E se avesse ragione Cheney? L'analisi di Christian Rocca
Testata: Il Foglio Data: 15 maggio 2009 Pagina: 5 Autore: Christian Rocca Titolo: «E se lo stronzo avesse ragione?»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/05/2009, a pag. I, l'articolo di Christian Rocca dal titolo " E se lo stronzo avesse ragione? "
E se Dick Cheney avesse ragione?”, l’imbarazzante domanda se l’è posta, sul Washington Post, l’editorialista liberal e di sinistra Richard Cohen. L’ex vicepresidente di George W. Bush, noto per l’estrema riservatezza quando stava al governo, ora è il più loquace difensore dell’Amministrazione Bush in particolare sulle questioni di sicurezza nazionale, ma non solo. Cheney è la faccia feroce del mondo repubblicano, l’unico politico conservatore capace di contrastare autorevolmente le scelte del superpresidente Barack Obama. Il portavoce della Casa Bianca più di una volta ha tentato di liquidare con sufficienza l’influenza dell’ex vicepresidente, uno dei politici meno popolari d’America, e i democratici sembrano essere felici che il volto pubblico dei repubblicani continui a essere quello del vicepresidente di Bush, ma in realtà Cheney sta dominando il dibattito politico di Washington sulla difesa nazionale, perché non perde occasione di ricordare agli americani che le iniziative prese dall’Amministrazione Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre, a cominciare dalle tecniche “intensificate” di interrogatorio per i terroristi, hanno salvato migliaia di vite e garantito la sicurezza degli Stati Uniti. Cheney spiega senza concessioni al perbenismo, in tv e in giro per il paese, che alcune decisioni di Obama, come la pubblicazione dei pareri legali sugli interrogatori della Cia, hanno indebolito le difese dell’America e che se ne seguiranno altre di questo tipo un secondo attacco all’America sarà più probabile. La reazione del mondo politico ed editoriale di sinistra, ma anche di parecchi a destra, è di sgomento: con che coraggio Cheney parla ancora? Dovrebbe tornarsene in Wyoming, è un criminale di guerra, un torturatore, un violatore della Costituzione. Cose così. “E’ uno straordinario stronzo”, ha scritto Joe Klein di Time, sintetizzando l’umore prevalente sui giornali. Cheney però affronta un punto vero, capace di far traballare l’Amministrazione Obama e con l’autorevolezza non solo di chi sa di che cosa sta parlando, ma anche quella di uno che non ha mire politiche. Obama lo sa molto bene. Preoccupato dalla mezza rivoluzione dentro la Cia e dentro l’apparato militare e dalle crescenti critiche di Cheney, il presidente ha cambiato idea su uno dei punti centrali della sua piattaforma politica: secondo le indiscrezioni dei grandi giornali ha deciso di riaffidarsi al sistema delle corti speciali militari di Guantanamo, ideate da Bush, corrette dalla Corte Suprema e approvate dal Congresso, per processare i terroristi, malgrado fino a poche settimane fa avesse sostenuto la loro incostituzionalità. Pochi giorni prima, l’Amministrazione aveva ribadito davanti a un tribunale federale che i detenuti nel carcere militare di Bagram, in Afghanistan, non hanno diritto all’habeas corpus. Il Wall Street Journal di ieri ha svelato che la Casa Bianca sta valutando l’idea di detenere alcuni terroristi sul suolo americano, “a tempo indeterminato e senza processo”. Non solo. Le polemiche sulla pubblicazione dei pareri legali sugli interrogatori della Cia hanno convinto Obama, martedì, a opporsi alla pubblicazione già annunciata delle 44 fotografie sui presunti abusi commessi dalla Cia durante gli interrogatori dei prigionieri di al Qaida. Obama ha spiegato che la loro pubblicazione avrebbe messo a repentaglio gli americani impegnati nella guerra al terrorismo e reso più insicuri gli Stati Uniti, un’argomentazione alla Cheney e una giravolta da 360 gradi rispetto a quanto aveva detto un paio di settimane fa, quando aveva respinto