Domani vertice Barack Obama - Benyamin Netanyahu Un bilancio sulla politica estera Usa e i pronostici negativi di due cassandre
Testata:Il Giornale - Il Manifesto - Il Sole 24 Ore Autore: Maria Giovanna Maglie - Michele Giorgio - Ugo Tramballi Titolo: «Obama sveglia la sinistra dal sogno - Netanyahu alla prova della 'nuova' politica mediorientale di Obama»
Politica estera di Obama: riportiamo dal GIORNALE di oggi, 17/05/2009, a pag. 1-42, l'editoriale di Maria Giovanna Maglie dal titolo " Obama sveglia la sinistra dal sogno". Dal MANIFESTO , a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Netanyahu alla prova della 'nuova' politica mediorientale di Obama " e una breve dal SOLE 24 ORE preceduti dal nostro commento. Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Maria Giovanna Maglie : " Obama sveglia la sinistra dal sogno "
Dalla durezza delle reazioni dei commentatori liberal, fino a ieri orgogliosi corifei del presidente, ora Cassandre del ritorno del bushismo, dal compiacimento dei conservatori, che si sono cimentati in lodi sincere dell'operato del presidente, dopo mesi di denuncia sullo sbando e i rischi per i soldati all’estero, possiamo agevolmente dedurre che la fase liberal del presidente più liberal mai eletto alla Casa Bianca sia stata abbandonata e per sempre, almeno nei marosi della politica estera. Non è una notizia stupefacente, almeno non per chi conosca i meccanismi politici del sistema americano e i meccanismi mentali dei cittadini americani; mai uno sprovveduto, un velleitario, un comunista, un cretino, tanto meno uno che non pratichi senso della realtà e arte del compromesso, verrebbe eletto a quella carica. Rappresentò eccezione, a mio parere, quello statista tanto mediocre quanto incensato in Europa, che fu ed è Jimmy Carter, e del quale il Paese si sbarazzò rapidamente, dopo l'ignominia della presa dell’Ambasciata Usa a Teheran; ha, per alcuni versi, rappresentato eccezione George Bush junior, l’ultimo presidente repubblicano, che ha scelto una gestione ferma, imperiale, delle sue prerogative, che ha finito il secondo mandato senza più consenso, ma che consenso ha avuto, e a lungo, e che ha dovuto governare, dopo la strage delle Torri Gemelle, due guerre lunghe e faticose. Sono le stesse guerre alle quali Barack Obama è facilmente sfuggito durante la fase felice della campagna e delle promesse elettorali, perfino dell’enunciazione del programma e dei primi giorni di insediamento, ma che lo hanno poi riacchiappato, presentandosi a colui che guida la potenza più grande del mondo per quello che sono: responsabilità tremende, rischi formidabili, compiti di quel Paese. Alla luce cruda della realtà i miti liberal sono destinati a squagliarsi. Così Obama ha dovuto ascoltare il segretario alla Difesa, Bob Gates, repubblicano, e i più importanti generali, tutti nomi famosi anche fuori dai confini degli Stati Uniti: il capo degli Stati Maggiori, Mike Mullen; il comandante di Centcom, David Petreus; l’ex comandante delle truppe in Afghanistan, David McKiernan; il nuovo comandante sul fronte afghano, Stanley McChrystal il comandante in capo nel fronte iracheno, David Odierno. Così il presidente è tornato sui suoi passi e sulle promesse elettorali, quelle critiche feroci alle Commissioni militari, giudicate «incapaci di giudicare correttamente», quello slogan troppo facile, «eight is enough», otto anni sono stati fin troppi, come se con uno scrollone fosse possibile liberarsi dei problemi. Ha vietato di pubblicare le foto dei prigionieri iracheni torturati da militari statunitensi, ha comunicato che restano in attività i tribunali speciali istituiti per giudicare i detenuti di Guantanamo, sia pur con la onestamente vaga promessa di alcuni diritti di difesa in più garantiti agli imputati. Ha lasciato circolare liberamente la voce che carceri e tribunali potrebbero trasferirsi sul territorio americano, non più in basi estere. La risposta fornita dalla Casa