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Il Foglio Rassegna Stampa
09.05.2009 Che succede a Baghdad ?
L'analisi di Amy Rosenthal

Testata: Il Foglio
Data: 09 maggio 2009
Pagina: 2
Autore: Amy Rosenthal
Titolo: «Le volpi di Baghdad»

Come evolve la situazione politica in Iraq ? L'analisi di Amy Rosenthal sul FOGLIO di oggi, 09/05/2009, a pag.II, dal titolo " Le volpi di Baghdad "

Durante il regno di Saddam Hussein, parte della comunità irachena si è trasferita, in esilio forzato, a Londra. Ali A. Allawi, musulmano sciita, letterato con studi in Inghilterra e negli Stati Uniti, era fra loro. Ma appena il regime dittatoriale è crollato ha fatto subito ritorno in patria, ed è diventato ministro del Commercio prima, e ministro della Difesa poi, dell’esecutivo nominato dal Consiglio governativo ad interim iracheno (rimasto in carica dal settembre 2003 al 2004). Fra il 2005 e il 2006 è poi diventato ministro delle Finanze del governo di transizione iracheno. Intanto, nel 1997, aveva scritto “The Occupation of Iraq: Winning the War, Losing the Peace”, una riflessione sulle condizioni nelle quali si trovava allora il suo paese e sulle prospettive future. Adesso Allawi, che è il fratello dell’ex premier Iyad Allawi, è visiting fellow all’Università di Princeton, e ha dedicato il suo secondo libro, “The Crisis of Islamic Civilization” (Yale University Press, 2009) all’islam. “La civilizzazione islamica oggi è un’ombra di ciò che era in passato – spiega al Foglio Allawi – perché non è stata in grado di tirar fuori risposte autentiche alle correnti che attraversano il mondo islamico, in particolare le onde di modernizzazione e globalizzazione. Oltre allo scompiglio che è arrivato, nella visione propria del mondo islamico, come risultato dell’espansione dell’occidente nella sua arena”. Secondo Allawi l’effetto principale di questa “espansione” è stato quello di creare “una modernizzazione inadeguata delle società islamiche”. Perché tutto è stato rimpiazzato di colpo: “Le nostre leggi, le nostre istituzioni, le nostre economie – spiega – sono spesso state rimpiazzate da equivalenti moderni inadeguati senza che noi necessariamente creassimo alternative perseguibili e continuative. Questo continua tutt’oggi perché fondamentalmente non abbiamo davvero abbandonato il passato, ma nemmeno ci siamo fatti carico delle visioni dell’ordine moderno globalizzato. E’ sato molto diffiile per noi costruire qualcosa che corrisponda alle richieste e alle pretese dei musulmani e simultaneamente rispetrispettare le nostre tradizioni originali”. Nel 1990 Bernard Lewis iniziò il dibattito sullo “scontro di civiltà”, poi più tardi reso conosciuto da Samuel Huntington. “Non lo vedo nei termini di uno scontro di civiltà perché questo presume che ci sia un certo equilibrio fra leche lo scontro non sia da una parte sola. Detto questo, è un confronto alquanto sbilanciato. Io lo vedo nei termini se l’islam è stato o no in grado di produrre alternative accettabili alla modernità che ora è difesa o sponsorizzata dall’ordine mondiale globalizzato. Il mio ragionamento va oltre il discorso di Lewis o Huntington e pone un’altra questione: se l’islam al suo interno possieda il potenziale necessario a creare uno spazio pubblico all’interno del quale i musulmani nei tempi moderni, si sentirebbero a proprio agio e allo stesso tempo non rappresenti una minaccia ad altri sistemi mondiali”. Secondo Allawi le forme pubbliche di civiltà islamica ora sono ridotte a due soli aspetti vitali: uno di loro è il mondo del potere e del governo, che rappresenta l’islam politico, e l’altro è il mondo pio e osservante del religioso. “Ma c’è uno spettro intero di vicende umane, che si è ritirato fino a scomparire di fronte all’ordine mondiale prevalente – dice Allawi – Non chiedo se l’islam sarà in conflitto costante con altre civiltà mondiali, ma se una civiltà specifica, legata al mondo interno dei musulmani, possa trovare una rappresentazione esteriore o no. Detto questo, penso che l’islam come civiltà – come un insieme unico di istituzioni, prospettive, relazioni e valori – non durerà ancora a lungo”. E perché? “Se l’islam è ridotto alle sole manifestazioni di fede, che rappresentano la forma pubblica della vita politica, specialmente nei termini