le critiche di Cheney sulla pubblicazione dei pareri che autorizzavano le tecniche di interrogatorio richieste dalla Cia. L’Amministrazione Obama, inoltre, ha minacciato la Gran Bretagna di interrompere lo scambio di informazioni di intelligence, e addirittura di limitare i rapporti tra i due paesi, se una corte inglese renderà pubbliche sette pagine di un rapporto riservato che racconterebbe gli abusi subiti da un presunto terrorista residente in Inghilterra. “Obama sta coprendo Cheney?”, si è chiesto il giornalista e blogger superobamiano Andrew Sullivan. I conservatori hanno applaudito queste scelte di Obama e credono, o almeno sperano, che il presidente possa cambiare idea anche sulla chiusura di Guantanamo, uno dei pilastri dell’architettura giuridica antiterrorismo elaborata da Bush e Cheney, ora che la Casa Bianca s’è resa conto che almeno un centinaio di quei detenuti non potrà essere processato nelle corti ordinarie e deve affrontare l’opposizione dei deputati del Partito democratico, contrarissimi a che i detenuti di al Qaida vengano trasferiti in carceri dentro le loro circoscrizioni elettorali. A tutto ciò va aggiunto che Obama ha licenziato David McKiernan, il generale che guidava le truppe americane nella guerra in Afghanistan, per sostituirlo con Stanley McChrystal, un generale tosto, determinato e noto per aver usato in Iraq tecniche e modi – abusi sui prigionieri e divieti alla Croce Rossa di mettere il naso nelle sue attività – che secondo Andrew Sullivan e molti altri costituiscono “crimini di guerra”. Il leggendario giornalista del caso Watergate, Bob Woodward, nel suo bel libro “The war within” scrive che i colleghi del generale appena scelto da Obama per guidare le operazioni militari in Afghanistan ammirano l’efficacia delle sue azioni antiterrorismo al punto da provare ogni volta un “orgasmo”. Un ritratto più da Tenente Colonnello Bill Kilgore di “Apocalypse Now” (“amo l’odore del Napalm al mattino”) che da tipico esponente obamiano, o almeno della caricatura perbenista che ne fanno i giornali. E, infatti, Cheney si è complimentato con Obama per la scelta del nuovo generale. L’offensiva di Cheney ha messo nei guai anche Nancy Pelosi, la speaker della Camera dei deputati nonché leader dell’ala più liberal del Partito democratico americano, oggi durissima contro le “torture” dell’Amministrazione Bush. Un paio di settimane fa qualcuno ha ricordato che la Pelosi era stata avvertita in tempo, nel 2002, durante vari incontri riservati tra i vertici della Cia e i leader politici del Congresso a proposito delle tecniche “intensificate” di interrogatorio, compreso il waterboarding (l’annegamento simulato applicato soltanto su tre detenuti e mai dopo il 2003). Dopo qualche giorno di imbarazzo, la Pelosi ha negato che le avessero detto che queste tecniche sarebbero state usate. Sono passati un paio di giorni e qualcuno della Cia ha passato ai giornali una minuta di un incontro del 2003 che prova come la Pelosi fosse perfettamente a conoscenza di tutto. La leader democratica non s’era lamentata, allora, anzi si è scoperto che rifiutò di firmare una lettera di una sua collega democratica, Jane Harman, la quale invece aveva avanzato riservatamente alla Cia qualche dubbio sull’uso di queste tecniche. Un portavoce della Pelosi ha detto che in quel momento, nel 2003, l’allora leader dell’opposizione alla Camera non aveva ritenuto “appropriato” protestare, perché il ricordo dell’11 settembre era ancora vivo. “Non voglio trovare giustificazioni a nessuno – ha detto la presidente della Commissione del Senato sui servizi segreti Dianne Feinstein – ma il 2002 non è il 2006 o il 2007 o il 2008. E’ stato subito dopo l’undici settembre e si parlava davvero di una seconda ondata di attacchi”. Questa frase è una specie di trionfo per la tesi di Dick Cheney e di chi teme che la nuova Amministrazione Obama e i media talvolta mostrino un atteggiamento