Bianca ai media liberal furibondi, alle organizzazioni dei diritti umani sdegnate, alla parte più radicale del Partito Democratico, che si è per poche ora sentita egemone anche se fortemente minoritaria, è semplice, e assomiglia vistosamente alle risposte fornite dalle Amministrazioni Bush dal 2001 al 2008: il Paese si deve difendere, i nemici degli Stati Uniti non possono essere lasciati liberi né impuniti. Il presidente ha doveri tremendi e ineludibili. La crisi economica e finanziaria è la peggiore possibile dal crollo del 1929, le guerre in Afghanistan e in Irak continuano, anzi la prima va ripresa e gestita con pugno di ferro. L’Iran ha risposto male alle aperture di credito del presidente, e la liberazione della giornalista Roxana Saberi rappresenta un ben magro trofeo rispetto ai passi che quella dittatura dovrebbe fare per non rappresentare più il pericolo che rappresenta nell’intera regione. Il Pakistan è in guerra civile, e il coinvolgimento americano è quasi inevitabile. A Barack Obama tocca, come già, e spesso con risultati frustranti, è toccato ai suoi predecessori, arrivare al Cairo il 4 giugno con un nuovo, vincente, piano di pace per il Medio Oriente. Come volete che possa cavarsela, e proseguire nel suo mandato finora baciato da consenso e successo mediatico, se non rassicura tanto i militari quanto gli americani? Alla sinistra europea qualcuno dovrebbe spiegare che, proprio come ampiamente prevedibile, il dream è finito subito.
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Netanyahu alla prova della 'nuova' politica mediorientale di Obama "
Giorgio scrive : " È perciò probabile che Netanyahu domani cerchi di rassicurare Obama sulle intenzioni di Israele riguardo le centrali nucleari iraniane - evidenziando allo stesso tempo che diversi leader arabi alleati degli Usa hanno le sue stesse «preoccupazioni» – per puntare ad ottenere dal presidente Usa più tempo per «riconsiderare » il negoziato con i palestinesi ed evitare di doversi proclamare a favore della soluzione dei «due Stati», mettendo in crisi il suo governo di destra.". Netanyahu non è contrario a uno Stato palestinese, ma a uno Stato palestinese che costituisca una minaccia per la sicurezza di Israele. Con i terroristi di Hamas che controllano Gaza e la lotta di potere tra il gruppo integralista e Hamas, questa possibilità è assolutamente reale, e impone prudenza nella conduzione del processo di pace. Netanyahu ha dichiarato, inoltre, di puntare al miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi e al raggiungimento di una pace economica con loro. . Ciò che conta per Giorgio, come sempre, non è la verità, ma la propaganda antisraeliana. Ecco l'articolo:
Cominciamo dalla fine, come suggerisce l’analista di Yediot Ahronot Shimon Shiffer. Strette di mano, sorrisi e dichiarazioni di amicizia e alleanza seguiranno ai colloqui di domani a Washington tra il presidente Usa Barack Obama e il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Tutto secondo il rituale classico degli incontri al vertice israelo-americani. L’esito effettivo dell’incontro invece si conoscerà solo tra qualche settimana, con atti concreti dell’Amministrazione americana. L’incontro di domani senza dubbio è un test anche per l’atteggiamento del presidenteUsa e per la sua, presunta, intenzione di sviluppare una nuova politica americana inMedioriente, più bilanciata (almeno rispetto a quella di George Bush), fondata sul negoziato e non sulla «guerra preventiva». Sino ad oggi però ben poco di concreto è seguito alle dichiarazioni di Obama, anzi il segretario di stato Hillary Clinton è riuscita ad imporre il rinnovo delle sanzioni alla Siria. Ora, in controtendenza, il presidente Usa si prepara a inviare a Damasco il suo inviato speciale, George Mitchell. Detto ciò, non è insignificante che di recente Obama abbia fatto arrivare messaggi dal tono perentorio al premier israeliano. L’ultimo ammoniva Israele dal lanciare un