia di un appalto per la costruzione di una nuova enclave, Obama ha tuonato dicendo che i progetti «devono essere congelati».
Insomma, quella che Netanyahu aveva definito «la missione della sua vita» in un'intervista al quotidiano Maariv non sembra aver portato, almeno nell'immediato, un’intesa con il grande fratello Usa. Lo spazio di manovra del premier israeliano, stretto fra un governo di coalizione eterogeneo e favorevole a una linea dura e la volontà di Obama di imprimere al processo di pace un'accelerazione basata sul dialogo, è limitato e l'incontro sembra aver confermato i timori della stampa di Gerusalemme, scettica sulla possibilità di un accordo.
Nello Studio Ovale Obama ha richiamato alla memoria di Netanyahu gli impegni presi dai precedenti governi, mentre il capo del governo israeliano ha nicchiato. E se per l'ex senatore dell'Illinois la soluzione del problema palestinese è un punto chiave per migliorare i rapporti con il mondo islamico, per il leader del Likud dare pubblicamente il via libera alla formazione di uno Stato palestinese significherebbe sostanzialmente vedere la propria maggioranza sgretolarsi dopo poche settimane. A meno, ovviamente, di non portare a casa qualche sostanziosa contropartita. Ma anche sull'Iran - l'altro grande dossier sul tavolo - le visioni divergono: per Obama arrivare alla sovranità totale per la Palestina smorzerebbe i problemi con Teheran, per «Bibi il falco» invece spingerebbe soltanto Ahmadinejad (o chi gli succederà eventualmente dopo le presidenziali di giugno) a esercitare ancora più pressione attraverso Hezbollah ed Hamas. A meno che, ma gli spiragli sembrano minimi, gli Stati arabi non riconoscano Israele e la sua natura ebraica. «In questo caso - ha detto Netanyahu a margine del meeting - siamo pronti a riprendere i colloqui di pace con i palestinesi». «E questa - gli ha fatto eco Obama - è un'occasione che entrambi dovreste cogliere».
LIBERO - Inaccurata la breve del quotidiano, che dedica al vertice Obama - Netanyahu solo una breve dal titolo " Israele gela Barack". La frase conclusiva, che si riferisce alla proposta di Obama "Due Stati - due popoli " : " Netanyahu ha replicato un duro no, pur rimanendo favorevole a un autogoverno dei palestinesi ". Da un giornale attento alle cose israeliane, ci saremmo aspettati qualcos'altro.
La REPUBBLICA - Alberto Flores D'Arcais : " Palestina, Netanyahu gela Obama "
Il sottotitolo dell'articolo " Solo autogoverno per Israele, ignorata la proposta Usa di "due Stati" ". Anche questa volta REPUBBLICA non ha perso l' occasione di diffondere la sua propaganda antiisraeliana. Netanyahu non è contrario alla nascita dello Stato palestinese ed è preoccupato per il programma nucleare iraniano, minaccia per Israele prima e per il resto del mondo occidentale poi. Come riporta Flores D'Arcais, Netanyahu ha dichiarato : " Voglio dire chiaramente che noi non vogliamo governare i palestinesi; se la sicurezza di Israele verrà garantita e se i palestinesi riconosceranno Israele come Stato Ebraico, credo che potremo individuare un quadro nel quale palestinesi e israeliani vivano fianco a fianco in dignità, sicurezza e pace". Le due condizioni poste dal premier israeliano sono pragmatiche e razionali. Netanyahu ha richiesto per il proprio Stato ciò che qualunque governo richiederebbe per il proprio. Sicurezza e il riconoscimento degli altri Stati. Ecco l'articolo:
new york - Obama è per la soluzione «due Stati», Netanyahu si limita a parlare di «autogoverno dei palestinesi». Non è una differenza da poco e su questo punto, come anche sulla questione del nucleare iraniano («nessun ultimatum», ha detto il presidente Usa, «abbiamo il diritto di difenderci», ha risposto il suo ospite) il vertice alla Casa Bianca tra Obama e il nuovo premier israeliano è stata la dimostrazione di quanto siano ancora distanti le posizioni tra gli Stati Uniti e il suo più fedele alleato in Medio Oriente.