pre 11 settembre. Ieri, in una conferenza stampa molto movimentata, la Pelosi ha accusato la Cia di aver mentito al Congresso ed è probabile che nei prossimi giorni i servizi facciano uscire qualcos’altro contro la Speaker, come succedeva ai tempi delle critiche dei bushiani alla comunità di intelligence. Ma il punto è che la questione “torture”, grazie anche all’intervento di Cheney, sta facendo danni anche e soprattutto nel fronte obamiano. Qualche altra falla si comincia ad aprire tra gli editorialisti e gli esperti liberal. Richard Cohen, senza perdonare nulla all’ex vicepresidente, nota sul Washington Post che “la sinistra politica sembra pensare che la Cia abbia torturato i sospetti terroristi solo per il piacere di farlo” e comincia a chiedersi “se ciò che dice Cheney sia la verità, cioè che la tortura funziona”. Cheney ovviamente sostiene che le tecniche “intensificate” di interrogatorio non siano tortura, ma è certo che abbiano funzionato, al punto da chiedere insistentemente a Obama di pubblicare i due memo che lo confermerebbero in pieno. “L’Amministrazione Obama – ha scritto Cohen – deve svelare il bluff di Cheney, se di questo si tratta, e pubblicare i memo. Se anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno, questa potrebbe essere la volta di Cheney”. Gli oppositori di Cheney citano le parole di Obama al momento della firma del decreto che ha cancellato le tecniche della Cia e spiegano che la questione non è se la tortura sia efficace, ma la sua immoralità che minaccia di corrompere l’anima dell’intera nazione. In realtà, Obama ha aggiunto che le tecniche adottate dalla Cia “non hanno reso il paese più sicuro”. Cheney non soltanto contesta questa affermazione, ma si chiede se sia più immorale interrogare duramente un terrorista, o “torturarlo” come sostengono i suoi avversari, o non riuscire a prevenire una strage di migliaia di innocenti. Richard Cohen era intervenuto sul tema già tre settimane fa, sempre sul Washington Post per spiegare che, sì, grazie a Obama l’America si sta comportando decisamente meglio dal punto di vista morale, ma non si può dire che sia più sicura: “L’autorità morale è una cosa troppo sottile per costruirci una politica estera. Io, di mio, sono felice che non torturiamo più nessuno, ma aver smesso l’oscena pratica non rende in nessun modo l’America più sicura”. Cohen ricopre di improperi Bush e Cheney e le loro politiche, fino a definirle simili a quelle naziste, ma riconosce che “ai terroristi non frega niente della nostra moralità, della nostra autorità morale o di quella che un editorialista ha definito nostra ‘bussola morale’. Bush non piaceva a molti nel mondo, ma gli attacchi dell’11 settembre sono stati pianificati quando c’era Bill Clinton, uno che non aveva offeso nessuno, se non la destra cristiana. Anzi è andato in giro per il mondo a scusarsi dei misfatti compiuti dall’America, della schiavitù in particolare. Ma nessun terrorista ha cambiato idea. Se Obama pensa che il mondo risponderà alla sua nuova politica sulla tortura, è seriamente fuori strada. Anzi ha reso le cose un po’ più facili per i terroristi, che ora sanno che cosa non succederà se saranno catturati. E con tutte le sue esitazioni sui processi agli avvocati del dipartimento della Giustizia di Bush (e magari anche agli agenti Cia) ha mostrato agli agenti sul campo che sta con loro, oh, circa il 62 per cento delle volte”. Michael Scheuer, l’ex analista della Cia diventato grande accusatore di Bush e Cheney, in un discusso articolo sul Washington Post di due domeniche fa ha scritto che “con una dimostrazione mozzafiato di ipocrisia e arroganza intellettuale, il presidente ha detto agli americani che le sue convinzioni morali sono più importanti rispetto alla protezione del loro paese, delle loro case e delle loro famiglie. (...) Il mondo non sarà più sicuro per gli americani perché il presidente abbandona le