attacco a sorpresa contro l’Iran, con l’evidente l’intento di chiarire, prima dell’arrivo di Netanyahu a Washignton, che questa Amministrazione intende portare avanti il dialogo appena cominciato con Tehran e non vuole essere trascinata all’improvviso in un nuovo conflitto armato in Medioriente (inevitabile in caso di attacco)mentre decine di migliaia di soldati americani sono ancora in Iraq, a due passi dal confine con l’Iran. Più di tutto Obama ha ribadito più volte che la soluzione dei «due stati» coesistenti (Israele e Palestina) rimane per gli Stati uniti l’unica in grado di mettere fine al conflitto. È perciò probabile che Netanyahu domani cerchi di rassicurare Obama sulle intenzioni di Israele riguardo le centrali nucleari iraniane - evidenziando allo stesso tempo che diversi leader arabi alleati degli Usa hanno le sue stesse «preoccupazioni» – per puntare ad ottenere dal presidente Usa più tempo per «riconsiderare » il negoziato con i palestinesi ed evitare di doversi proclamare a favore della soluzione dei «due Stati», mettendo in crisi il suo governo di destra. Secondo Shimon Shiffer durante i colloqui Obama dirà che la creazione di uno Stato palestinese (sovrano?) rimane un pilastro della linea della sua Amministrazione ma, alla fine, darà più tempo al premier israeliano per definire la sua «strategia negoziale». In ogni caso il presidente Usa eviterà di fare dichiarazioni di un certo peso non avendo ancora incontrato il presidente egiziano Mubarak e quello palestinese AbuMazen (li vedrà entrambi a finemese). Gli arabi da parte loro attendono di capire la linea effettiva degli Stati uniti dal discorso che Obama pronuncerà ilmese prossimo in Egitto. Parla di «test» anche il negoziatore palestinese Saeb Erekat. «I colloqui traNetanyahu eObama sono un esame per la volontà degli Stati uniti di mettere fine al loro atteggiamento compiacente verso Israele, trattato come uno stato sopra tutte le leggi», ha detto ieri Erekat commentando la partenza per Washington del primo ministro israeliano, «solo Obama può imporre a Israele di accettare la soluzione dei due Stati e di interrompere la costruzione di insediamenti colonici (nei Territori occupati, ndr).Non vogliamo posizioni vaghe e giochi di pubbliche relazioni». «Un doppio standard degli Usa – ha concluso il negoziatore - verso gli arabi e gli israeliani decreterà la morte del negoziato prima ancora che venga avviato».
Il SOLE 24 ORE - Dedica all'incontro di domani fra Netanyahu e Obama un articolo di Ugo Tramballi sembrerebbe scritto sulla falsariga dell'articolo di Michele Giorgio sopra riportato. Pieno di falsità su Netanyahu e sulle sue intenzioni riguardo lo Stato palestinese. L'incontro fra Netanyahu e Obama avverrà domani, ma Tramballi e Giorgio, grazie alle loro esclusive doti mediatiche, conoscono già l'esito della riunione. Pronosticano un fallimento totale per colpa di Netanyahu che si ostinerebbe a osteggiare la soluzione dei due Stati. Tramballi e Giorgio, troppo presi dalla loro propaganda e dal loro odio per Israele, non vedono i veri responsabili della situazione dei palestinesi, e cioè Hamas e i Paesi arabi. Sempre sul SOLE 24 ORE Tramballi intervista John Kerry sul Medio Oriente. Nell'articolo si legge : "Al World Economic Forum John Kerry lo definisce «un momento speciale»,". Il commento di Tramballi equipara: Hamas a Gaza, Hezbollah a Beirut, Avigdor Lieberman a Gerusalemme, Ahmadinejad a Teheran.". E' inaccettabile paragonare Hamas, Hezbollah e Ahmadinejad a Lieberman. Da una parte abbiamo dei criminali, dall'altra il ministro degli Esteri di uno Stato democratico. Mettere sullo stesso piano dei fondamentalisti islamici e un ministro israeliano laico, oltre che offensivo, è anche assurdo. Invitiamo i lettori a protestare col SOLE 24 ORE per la pubblicazione degli articoli velenosi di Ugo Tramballi.
Per inviare la propria opinione a Giornale, Manifesto e Sole 24 Ore, cliccare sulle e-mail sottostanti