Il colloquio è stato molto più lungo del previsto (oltre due ore) ma al di là delle dichiarazioni finali di rispetto e stima reciproca («lei è un grande leader», ha detto Natanyahu) resta un disaccordo di fondo sull´approccio ai due temi decisivi: pace e Iran. Per cambiare le cose ed anche per evitare che gli incontri della prossima settimana con il leader palestinese Abbas («Incoraggianti le parole di Obama, deludente Netanyahu» ha commentato ieri) e con il presidente egiziano Mubarak diventino pura facciata, la Casa Bianca dovrà, come minimo, lavorare ancora molto.
Da Netanyahu, Obama ha ottenuto il sì ad «immediati» colloqui di pace tra israeliani e palestinesi ma le condizioni dettate dal premier israeliano rendono l´ipotesi poco probabile. «Credo che sia nell´interesse non solo dei palestinesi, ma anche degli israeliani, degli Stati Uniti e della comunità internazionale arrivare ad una soluzione che preveda due Stati, dobbiamo rimboccarci le maniche ed essere un partner-chiave nel processo di pace», ha sostenuto il presidente Usa secondo una linea che era anche quella dell´amministrazione Bush e (in parte) del precedente governo di Gerusalemme. D´accordo, risponde il premier israeliano, a patto che i palestinesi riconoscano il diritto di Israele ad esistere in quanto «Stato ebraico»: «Voglio dire chiaramente che noi non vogliamo governare i palestinesi; se la sicurezza di Israele verrà garantita e se i palestinesi riconosceranno Israele come Stato Ebraico, credo che potremo individuare un quadro nel quale palestinesi e israeliani vivano fianco a fianco in dignità, sicurezza e pace».
Obama ha chiesto a Netanyahu di capitalizzare la «storica opportunità» che oggi viene offerta alle parti in conflitto, ha confermato che Gerusalemme deve «bloccare» gli insediamenti, che «i problemi umanitari a Gaza devono essere affrontati», che «Israele dovrà prendere alcune decisioni difficili». Ma su questi punti non ha ottenuto in realtà alcuna risposta.
Più che la questione palestinese a Natanyahu il vertice alla Casa Bianca interessava per via dell´Iran ed è su questo punto che il premier israeliano ha insistito sia nel lungo faccia a faccia, sia nel più breve incontro con i giornalisti. Il presidente americano ha definito l´Iran «una paese dal grande potenziale» ed ha escluso (cosa che chiedeva invece Gerusalemme) un ultimatum nei confronti del regime degli ayatollah. Gli Stati Uniti intendono (per il momento) proseguire la strada del dialogo, una scelta che sarà però «condizionata» ai risultati: «Non voglio stabilire scadenze artificiali, ma voglio ottenere progressi entro la fine dell´anno». Per la Casa Bianca sul tavolo restano aperte «tutte le opzioni», compresa quella di «inasprire le sanzioni».
Non è esattamente quanto voleva ottenere Netanyahu, giunto a Washington con la speranza di convincere Obama a minacciare un ultimatum all´Iran di tre-sei mesi. Il «tempo corre» ha detto al presidente degli Stati Uniti, occorre «interrompere al più presto» il programma nucleare iraniano. Il premier israeliano ha ricordato come l´Iran chieda «la nostra distruzione» e si è detto «incoraggiato dalle parole di Obama («Se l´Iran ottenesse l´arma atomica sarebbe una minaccia non solo per Israele e per gli Stati Uniti ma anche per tutto il mondo»). Se però la diplomazia della Casa Bianca non dovesse ottenere alcun risultato Israele è pronto «a difendersi da solo».
Nei prossimi mesi vedremo se (e come) il presidente americano sarà in grado di ottenere gli appoggi necessari, in primo luogo dal mondo arabo, per convincere Natanyahu a un impegno preciso sulla pace. La Casa Bianca ha tentato di legare in modo diretto il dialogo tra israeliani e palestinesi alla questione Iran, ma Netanyahu ha voluto precisare che i due punti sono solo «indirettamente» legati. Del resto sa che anche per gli Stati Uniti, già alle prese con la guerra in Afghanistan e la crisi in Pakistan, il nucleare iraniano conta oggi più del futuro dei palestinesi. E che (stando ad un sondaggio del quotidiano Yediot Ahronot) solo il 31% degli israeliani guarda con simpatia Obama e lo ritiene un leader amico d´Israele.