tecniche di interrogatorio per piacere all’ala sinistra del suo partito e ai pacifisti europei che ammira così tanto. Sono entrambi incorreggibili antiamericani che si oppongono all’uso della forza a difesa dell’America e, come Obama, credono ingenuamente che i nemici islamisti dell’occidente possano essere addolciti facendo un bel girotondo”. Se dovesse capitare una strage, ha chiuso Scheuer, gli americani dovranno sapere che il loro presidente crede che “le eventuali perdite sono un piccolo prezzo da pagare per poter fermare gli interrogatori e piacere di più ai popoli stranieri”. Anche un solido commentatore liberal come Thomas Friedman, sul New York Times del 29 aprile sembra aver mutato leggermente posizione. Obama, ha scritto Friedman, ha fatto bene a pubblicare i memo, fermare l’uso della tortura e non processare gli esponenti della precedente amministrazione e gli agenti della Cia che hanno convalidato e applicato le tecniche di interrogatorio: “Ma non c’è nulla di cui essere felici, per tutto questo”, perché gli abusi, sono stati terribili, specie in Afghanistan, ma anche perché “al Qaida non è stata fermata con i mezzi normali. La sua arma era il suicidio. I suoi militanti erano pronti a uccidersi – come hanno fatto l’11 settembre, e prima contro obiettivi americani in Arabia Saudita, Kenya, Tanzania e Yemen – ben prima che noi potessimo anche minacciare di ucciderli. Abbiamo potuto fermare i russi perché loro amavano i loro bambini più di quanto odiassero noi, non volevano morire. Gli uomini di al Qaida ci odiano più di quanto amano i loro figli”. Friedman ha ricordato ai lettori del New York Times, sulle pagine più ferocemente anticheneyane degli Stati Uniti, che Bin Laden avrebbe voluto compiere un attacco devastante all’America, che al Qaida pensa che sia suo dovere religioso uccidere tutti, compresi i musulmani, e che le loro tattiche sono studiate per minare alle fondamenta la società aperta occidentale: “Il mondo post 11 settembre – ha scritto Friedman riecheggiando indirettamente Cheney – resta pericoloso. Un altro 11 settembre chiuderebbe ancora di più la nostra società aperta. Un altro 11 settembre e non ci dovremo togliere soltanto le scarpe in aeroporto. Abbiamo il lusso di poter fare questo dibattito sulla tortura perché non c’è stato un secondo 11 settembre, non perché non ci abbiano provato. Ci fosse stato, una grande maggioranza di americani avrebbe detto al governo (e lo farebbe ancora oggi): fate tutto ciò che è necessario”. Friedman, infine, sostiene anche un’altra tesi di Cheney: “Credo che il motivo per cui non c’è stato un altro 11 settembre, a parte il miglioramento della sicurezza e dell’intelligence, è il fatto che al Qaida sia concentrata principalmente a sconfiggere l’America nel cuore del mondo arabo e islamico, in particolare in Iraq”. Sembra quasi di vedere il ghigno di Cheney nel leggere sul New York Times che l’obiettivo dovrebbe essere quello di sconfiggere al Qaida, assieme agli iracheni, “costruendo una rispettabile società pluralista nel cuore del loro mondo”. Certo, sul Times c’è anche Maureen Dowd, che l’altro giorno è riuscita a trovare parole gentili per George W. Bush pur di devastare riga dopo riga il neopresenzialismo di Cheney. Bush ha scelto di non criticare il suo successore e quasi tutti gli altri big della sua squadra non parlano. Come mai, allora, Cheney non sta facendo la stessa cosa? “Penso sia molto, molto importante – ha detto Cheney – che si capisca bene che cosa è successo e che ciò che abbiamo avuto è un approccio dignitoso per difendere la nostra nazione, niente di tortuoso, falso, disonesto o illegale”. Ma Cheney riconosce che il vero motivo per cui non è andato in pensione è il vuoto di leadership a destra: “Se non sono io a parlare, i critici hanno la via spianata, dall’altra parte non c’è nessuno che dice la verità”.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante