E’ l’anno in cui la Svizzera viene messa sotto accusa per sue presunte collusioni con la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. C’è del vero in queste accuse che però, estratte dal contesto storico, suonano male e gettano ombre su alcuni accusatori. E’ indubbio che treni carichi di materiali bellici attraversavano tranquillamente la Svizzera tra Italia e Germania. Ed è anche vero che non sempre (e a volte a capriccio) le frontiere elvetiche si aprivano al disperato bussare di profughi in fuga dall’Europa occupata dai tedeschi. Nell’insieme però la Svizzera, attrezzata e pronta a resistere entro il suo “ridotto alpino” ad ogni tentativo tedesco d’invasione, ha saputo mantenere una sua complessiva dignità di fronte a un concreto e attuale pericolo, e al tempo stesso ha accolto decine e decine di migliaia di profughi. E’ curioso che eguali accuse non siano state rivolte anche alla Svezia, i cui pur comprensibili compromessi con Hitler erano stati più rilevanti di quelli svizzeri. Chissà, capita a volte che certi paesi siano più simpatici di altri, ma che ad aggregarsi ai cori virtuosi siano stati paesi e personaggi il cui curriculum negli anni grassi del fascismo e del nazismo non è di tale limpidezza da consentirgli di ergersi a giudici. Come dire: la paglia e la trave, ovvero il gioco alla demonizzazione.
Le turbolenze sono la normalità in Medio Oriente (e anche altrove). In Israele si aggiungono gli scontri interni, come quello, del tutto eccezionale, tra il Presidente dello Stato Ezer Weizman e il Premier Benjamin Netanyahu, il quale ultimo in agosto accusa il Presidente di interferire pesantemente nella politica d’Israele, ponendosi in aperto contrasto con lui. Di fatto Weizman aveva accusato Netanyahu di voler sabotare il negoziato con i palestinesi. E’ curioso che entrambi siano o siano stati militanti nel Likud, partito di destra. Ma è anche curioso che, non essendoci in Israele una Costituzione scritta (come in Gran Bretagna) che precisi e limiti i rispettivi campi d’azione del Presidente e del Primo Ministro, era invaso l’uso – l’uso e non l’obbligo – del Presidente di esercitare il suo potere solo entro limiti fissati un po’ empiricamente. Conclusione: crisi politica e ora anche istituzionale, con un Parlamento in cui una abborracciata coalizione appoggia (e ricatta) il Premier in carica (ancora per qualche mese).
Anche tra gli ebrei americani c’è crisi. E’ una crisi che riguarda il forte gruppo dei conservative, il forte movimento che pure essendo osservante, proprio come gli ortodossi, sono meno integralisti e quindi più aperti e attenti al mutare dei tempi e alle scoperte della scienza. I conservative non sono così “spalancati” come i reformed, che oggi costituiscono la maggioranza degli ebrei statunitensi. E proprio conservative e reformed hanno riportato in pochi anni la comunità ebraica americana, facendola uscire da un’autoreclusione nel ghetto iper-ritualistico e meno religioso, ai numeri demografici che aveva visto calare vistosamente nel corso degli anni. Il fatto è che con loro era ripreso anche, e con successo, il proselitismo cui le comunità ebraiche in Europa avevano rinunciato in passato, ma solo per evitare il peggio. La crisi dei conservative nasce dalla loro incertezza nello stare con un piede tra gli ortodossi e l’altro tra i reformed.
Il 1° aprile entra in vigore in nove paesi europei, tra cui l’Italia, quella parte del Trattato di Schenberg che abolisce il controllo alle frontiere. Sembra essere un buon passo verso quella unificazione europea che era stata nei voti dei “padri fondatori” dell’Europa Unita nell’immediato dopoguerra. Dopo l’apertura delle frontiere molti anni più tardi ci sarà anche una moneta unica. Ma il sogno di giungere agli Stati Uniti d’Europa resterà ancora tale: ad opporvisi i rigurgiti nazionalisti, i provincialismi, i vari campanili. E persino quell’unione economica che pareva cosa fatta, segnerà una brusca frenata di fronte alla grave crisi finanziaria che partendo dagli Stati Uniti si abbatterà su tutto il mondo, e quindi anche da noi. La miope tentazione del “si salvi chi può”, paese per paese, sarà vinta (anche perché nessuno sapeva bene come fare), ma qualche cicatrice rimane.
Scandalo negli Stati Uniti (e divertimento in Europa) per il cosiddetto sexgate che coinvolge il Presidente Bill Clinton, accusato di avere mentito sulla sua relazione piuttosto intima con la stagista Monica Lewinski. Relazione di cui emergono tutti i particolari piccanti. Clinton se la caverà per il rotto della cuffia anche per la inaspettata difesa della moglie Hillary (non per niente era stata prestigioso avvocato). Da noi, più modestamente ma non più virtuosamente, cade il governo Prodi e gli succede, non malvolentieri, il Segretario dei Democratici di Sinistra, Massimo D’Alema.
Cadono anche le foglie d’autunno e a Gerico, in Cisgiordania, si apre un casinò. Pare un segno di ritorno alla normalità e comunque fa sapere che al di là del terrorismo, degli attentati, del conflitto, la gente, dovunque sia, ha voglia di vivere come si vive altrove casinò inclusi. E se la roulette deve essere la portatrice di un segnale di pace, ben venga. Ora al governo d’Israele c’è crisi. Paradossalmente Netanyahu viene accusato di procedere sulle tracce dei suoi predecessori laburisti, precedentemente bocciati alle urne perché ritenuti troppo concilianti di fronte alle richieste palestinesi, ma ora è il Likud che dice “sì” (di massima) al ritiro dai Territori. E allora, dicono i suoi sostenitori, perché tornare a votarlo? Difatti la vita del governo Netanyahu durerà ancora pochi mesi.