La REPUBBLICA - Vittorio Zucconi : " Partita a scacchi "
Zucconi conclude il suo articolo scrivendo : " I pessimisti, o gli ottimisti non sofferenti di amnesia, continuano invece a porsi la domanda contro la quale si sono infrante in 60 anni tutte le speranze di soluzione giusta e definitiva in Medio Oriente: chi ha davvero interesse a fare la pace, oltre a coloro che, nel ghetto di Gaza o nello spezzatino della Cisgordiana, sono quelli che contano di meno, nella ricca partita della guerra? ". Gaza, quindi, sarebbe un ghetto, la Cisgiordania uno "spezzatino" per colpa dei "coloni" e i palestinesi gli unici ad avere un vero interesse al raggiungimento della pace. Sul fatto che Hamas non sia interessata alla pace è risaputo. Il testo del suo statuto, il continuo lancio di razzi contro la popolazione israeliana ne sono una prova. Troviamo ridicola, poi, la tesi secondo la quale Israele non sarebbe interessato alla pace. Per quale motivo? Per inglobare qualche altro pezzetto di terra? Perchè la guerra piace agli ebrei israeliani? Ritenere che la situazione attuale sia favorevole a Israele ha dell'incredibile. Gli israeliani vogliono la pace. Chi non la desidera sono i terroristi palestinesi e i Paesi islamici che li finanziano. Come è dimostrato dal rifiuto arabo sino ad oggi di uno stato palestinese che si proponga di essere pacifico e che riconosca Israele. Ecco l'articolo:
Il Medio Oriente, e Israele, «sono di fronte a una storica occasione di pace», dice Barack Okama a Benjamin Netanyahu nel loro primo incontro da capi di governo alla Casa Bianca.
Tradotto dal «diplomatese», la lingua delle menzogne e degli eufemismi diplomatici, la frase significa che questo, avviato a spinta da Obama, sarà l´utimo treno della notte, prima che ogni ipotesi di pace svanisca per generazioni in nuovi bagni di sangue ebreo e arabo.
Se è certamente sempre più facile pensare e invocare la pace stando a novemila e 400 chilometri da Gerusalemme o da Gaza, piuttosto che sotto la pioggia dei razzi di Hamas o sotto la quotidiana moltiplicazione di insediamenti ebraici illegali, questo primo assaggio di una tragedia continua ha avuto, per Obama, il sapore della disperazione.
La risposta di Netanyahu, divenuto primo ministro dopo una campagna elettorale condotta nell´avversione radicale alla tesi dei «due popoli, due Stati» è stata prevedibile, si potrebbe dire rituale per chi non poteva certo rinnegare la propria piattaforma elettorale e le tesi del suo principale alleato, quel ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha pubblicamente annunciato il «cambiamento di rotta» e la rinuncia agli accordi raggiunti ad Annapolis nel 2007. Fu al termine di quell´incontro di due anni or sono, sponsorizzato da George Bush e guidato da Condoleezza Rice, contro lo scetticismo dei paese arabi, che tutte le parti riconobbero finalmente «Israele come la patria del popolo ebraico» e il governo israeliano di Olmert accettò formalmente la
soluzione dei «due Stati». Quella che ieri Netanyahu ha rifiutato di sottoscrivere, giustificandosi con la mancata ratifica da parte della Knesset, del parlamento di Gerusalemme.
Dal «ground zero», dal cratere aperto dal doppio fallimento della opzione militare voluta da Bush e dai suoi teorici del cambio di regime in Iraq che avrebbe dovuto produrre un effetto virtuoso a cascata anche in Palestina e poi dalla violenta rappresaglia israeliana contro gli attacchi di Hamas, a Gaza nella operazione «Piombo Fuso», cerca di ripartire Barack Obama nella speranza, per molti ingenua, che la sua mediazione, la forza del suo carisma, il senso di una nuova stagione americana possano smuovere il macigno contro il quale si sono infrante tutte le presidenze americane. Per lui, che crede nella forza risolutiva del dialogo e della affabulazione, che ha fatto della mistica del «tavolo», come si direbbe nel gergo italiano, la pietra filosofale del proprio messaggio, il Medio Oriente rappresenta insieme la possibilità del successo più sensazionale come quella del fallimento più, appunto, «storico».
Per questo, dopo l´iniziale e scontato, arroccamento di «Bibi il Duro», idolo indiscusso dei falchi nella comunità israelita americana che tanto condiziona i governi, riceverà nei prossimi giorni il presidente egiziano Hosni Mubarak, il leader egiziano e il presidente di quella che ormai è la «mezza Palestina» tagliata in due da Hamas a Gaza e sminuzzata quotidianamente da quei villaggi fortificati israeliani che anche ieri, mentre «Bibi» era nello Studio Ovale, hanno visto l´apertura di un altro cantiere nella presunta Palestina al posto di un campo militare, secondo un progetto già approvato nel 2008.