del discorso islamista e del mondo dei pii, allora l’islam non ha nient’altro da dire delle relazioni degli esseri umani riguardo alle loro istituzioni economiche, culturali, estetiche e legali. Ora, la sharia è soltanto un aspetto di questo. Non è l’aspetto integrale, perché c’era una prospettiva islamica sulla scienza, sulla medicina, sulle arti, sulla tecnologia, sull’attività legislativa, su quasi ogni aspetto dello sforzo umano, ma questo è stato fondamentalmente concesso alla visione moderna del mondo. Credo che la civiltà islamica sia ora sottoposta alla sua ultima crisi. Non è stato in grado di postulare un’alternativa negli ultimi duecento anni – un’alternativa seria alle forze della modernità o dell’occidentalizzazione o della secolarizzazione, e ora della globalizzazione”. Barack Obama ha fatto una visita a sorpresa ai soldati americani in Iraq. Da lì ha annunciato che era tempo per gli iracheni di “prendere il controllo del loro paese” e durante l’incontro con Nouri al Maliki ha “incoraggiato fortemente” il premier iracheno “a compiere dei passi per unire le fazioni politiche, compreso integrare i sunniti nel governo e nelle forze di sicurezza”. Credeche gli iracheni siano pronti a prendere il controllo del loro paese nell’immediato futuro? “Sì, credo che il governo iracheno possa mantenere un livello accettabile di sicurezza, ma ciò non significa che sia impossibile ridurre in maniera significativa il livello della violenza. Hanno abbastanza forze di sicurezza per prendersi in carico il compito degli americani. E’ già successo nei mesi passati. Quindi non credo che il ritiro americano porti a un grande vuoto di sicurezza. Ma questo non significa che il governo centrale sarà in grado di creare ‘un ambiente senza violenza’. Penso che avremo una continua violenza, ma potrà essere contenuta al punto da non danneggiare la capacità dello stato di funzionare”. La politica dell’Iraq si trova ora “fra due poli”, dice Allawi: “O accettano che la base della politica debba essere settaria ed etnica, che non sembra una soluzione destinata a durare, oppure accettano che la politica in Iraq sarà frammentata fra 10 o 12 partiti e gruppi che competono per il potere, nessuno dei quali può sviluppare una maggioranza complessiva. Questi sono i due temi che affrontiamo al momento: se avremo una sorta di stabilità architettata forzando una mossa settaria/etnica sul paese o avremo una scena politica frammentata fino a quando non sarà in grado di evolvere una maggioranza basata su punti e programmi politici piuttosto che sulle fazioni”. Del premier iracheno al Maliki, Allawi dice che è “un politico abbastanza astuto”, capace di passare attraverso periodi molto difficili continuando comunque a mantenere il suo ascendente politico. “Ma non si può dire di lui che sia un leader nazionale, perché non è una persona in grado di unire i vari gruppi in Iraq intorno a sé. Non è nemmeno un visionario, ma è in grado di giocare una partita molto difficile. Se sarà il premier naturale dei prossimi anni? Probabilmente ha possibilità migliori di altri, ma non è garantito perché dovrà lottare per questo – per il suo status e per la sua posizione. Temo che questo sia il caso dell’Iraq perché lì il cambiamento non è avvenuto naturalmente o organicamente. E’ avvenuto come risultato di una grande forza esterna, che ha cambiato il paesaggio politico. Dovremo attendere del tempo fino a quando svilupperemo un nucleo di leader politici alternativi che siano indigeni al sistema”.Sul futuro del suo paese Allawi è, a suo modo, ottimista. “Lo sono per quanto riguarda la violenza, che è diminuita. O sul fatto che il paese non uscirà fuori controllo. Ma dall’altro lato della medaglia, se mi chiedete se l’Iraq avrà una maggioranza di governo funzionante e significativa che traghetterà il paese nella prossima fase nel prossimo futuro, io credo di no. L’Iraq continuerà ad avere una scena politica frammentata, un ambiente politico turbolento e uno stato disfunzionale, ma non uno che crollerà. A dieci anni di distanza dal 2003, quindi fra quattro anni, potremmo trovarci con un ordine politico stabile dal quale potremo essere in grado di pianificare con più efficacia i passi successivi”.

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