La speranza di Obama, la stessa che già era stata espressa con il primo governo Netanyahu fra il 96 e il ´99 è che questi atteggiamenti di chiusura e di sfida all´opinione pubblica internazionale e allo stesso governo americano che considera quest´ultimo, come molti altri, «insediamenti illegali», siano pedine di scambio. Che siano mosse fatte per coprire agli occhi della destra israeliana più intransigente come quella rappresentata da Lieberman il ritorno a quella «road map» mappa stradale verso la pace che Israele dice di voler rispettare. Gli ottimisti ricordano che è un classico della politica questo gioco di copertura ideologica fatto per coprire scelte razionali, come lo fu per il Nixon feroce anticomunista che riconobbe la Cina o per il Reagan predicatore contro l´Impero del Male sovietico, poi divenuto il cordiale interlocutore dell´ultimo imperatore rosso, Mikhail Gorbaciov. I pessimisti, o gli ottimisti non sofferenti di amnesia, continuano invece a porsi la domanda contro la quale si sono infrante in 60 anni tutte le speranze di soluzione giusta e definitiva in Medio Oriente: chi ha davvero interesse a fare la pace, oltre a coloro che, nel ghetto di Gaza o nello spezzatino della Cisgordiana, sono quelli che contano di meno, nella ricca partita della guerra?
Il SOLE 24 ORE - L'articolo di Mario Platero dal titolo " Israele a Obama, no ai due Stati " è fortemente contrario a Netanyahu e lo accusa di non volere la fondazione dello Stato palestinese. Non è ben chiaro in base quali elementi Platero possa scrivere questo nel suo articolo, dal momento che Netanyahu ha dichiarato esplicitamente nel suo discorso all'AIPAC che si sarebbe impegnato per la nascita dallo Stato palestinese. E' ovvio che Israele pone delle condizioni dettate dalla necessità della propria sicurezza, ma sembra che ai giornalisti italiani la richieste fatte da Netanyahu siano prive di interesse. Sicurezza e riconoscimento di Israele come Stato ebraico, su questi due temi, zitti e mosca.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Scontro Obama-Netanyahu su Stato palestinese e Iran ".
Udg scrive " «due Stati per due popoli». Un principio che Netanyahu non fa suo. Per il premier israeliano l’orizzonte a cui guardare contempla un autogoverno dei palestinesi da esercitare in uno spazio politico e territoriale che non può definirsi «Stato». Il pressing diplomatico per evitare che il vertice si concludesse con un clamoroso fallimento, porta Netanyahu a dichiarare di essere pronto a iniziare immediatamente colloqui di pace con i palestinesi a patto che riconoscano Israele come Stato ebraico. ". Netanyahu non si è mai dichiarato contrario alla fondazione dello Stato palestinese. Non è stato, perciò il " pressing diplomatico" a imporgli di dichiarare di essere pronto a iniziare i colloqui di pace con i palestinesi. Nel suo discorso all'AIPAC, Netanyahu ha affermato di voler raggiungere la pace con i palestinesi. Trattandosi di negoziati, è ovvio che anche Israele si aspetti qualcosa in cambio: la cessazione degli attacchi terroristici palestinesi e il suo riconoscimento come Stato ebraico. Anche Udg, come suo solito, non ne fa cenno. Ecco l'articolo:
Oltre il gelo. Una «quasi rottura». Dallo Stato palestinese al blocco degli insediamenti, dalla strategia negoziale con l’Iran, al rispetto degli impegni fin qui sottoscritti, a cominciare dalla Road Map (il tracciato di pace messo a punto dal Quartetto per il Medio Oriente). Barack Obama e Benyamin «Bibi» Netanyahu parlano due «lingue» diverse. Opposte. Un momento della verità. Un momento drammatico. Questo è stato l’incontro alla Casa Bianca fra il presidente Usa e il premier israeliano. Un incontro, protrattosi una mezz’ora in più del previsto, che segna un passaggio cruciale nelle relazioni fra gli Stati Uniti e Israele. Non c’è spazio per formalismi e dichiarazioni fumose. Obama mantiene il punto su tutte le questioni cruciali legate al Medio Oriente e a quella pace possibile che, rimarca il presidente Usa, per Washington non può che fondarsi sul principio di «due Stati per due popoli».
Un principio che Netanyahu non fa suo. Per il premier israeliano l’orizzonte a cui guardare contempla un autogoverno dei palestinesi da esercitare in uno spazio politico e territoriale che non può definirsi «Stato». Il pressing diplomatico per evitare che il vertice si concludesse con un clamoroso fallimento, porta Netanyahu a dichiarare di essere pronto a iniziare immediatamente colloqui di pace con i palestinesi a patto che riconoscano Israele come Stato ebraico. Una richiesta che la dirigenza palestinese reputa strumentale. Obama accoglie l’«apertura» di Netanyahu chiedendo ad Israele «di fermare gli insediamenti dei coloni» e ribadendo che «i problemi umanitari a Gaza devono essere affrontati». Gli insediamenti. Altro tema cruciale. Il presidente Usa ricorda al suo interlocutore che se Israele vuole rispettare gli impegni assunti con la Road Map deve bloccare la creazione di nuovi insediamenti. I toni concilianti non mascherano le divergenze sostanziali. Sul dossier palestinese come su quello, non meno cruciale, iraniano. Al premier israeliano, il presidente Usa ha detto di non voler fissare scadenze artificiali per quanto riguarda i tentativi di dialogo con l’Iran. Obama ha comunque aggiunto che gli Stati Uniti gradirebbero vedere alcuni progressi nel loro dialogo con Teheran «entro la fine dell’anno». Tempi «biblici» per Bibi. L’esito del faccia a faccia dà conto delle aspettative e dei timori della vigilia.
«Sarà la missione della mia vita»: con queste enfatiche parole, secondo il quotidiano Maariv, il premier israeliano Benyamin Netanyahu aveva spiegato ai suoi collaboratori il significato dell'incontro odierno con Obama.
«La questione dell’Iran sarà al primo punto della sua agenda. Anche al secondo. E anche al terzo», aveva previsto un analista al seguito del premier israeliano. Il senso di apprensione di Netanyahu di fronte ai progetti nucleari di Teheran viene espresso da un giornale vicino al Likud, Israel ha-Yom, con un titolo a tutta pagina: «L'Iran è come Amalecco», un popolo antico che secondo la Bibbia incalzò gli ebrei dopo la fuga dall'Egitto e che rappresenta nell’ebraismo una ricorrente incarnazione del male. Parla di autogoverno, Netanyahu, si dice pronto a riprendere «da subito» i negoziati di pace. Ma è una disponibilità blindata. Che sottrae più che aggiungere. Da Ramallah giungono in nottata le prime reazioni. Il nuovo appello alla creazione di uno Stato palestinese da parte del presidente americano è «incoraggiante», mentre le dichiarazioni del premier israeliano Benyamin Netanyahu sono «deludenti». Così l'Autorità nazionale palestinese (Anp) giudica l’incontro tra i due leader a Washington. «Le dichiarazioni di Obama - afferma Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) - favorevoli a una soluzione a due Stati sono incoraggianti, ma quelle di Netanyahu che ha ignorato tale prospettiva, negando i diritti legittimi dei palestinesi, sono deludenti». Di segno opposto le considerazioni di un esponente del Likud vicini al premier: il deputato Ophir Akunis: «A Washington - dice - Netanyahu non si è impegnato a favore della creazione di uno Stato palestinese che che rischia di diventare un Hamastan. Su questo - aggiunge - non vi può essere alcun cedimento». Neanche se a chiederlo è il presidente Usa.
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " 'No ai due Stati'. Netanyahu gela Obama "
Il titolo è scorretto. Netanyahu non ha dichiarato di essere contrario allo Stato palestinese. Nell'articolo si legge che Netanyahu "farà di tutto per impedire la nascita dello Stato palestinese ". A Giorgio e al MANIFESTO non importa fornire notizie ai lettori, ma influenzare la loro opinione, anche a costo di distorcere la realtà e, come in questo caso, attribuire parole mai dette. Abbiamo voluto concludere questa carrellata con il MANIFESTO per sottolineare l'escalation della disinformazione, dalla più banale a quella totale, che non poteva appartenere ad altri se non al quotidiano comunista. Ecco l'articolo
Fair play e sorrisi durante la conferenza stampa di Benyamin Netanyahu e Barack Obama alla Casa Bianca, ma tra una dichiarazione di amicizia e l’altra, ieri il presidente americano ha chiarito che, per gli Stati Uniti, la fine del conflitto israelo- palestinese passa obbligatoriamente per la soluzione due «due Stati », quindi per la creazione dello Stato palestinese indipendente che il premier israeliano farà di tutto per impedire. Non solo, Obama ha anche detto di non voler fissare scadenze artificiali – cioè ultimatum - per quanto riguarda il dialogo con l’Iran e ha aggiunto che gliUsa gradirebbero vedere progressi con Teheran «entro la fine dell’anno». «Non c’è bisogno di una scadenza artificiale», ha precisato, aggiungendo di non escludere l’adozione di «alcune manovre» nei confronti dell’Iran e il possibile utilizzo di sanzioni ancora più dure. Il presidente americano ha perciò respinto la proposta fatta da Netanyahu – annunciata ieri dal suo consigliere ed ex ambasciatore a Washington, Zalman Shoval - di intimare a Tehran una scadenza «di pochissimi mesi» per interrompere l’arricchimento dell’uranio. Netanyahu da parte sua hamanovrato nella situazione, ha cercato di guadagnare tempo. Per evitare qualsiasi polemica si è proposto come un sincero pacifista, che non aspetta altro che di poter negoziare con i leader palestinesi.Manon ha mai nominato lo Stato palestinese indipendente, limitandosi ad affermare che «i palestinesi devono potersi autogovernare ». Poi ha calato l’asso: (se vogliono essere liberi, ndr) i palestinesi devono riconoscere Israele come Stato ebraico. Una richiesta non posta alla Giordania e all’Egitto prima firma del trattato di pace, comunque già respinta dal presidente dell’Anp Abu Mazenma che, se ribadita, potrebbe bloccare tutto. Riconoscere come Stato ebraico Israele, per i palestinesi significherebbe, di fatto, rinunciare alla applicazione della risoluzione 194 dell’Onu che sancisce il diritto dei profughi della guerra del 1948 (circa 4milioni sparsi nelmondo arabo) a tornare alle città e villaggi, oggi in territorio israeliano, che abbandonarono o furono costretti a lasciare. E proprio nel giorno dell’incontro alla Casa Bianca, mentre Obama chiedeva lo stop della colonizzazione dei Territori occupati, i settler israeliani hanno abilmente rivelato alla stampa il progetto di costruzione di un nuovo insediamento ebraico nella Cisgiordania occupata, per mettere in chiaro che la contrarietà di Obama alla colonizzazione non avrà effetti con Netanyahu al potere. La colonia che verrà costruita si chiama Maskiot, nel punto della Valle del Giordano dove nel 1982 venne costruito un piccolo campo militare. Un gruppo di imprenditori edili ha già fatto uno studio di valutazione del sito in vista della costruzione delle infrastrutture necessarie per venti case. Non si tratta di una semplice indiscrezione, lo dice anche il capo del consiglio regionale degli insediamenti colonici della Valle del Giordano, David Elhayani, che ha confermato che è in corso una gara d’appalto per la realizzazione del progetto e aggiunto che i lavori cominceranno nel giro di qualche mese. Il progetto di Maskiot era stato concepito tre anni fa per alloggiare coloni evacuati dalla Striscia di Gaza, ma fu congelato nel 2007 in seguito a pressioni americane e internazionali. Non è finita, perché sono previsti lavori anche per l’espansione dell’insediamento di Nokdim, dove vive l’ultranazionalista ministro degli esteri, Avigdor Lieberman. È da sottolineare che a sbloccare il progetto è stato lo scorso anno il ministro della difesa e leader laburista Ehud Barak, poi riconfermato nell’incarico da Netanyahu. D’altronde i laburisti sono stati i primi, sin dagli anni successivi all’occupazione nel 1967, a prevedere un controllo permanente israeliano della Valle del Giordano, anche nell’ipotesi di un accordo con i palestinesi. Nabil Abu Rudeina, consigliere del presidente palestinese Abu Mazen, ha definito l’insediamento di Maskiot «una sfida» a Barack Obama e ribadito che i palestinesi non torneranno al tavolo dei negoziati di pace con Israele fino a quando continuerà la costruzione di insediamenti colonici. Una posizione però smentita dalle rivelazioni fatte ieri dai giornali locali, su contatti segreti in corso tra il governo di destra israeliano e rappresentanti dell’Anp.
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